La mostra del fotografo dal 5 al 30 giugno a Milano

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L’immagine-simbolo è uno struggente “Porgy and Bess” sudafricano in cui dominano le ombre, un violoncello ed una figura di donna. Si parla di “Jazz Spirit”, la più recente delle mostre del fotografo Pino Ninfa (sponsorizzata dalla Olympus), tenutasi dal 5 al 30 giugno al Centro Culturale di Milano, uno spazio altamente funzionale in pieno centro meneghino. Come spesso accade nelle iniziative di Ninfa, la mostra è stata accompagnate da varie performance e incontri: “Sulle strade della musica” con Enrico Intra al pianoforte e gli scatti del fotografo (5 giugno); “Nel sogno del racconto. La città come palcoscenico” con Claudio Fasoli al sax soprano e le foto dei partecipanti al workshop, più una conversazione tra il jazzista ed il musicologo Maurizio Franco (12/6); “Fra sacro e profano. Le feste religiose in Italia e nel mondo” con la tromba di Giovanni Falzone e la batteria di Alessandro Rossi, arricchite dall’uso dell’elettronica e dall’interazione con le foto di A. Safina, E.Resmini, L.Rossetti, R.Iurato, M. Pasini, I.Adversi, C.e S.Onofri e dello stesso Ninfa (15/6); a concludere gli “eventi speciali” un incontro tra Luciano Linzi (direttore artistico di “JazzMi”) ed Enrico Stefanelli (direttore del “Photolux Festival”) su “Fotografare il jazz: Racconto e resoconto. Usi possibili per la committenza” (19/5).

Seguo il lavoro di Pino Ninfa da parecchio tempo e la sua attività non cessa di sorprendermi perché è una costante ricerca. Rispetto alla mostra del novembre 2017 al “Roma Jazz Festival”, l’esposizione milanese è avvantaggiata da uno spazio più adatto, meno dispersivo, con un’ottima illuminazione che ha consentito un efficace montaggio delle quarantatré foto, di cui nove in grande formato, tutte in bianco e nero. Ninfa ha una serie di scatti “caposaldo” che propone da tempo, immagini funzionali e simboliche rispetto alla sua estetica del racconto-resoconto; le serie esposte, però, mutano profondamente nella loro sequenza e si arricchiscono sempre di nuove fotografie. Ho registrato, tra le altre, un Luca Aquino al Vicenza Jazz Festival del 2017, il duo Paolo Fresu e Bebo Ferra in concerto dentro al carcere di massima sicurezza di Nuoro (2012), la Banda De Muro al festival “Time in Jazz” (2016), Max De Aloe ed Antonio Zambrini a “Jazz per l’Aquila” (2015), “Jazz for Kids” al “Liebnitz Jazz Fest” (2016), un’incredibile foto del pianista Gonzalo Rubalcaba al teatro Olimpico di Vicenza (2017) in cui Ninfa riesce a catturare e a fissare tutta l’energia dell’artista e a farne un ritratto dai caratteri barocchi. Splendida anche la doppia immagine di Michel Portal (“Piacenza Jazz Fest” 2017) come una foto che risale al 2005 largamente inedita: si è ai “Suoni per le Dolomiti”, nell’altopiano di Folgaria, e davanti ad una struttura bellica della prima guerra mondiale (Forte Sommo Alto) c’è la tastiera del pianoforte che suonerà Stefano Bollani che è stata smontata per una revisione tecnica. L’accostamento tra l’austero edificio e la tastiera genera un cortocircuito iconico fortissimo e – oltre a rappresentare in modo simbolico e poetico la filosofia della rassegna sonora – genera idee e tensioni narrative immediate. Di grande suggestione anche la foto di Enrico Intra all’ex-grattacielo Pirelli che suona il piano dominando Milano (“Piano City”, 2015) come lo scatto torinese in cui il progetto “Sonic Genome” di Anthony Braxton si ritaglia uno spazio nel museo egizio.

Persone, paesaggi, musicisti, luoghi, strumenti, materia e architetture si incontrano nel gioco delle luci e delle ombre; la macchina fotografica di Pino Ninfa riesce a catturare lo “spirito del jazz” in modo polifonico e poliedrico, regalando al visitatore tante tracce su cui incamminarsi e attraverso cui ricercare.

Luigi Onori

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