“eMPathia”: ovvero dall’Italia al Brasile

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“eMPathia”: forse mai nome di un combo fu più azzeccato. Mafalda Minnozzi alla voce e Paul Ricci alle chitarre si muovono, per l’appunto, con grande empatia cementata da circa vent’anni di stretta collaborazione. Lui, Paul Ricci, è un artista di origine italiana (il padre è nato a Filetto un piccolo centro in provincia di Chieti); chitarrista raffinato è in grado di produrre un tappeto ritmico-armonico talmente ricco ed esaustivo da non far minimamente avvertire la mancanza del basso. Lei, Mafalda Minnozzi, è una vocalist straordinaria sia per la potenza della voce che può passare con estrema disinvoltura dalle note più basse a quelle più alte sia per un’affascinante presenza scenica. Li abbiamo ascoltati alla Casa del Jazz , ne siamo rimasti colpiti e li abbiamo voluti intervistare; così ci siamo incontrati trascorrendo un piacevolissimo pomeriggio. Questo il risultato della nostra chiacchierata.

-Tu sei nata a Pavia e poi vi siete trasferiti nella Marche. A quando risale il tuo incontro con la musica?
“Praticamente da sempre. Ho avuto la fortuna di nascere a Pavia che è una città molto viva dal punto divista culturale. Inoltre i miei genitori che allora, siamo negli anni ’70, lavoravano ambedue hanno deciso di mettermi in una specie di collegio scuola a tempo pieno , le Canossiane, e lì ho avuto l’opportunità di ascoltare molta musica, soprattutto classica, cori polifonici, musica di chiesa, e poi a scuola era già obbligatoria la materia musicale sin dalle elementari”.

-Queste sono le basi. E dopo?
“Dopo, ovviamente, ho cominciato a crescere. Quando sono arrivata nelle Marche avevo già dieci anni ed è stato una specie di choc in quanto il paese dove ci siamo trasferiti, San Severino Marche, non aveva una vita culturale paragonabile a quella di Pavia. Io da bambina facevo anche danza classica e a San Severino non fu possibile proseguire lungo questa strada. La mia nuova classe non era più mista ma solo di bambine, non avevamo il doposcuola e quindi non avevamo la possibilità di studiare musica o di fare qualsivoglia attività culturale. Allora, grazie alla mia mamma, che da giovane era stata anch’ella una cantante, ho avuto la possibilità sia di prendere lezioni private di canto sia di partecipare, anche come solista, al coro polifonico della Cattedrale di Sant’Agostino, sempre attraverso i canti liturgici. Finita la scuola dell’obbligo, ho iniziato una frequentazione più assidua con la musica: ho cominciato a scrivere, ho cominciato a frequentare quegli ambienti musicali che già allora nel Pesarese e nel Maceratese erano piuttosto attivi e molti di essi legati alla realtà dello Sferisterio. Insomma c’era un’attività molto sviluppata, attività bandistica, attività di musica leggera, pop, musica erudita, musica contemporanea. I miei interessi potevano spaziare in diverse realtà, frequentavo come cantante diversi gruppi”.

-Quando hai costituito il tuo primo gruppo?
“All’età di quattordici, quindici anni ho costituito la mia prima band con cui eseguivo repertori che in massima parte venivano dal jazz e dalla musica francese. All’epoca non mi piaceva molto cantare in italiano… lasciavo questo compito ai miei amici…”.

-Quindi hai intrapreso una vita professionale sin da ragazzina?
“Sì, nonostante, come puoi ben immaginare, i miei genitori non è che condividessero questa mia scelta. Venivo da un paesino di circa tredicimila anime in cui il giudizio delle persone era molto aggressivo. Però mio padre era cresciuto a Milano dove aveva avuto la fortuna di diventare amico di molti grandi artisti come Lucio Dalla, Ornella Vanoni, Fred Bongusto… perché mio padre era maitre-hotel e si occupava anche di rifocillare gli artisti nei camerini avendo così l’opportunità di cementare l’amicizia con molti artisti, amicizia che si è portato appresso nella vita unitamente alla consapevolezza di quanto fosse dura e difficile la vita dell’artista. E quindi da un lato figlia unica, un po’ carina, non voleva che intraprendessi questa carriera, dall’altro, però, era orgoglioso di questa mia scelta. Così ho avuto l’opportunità, in zona, di essere accompagnata da amici di papà per cui era un lavoro quasi familiare: mi mandavano perché sapevano che ero accompagnata da gente fidata. Ad un certo punto non mi sono più accontentata di come cantavo e ho cominciato a studiare più seriamente. Ho frequentato la scuola di teatro e recitazione di Saverio Marconi con il registra e sceneggiatore Roberto Marafante per due anni ed è stata un’esperienza molto interessante. Questo a Civitanova Marche e poi anche a Roma dove ho frequentato corsi di danza presso lo IALS con il coreografo Marco Ierva. Nel frattempo mi sono innamorata della musica napoletana che ho studiato a fondo per quattro anni con il maestro Gustavo Palumbo per l’impostazione vocale. Però volevo anche sopravvivere con la musica e ciò mi ha portato a compiere molti sbagli”.

-Nello specifico hai mai studiato canto jazz?
“Mai anche se venendo da Macerata frequentavo gli ambienti jazzistici dove si poteva ascoltare artisti del calibro di Enrico Pieranunzi, Tiziana Ghiglioni, Chet Baker … ho preso qualche lezione di canto jazz ma solo in modo sporadico”.

-Di quegli anni c’è un ricordo che ti è rimasto particolarmente impresso?
“Quello che ricordo con grande piacere e che poi mi ha convinto a proseguire lungo questa strada è l’emozione che con il mio canto riuscivo a trasmettere alla gente. Vedevo che le persone si emozionavano al punto tale da cercare anche un contatto fisico: mi abbracciavano, mi toccavano, mi toccavano i capelli…volevano quasi portarmi a casa per la forza dirompente che aveva questa voce. Era una voce che a me all’inizio ha creato anche qualche problema”-

-In che senso?
“All’inizio era stata una voce molto forte… oserei dire selvaggia per cui necessitava di una certa educazione. Allora avevo come riferimento cantanti possenti, che avevano una voce importante come Mia Martini e Edith Piaf che mi emozionavano molto. E la gente mi diceva che riuscivo a dare emozioni simili a quelle che dava Mia Martini.. il che per me rappresentava, come puoi immaginare, un complimento grandissimo. A quel punto, però, mi sono fermata a riflettere e ho voluto educarla questa voce che secondo me, e non solo secondo me, oltre ad essere troppo forte era anche troppo aggressiva. E per me un momento fondamentale è stato quando ho scoperto Caterina Valente”.

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