Si apre il 12 con Ibrahim Maalouf
il 47° Roma Jazz Festival

Una conferenza stampa molto, troppo lunga, per un programma molto, troppo lungo. Potrebbe essere questo, in estrema sintesi, il racconto della mattinata del 4 ottobre in cui è stato presentato alla stampa il più che voluminoso programma di Musica per Roma per la stagione 2023-2024.

In linea teorica si sarebbe dovuto parlare sia del l’Auditorium sia della Casa de Jazz ma di quest’ultima struttura si è detto poco o nulla.

Veniamo quindi al calendario delle manifestazioni in programma nella sede dell’Auditorium; per darvi un’idea l’indicazione delle stesse occupa ben più di dieci pagine per cui risulta impossibile sintetizzarle in un articolo che possa essere letto fino alla fine.

Di qui una decisione drastica: dopo aver detto che le manifestazioni si articoleranno attraverso “I grandi concerti”, “Le nuove residenze artistiche di Tosca e Daniele Silvestri”, “il focus Brad Mehldau”, “La stagione del Teatro, della musica contemporanea e delle orchestre giovanili”, soffermeremo la nostra attenzione sugli argomenti che maggiormente interessano i lettori di questo blog, vale a dire la musica, in special modo il jazz.

Il focus su Brad Mehldau si sostanzia in due concerti che il grande pianista terrà il 16 marzo e il 6 maggio rispettivamente in piano-solo e in trio.

Dal I° al 10 dicembre si svolgerà l’oramai collaudata rassegna italo-francese “Una Striscia di Terra Feconda” curata come sempre da Paolo Damiani e Armand Meignan. Quest’anno i concerti si svolgono anche al di fuori di Roma vale a dire Ostia e Civitavecchia. Numerosi i musicisti italiani coinvolti, tutti di grande prestigio: da Enrico Rava (il 1 novembre in trio con William Parker contrabbasso, Andrew Cyrille batteria), a Gianluigi Trovesi il 10 novembre, da Rita Marcotulli con lo stesso Damiani il 1 dicembre, a Maria Pia De Vito con Anais Drago, Michele Rabbia e Romail Al il 3 dicembre, da Peppe Sevillo & Solis String Quartet il 5 dicembre a Zoe Pia e Cettina Donato l’8 dicembre… a Javier Girotto con Jean Pier Como il 9 dicembre. Egualmente numerosi e di prestigio i jazzisti francesi come Louis Sclavis clarinetti, Benoît Delbecq pianoforte, Steve Argüelles batteria, Bruno Chevillon contrabbasso, Noe’ Clerc solo fisarmonica…

Ma senza dubbio l’evento più atteso per gli appassionati di jazz è il “Roma Jazz Festival” in programma dal 12 ottobre al 26 novembre. La manifestazione, giunta quest’anno alla sua 47° edizione, viene declinata attorno all’attualissimo tema della transizione. In effetti, come sottolineato in un comunicato del Festival, in un mondo dove la “transizione” ecologica, tecnologica, economica e sociale, rappresenta una delle principali priorità, la musica jazz non poteva che generare una ulteriore transizione stilistica. Così, negli ultimi anni la scena jazz si è ampliata e diversificata, accogliendo numerosi generi paralleli tanto che oggi, la linea di demarcazione tra jazz, musica elettronica, musica contemporanea, musica popolare, rap o pop è diventata sempre più sottile e sfumata.

Coerentemente a tali premesse, il programma è quanto mai variegato presentando artisti di estrazione completamente diversa.

L’apertura, il 12, è affidata ad un musicista che in breve è divenuto un beniamino anche del pubblico italiano, Ibrahim Maalouf; trombettista di straordinarie capacità tecniche, Ibrahim è stato premiato in Francia con i più alti riconoscimenti e nel corso della oramai lunga carriera ha collaborato con artisti come Sting, Marcus Miller e Melody Gardot.

Il 2 e 3 novembre appuntamenti con due calibri da novanta quali John Scofield e Avishai Cohen ambedue in trio.

Il 4 novembre incontro con Judith Hill vocalist proveniente dal pop di classe avendo collaborato con Stevie Wonder e Michael Jackson.

Il 5 concerto che consigliamo vivamente essendo di scena uno dei migliori fisarmonicisti jazz, Vincent Peirani, in trio.

Il 9 un’occasione per scoprire il talento del pianista sudafricano Nduduzo Makhathini venuto prepotentemente alla ribalta in questi ultimi tempi.

Tra gli altri numerosi concerti da segnalare ancora l’11 novembre gli intramontabili “Yellowjackets”, il 12 il trio Jan Bang/Eivind Aarset, il 16 Tony Levin e Pat Mastelotto, bassista e batterista della storica band King Crimson.

Tra gli italiani il 12 novembre “Conversession” ovvero il gruppo vincitore del contest Lazio Sounds 2023, il 16 Anais Drago, il 17 Francesco Bearzatti e Ilaria Capalbo, il 18 Raffaele Casarano e Ilaria Sanchietti.

Chiusura il 26 con un trio d’eccezione costituito dal sassofonista inglese Shabaka Hutchings ben noto alle platee di tutto il mondo, il cantante e compositore marocchino Majid Bekkas e il batterista Hamid Drake con un programma dedicato ad Alice Coltrane.

Altro evento di grande interesse per il pubblico di “A proposito di jazz” il Gospel Festival su cui ci soffermeremo in un prossimo articolo.

Gerlando Gatto

Udin&Jazz 2023: all’insegna del Jazz d’autore

Dopo aver assistito alle ultime giornate di Udine Jazz 2023 mi sono vieppiù radicato nel convincimento che il Festival friulano, che vede da 33 anni alla direzione artistica Giancarlo Velliscig, sia oggi uno dei pochi ad aver veramente diritto di cittadinanza nell’universo festivaliero che oramai da anni accompagna l’estate degli italiani dalle Alpi alla Sicilia.
I perché sono molteplici: innanzitutto il giusto peso dato ai musicisti italiani e friulani in particolare; in secondo luogo, il tentativo, spesso riuscito, di allargare i confini del discorso oltre i limiti strettamente musicali per approdare a tematiche di carattere sociale che interessano anche chi di musica poco si occupa. E’ stato questo, ad esempio, il caso della mattinata dedicata al problema del rapporto tra jazz e donna approdato rapidamente alla più larga tematica del rapporto tra donna e mondo del lavoro.
Ciò, ovviamente, senza alcunché togliere alla qualità della musica che si è mantenuta su livelli più che buoni con punte di assoluta eccellenza. Tra queste punte va annoverato senza dubbio alcuno il concerto del quintetto ‘Eternal Love’ di Roberto Ottaviano al sax soprano con Marco Colonna ai clarinetti, Alexander Hawkins al pianoforte, Giovanni Majer al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria. L’occasione mi è particolarmente gradita per ribadire un concetto che porto avanti oramai da tanti anni: Ottaviano è uno dei più grandi musicisti che il panorama jazzistico internazionale possa oggi vantare e che quindi non ha raccolto tutto ciò che effettivamente merita.

Quest’ultimo lavoro, presentato anche a Udine, lo conferma appieno: Ottaviano, prendendo spunto dalla spaventosa realtà che ci circonda, caratterizzata da intolleranza, flussi migratori che non si fermano, guerre assurde si rivolge alla musica e alla sua capacità di accomunare anziché dividere, per innalzare un sentito omaggio alla spiritualità africana e lo fa rileggendo con autentica passione le musiche di Don Cherry, Charlie Haden, John Coltrane e Dewey Redman. Ma attenzione, nelle interpretazioni di Ottaviano, nulla c’è di calligrafico: il musicista pugliese è in grado di rileggere queste storiche partiture facendole proprie e quindi rivitalizzandole alla luce di un’esperienza di molti, molti anni, in ciò perfettamente coadiuvato da un gruppo che funziona magnificamente, in cui ogni segmento sonoro si incastra alla perfezione nel puzzle magnificamente ideato dal leader.

Le positive sensazioni lasciatemi dal concerto di Ottaviano sono state ribadite, ma con alcuni distinguo, poche ore più tardi dal concerto di Matteo Mancuso in trio con Stefano India al basso elettrico e Giuseppe Bruno alla batteria. Siciliano, classe 1996, figlio d’arte, Matteo è considerato l’enfant prodige della chitarra jazz italiana ed in effetti presenta una tecnica davvero straordinaria. Ma ovviamente ciò non basta per fare di un buon musicista, un vero artista: ci vuole ben altro. Ed in effetti l’inizio del concerto non mi aveva convinto dato l’impianto sonoro più vicino ai concerti pop-rock che non a quelli jazz. Poi il giovane chitarrista ha rotto gli indugi ed ha presentato una bellissima versione di ‘Black Market’ che ha spinto gli astanti a tributargli una vera e propria ovazione.

Ora, come si diceva, Mancuso è sostanzialmente agli inizi ma le premesse sono più che buone: adesso dovrà dimostrare non solo di avere una digitazione velocissima, ma soprattutto di far muovere quelle dite secondo idee ben precise (come in “Black Market”) e di essere capace di scrivere e arrangiare in maniera acconcia. Insomma, lo aspettiamo con curiosità a prove più impegnative.

Il giorno dopo di scena un altro artista siciliano ma oramai udinese d’azione: il pianista Dario Carnovale con Lorenzo Conte al contrabbasso, Sasha Mashin alla batteria e Flavio Boltro alla tromba. L’incontro tra uno dei migliori trombettisti italiani ed un pianista eclettico, talentuoso, prorompente come Carnovale prometteva scintille… e così è stato. Alternando pezzi originali a brani ben conosciuti il gruppo ha entusiasmato il numeroso pubblico presente.

Definire il loro stile non è impresa facile, ammesso poi che sia così importante. Comunque, per dare solo un’idea anche a chi non ha visto il concerto, si potrebbe dire che la loro musica si inserisce nell’alveo di un moderno main stream ora ricco di lirismo ora carico di coinvolgente energia. Ovviamente merito della bella riuscita del concerto è sicuramente dei due leader…ma anche della sezione ritmica con un Conte cha ha fatto capire a tutti perché ha suonato accanto a mostri sacri quali Art Farmer, Bob Sheppard e Enrico Rava mentre il batterista russo Sasha Mashin si è confermato uno dei musicisti più interessanti a livello europeo.

In serata tutti al Castello per la serata brasiliana accolta, more solito, con favore dal numeroso pubblico e preceduta in mattinata da una dotta conversazione sulla musica brasiliana guidata da Max De Tomassi, conduttore di Radio1RAi e vero esperto della materia. Due gli appuntamenti in programma. Dapprima si presenta sul palco per l’atteso solo-piano Amaro Freitas indossando un improbabile completino da spiaggia che avrebbe fatto invidia ai miei amici di Capalbio. Comunque, abbigliamento a parte, Freitas ha confermato le attese di quanti vedono in lui il nuovo esponente dell’odierno jazz brasiliano. Dotato di un’energia prorompente, che comunque riesce a dosare grazie ad un approfondito studio sullo strumento, Freitas si lascia andare ad una serie di improvvisazioni, molto giocate sul lato percussivo, che catturano l’attenzione dell’ascoltatore, preso per mano e condotto alla scoperta della storia e della filosofia della gente brasiliana attraverso la musica. In effetti obiettivo del nuovo lavoro del pianista – “Sankofa” – presentato a Udine è proprio quello – per esplicita ammissione dello stesso Freitas – di “capire i miei antenati, il mio posto, la mia storia come uomo di colore”.

C’è riuscito? Onestamente non posso dirlo in questa sede ma se avremo occasione di intervistarlo glielo chiederò; quel che è certo è che Freitas continua ad evolversi stilisticamente parlando e a rendere il suo discorso sempre più convincente e coinvolgente. A quest’ultimo proposito bella la conclusione del concerto con un brano dolce dedicato alla mamma che è stato supportato dal coro di tutto il pubblico.

Completamente diverso il discorso sul secondo concerto che vedeva sul palco una vera e propria icona non solo della musica brasiliana ma della musica in generale: Eliane Elias pianoforte e voce con accanto il compagno di vita nonché personaggio di assoluto rilievo nel mondo del jazz, Marc Johnson al contrabbasso, Leandro Pellegrino alla chitarra e Rafael Barata alla batteria. Per introdurre la Elias a quei pochi che ancora non la conoscessero, basti dire che nel 2022 ha vinto il Grammy come Miglior Album Latin Jazz con “Mirror Mirror” straordinario album di duetti con Chick Corea e Chucho Valdes. A Udine la Elias ha sciorinato solo una piccolissima parte del suo vastissimo repertorio facendo intendere come l’appellativo di “The Bossa Queen” sia ancora oggi più che meritato.

La classe esecutiva rimane cristallina mentre il vocale denuncia qualche piccola crepa che non inficia la bontà della performance impreziosita anche dall’altissimo livello degli altri componenti il quartetto. Tra questi assolutamente strabiliante il batterista Rafael Barata con la Elias da oltre dieci anni ma anche con Dianne Reeves e Jaques Morelenbaum. Barata è davvero fenomenale per come riesce a tenere in mano le redini del flusso ritmico che rimane costante per tutta la durata del concerto senza un attimo di stanca, senza che mai si avverta una qualche sensazione di vuoto o di scansione men che perfetta. Risultato: alla fine del concerto pubblico in piedi e meritatissima ovazione.

Il 16 al Giangio Garden Parco Brun esibizione del “Green Tea in Fusion” al secolo Franco Fabris Fender Rhodes e synth, Gianni Iardino sax alto e soprano, flauto, synth, Maurizio Fabris percussioni e vocale e Pietro Liut basso elettrico. Il quartetto, costituito nel 2022, ha già al suo attivo ben due CD e a quanto ci risulta è già in lavorazione il terzo. Il gruppo sta assumendo sempre più visibilità e consensi grazie ad una proposta musicale di livello caratterizzata da una raffinata ricerca melodica e da un impianto ritmico tutt’altro che banale.

Questi elementi assumono ancora maggior forza ove si tenga conto che il repertorio è composto unicamente da pezzi originali che ben arrangiati danno la possibilità ai singoli (tutti musicisti esperti eccezion fatta per il giovane ma bravissimo bassista) di evidenziare le proprie potenzialità. Con specifico riferimento al concerto di Udine, la musica è entrata in connessione con la performance di action painting dell’artista Massimiliano Gosparini che ha prodotto una bella tela donata al gruppo alla fine del concerto.

In serata, in piazza della Libertà, quella che io considero la più bella sorpresa del Festival: organizzata da Cinemazero, la proiezione del film muto “The Freshman – Viva lo sport” diretto da Sam Taylor e Fred Newmeyer, con Harold Lloyd e la colonna sonora eseguita dal vivo dalla Zerorchestra. Per quanto mi riguarda è stato sinceramente emozionante vedere scorrere sullo schermo le immagini di un bel film magnificamente commentate da una splendida orchestra tutta costituita da musicisti del Triveneto, tra cui Mirko Cisilino tromba e trombone, Francesco Bearzatti sax tenore, Luca Colussi batteria, Juri Dal Dan piano, Luca Grizzo percussioni.

La Zerorchestra nasce su iniziativa di Cinamezero, in occasione del centenario della nascita del cinema, come laboratorio per la scrittura di nuove partiture musicali per quelle pellicole che rappresentano il repertorio del cinema muto spesso ignorate dal grande pubblico. Io non so se il risultato è sempre pari a questo di Udine, non so se sia meglio l’orchestra nascosta agli occhi del pubblico o viceversa…quel che so è che a Udine la serata è stata davvero unica, magnifica, merito, a mio avviso, soprattutto dell’orchestra che ha saputo cogliere come meglio non si potrebbe gli stati d’animo dei personaggi. Di qui interventi solistici sempre acconci, misurati, pertinenti mentre i pieni orchestrali suggellano alcuni dei passaggi più significativi del film.

Il 17 luglio si apre, a Casa Cavazzini Museo di Arte Moderna, con un duo di improvvisazione totale costituito da Massimo De Mattia al flauto e Giorgio Pacorig al pianoforte. Devo confessare che la musica totalmente improvvisata non è di certo in cima ai miei gusti ma, ciononostante, Massimo De Mattia rientra tra i miei musicisti preferiti. Il perché non è facilissimo da spiegare: la sua musica mi soddisfa, ogni volta che la ascolto sento come se il flusso della vita moderna con le sue insidie, le sue mille sfaccettature, i suoi dolori, le sue gioie fossero racchiuse nelle note emesse dal suo flauto il cui discorso rimane sempre intellegibile a chi sappia ascoltare.

Ricordo qualche anno fa, sempre a Udine, che, mentre De Mattia stava suonando all’aperto, cominciarono a sentirsi distintamente il suono di campane e il cinguettio di uccelli. Bene, il flautista fu talmente bravo da inserire questi elementi nella sua musica ottenendo degli effetti semplicemente straordinari a dimostrare che la musica può essere fatta di moltissimi elementi. A Udine, in quest’ultimo concerto, ha dimostrato ancora una volta tutte le sue potenzialità duettando egregiamente con Pacorig, altro esponente di rilievo dell’area improvvisativa. Non a caso flauto e pianoforte si sono integrati alla perfezione con un gioco di rimandi, suggestioni, tensioni e distensioni che denotano quanto profonda sia la conoscenza della musica da parte di questi due artisti.

In serata altro evento clou del Festival: il concerto della sassofonista Lakecia Benjamin. Devo dire immediatamente che l’artista ha entusiasmato i numerosi spettatori grazie ad una performance caratterizzata da straordinaria energia, da un sound alle volte “sporco” a richiamare i più grandi esponenti del soul, e da un repertorio che ha toccato da molto vicino i grandi nomi del jazz. Ecco, quindi, l’immortale “A Love Supreme” riproposto con sincera partecipazione anche se, ovviamente, nessuna interpretazione può raggiungere il pathos, la drammatizzazione, l’aspirazione verso il divino così ben rappresentata da Coltrane. A Udine l’alto sassofonista ha presentato il suo ultimo lavoro – “Phoenix” – che racchiude una doppia metafora: da un lato racconta le cadute e le risalite di New York città in cui è cresciuta, dall’altro si riferisce ad una sua esperienza personale vissuta nel 2021 quando sfuggì miracolosamente alla morte dopo un grave incidente stradale.

A proposito del concerto, qualche commentatore ha posto l’accento sulla mise dell’artista lodandone l’indubbia eleganza. Apriti cielo! Sui social si è scatenata una dura polemica e qualche musicista (o forse pseudo tale) si è spinta fino ad ipotizzare che la scelta di presentarsi sul palco ben vestiti sia vetero borghese se non addirittura “fascio” (questa la parola usata). E poi ci meravigliamo perché tanti giovani che nulla capiscono di musica, che non sanno intonare neppure due note di seguito riescono ad avere un vasto pubblico: basta vestirsi da straccioni, parlare un italiano approssimato e il gioco è fatto.

Martedì 18 luglio ultima giornata funestata da una breve tempesta di vento sufficiente, comunque, a mandare per aria tutte le sedie già approntate nello spiazzale del Castello per il concerto finale di Pat Metheny. Fortunatamente il tempo è volto al meglio e quindi il concerto si è potuto svolgere regolarmente seppure iniziato con un’oretta di ritardo. E personalmente ho ritrovato il Metheny che negli ultimi anni avevo smesso di seguire data l’involuzione stilistica che a mio avviso aveva caratterizzato le ultime produzioni del chitarrista.

A Udine Pat è tornato sui suoi passi e perfettamente coadiuvato da giovani musicisti, quali Chris Fishman al pianoforte e Joe Dyson alla batteria a costituire il “Side-Eye Trio”, ha riproposto alcuni dei suoi pezzi storici quali “Bright Size Life”, “Better Days Ahead” e “Timeline” lasciando perdere complicati meccanismi e riproponendo quel sound nutrito da tanta tecnica, tanto studio ma anche tanta sincerità d’ispirazione, che l’aveva contraddistinto negli anni scorsi. Entusiasta la reazione del pubblico che ha calorosamente applaudito ogni brano e che dopo l’ultimo bis ha regalato all’artista una più che meritata standing ovation.

Gerlando Gatto

Udin&Jazz tocca quota 33! Molti gli appuntamenti da non perdere da Stewart Copeland a Pat Metheny, Eliane Elias e Roberto Ottaviano

Udin&Jazz tocca quota 33
Molti gli appuntamenti da non perdere tra cui quelli con Stewart Copeland, Pat Metheny, Eliane Elias e Roberto Ottaviano
Il festival in programma dal 10 al 18 luglio

Quest’anno, se tutto procede senza intoppi, ritornerò al Festival Udin&Jazz, organizzato da Euritmica, una delle pochissime manifestazioni del genere che stimolano ancora il mio interesse. E ciò per i motivi che ho più volte espresso ma che si riassumono nel fatto che il Festival si presenta sempre più legato al territorio di cui intende promuovere le eccellenze non solo artistiche.
Il Festival, in programma dal 10 al 18 luglio, offrirà alla città di Udine e alla regione intera circa 25 appuntamenti, fra location storiche e siti periferici, dove si terranno concerti, incontri, laboratori e proiezioni che coinvolgeranno oltre 110 artisti da 12 Paesi del mondo, 40 addetti e una cinquantina fra volontari e studenti, con la presenza della più qualificata stampa del settore.
Il tema scelto per questa 33^ edizione è “Jazz Against The Machine”, argomento che sarà approfondito il 10 luglio, all’apertura ufficiale del festival, nel corso di un apposito talk incentrato per l’appunto sul ruolo dell’arte e della musica dal vivo nello sviluppo dell’umanità dell’era digitale. In programma anche il concerto della Jazz Bigband Graz dedicato alla musica e alla cultura armena con una guest star: il vocalist e percussionista di fama mondiale Arto Tunçboyacıyan.
Scorrendo il vasto programma, alcuni appuntamenti appaiono imperdibili: Stewart Copeland, batterista, compositore e fondatore dei Police, si esibirà nel Piazzale del Castello il 12 luglio, prima data del suo tour europeo, con una straordinaria esperienza che propone i più grandi successi della band riarrangiati da Copeland in chiave orchestrale. Nel cast, anche il chitarrista di origini friulane, Gianni Rojatti e il bassista Alessandro Turchet, affiancati per l’occasione dalla prestigiosa FVG Orchestra, formazione recentemente annoverata dal Ministero della Cultura tra le migliori in Italia.
Altro concerto di assoluto rilievo quello di Pat Metheny in programma il 18 luglio; il chitarrista americano presenterà il suo recente progetto ‘Side Eye’ realizzato con talentuosi musicisti emergenti.
Due le star della notte brasiliana del 15 luglio: Amaro Freitas, giovane e prodigioso pianista, e la carismatica vocalist e pianista Eliane Elias, reduce dalla vittoria ai Grammy 2022.
Accanto a questi grossi calibri ci saranno anche giovani artisti internazionali tutti da scoprire quali Lakecia Benjamin, sassofonista newyorkese (17 luglio); Mark Lettieri, funambolico chitarrista, colonna portante degli Snarky Puppy (13 luglio); Matteo Mancuso, enfant prodige della chitarra (14 luglio).

Ovviamente anche questa volta non sarà poco lo spazio dedicato ai musicisti italiani: così, tra gli altri, avremo modo di ascoltare Roberto Ottaviano Eternal Love 5et (anche questo appuntamento degno della massima attenzione), Dario Carnovale trio feat. Flavio Boltro; Claudio Cojaniz; Massimo De Mattia e Giorgio Pacorig, Ludovica Burtone, violinista di origini udinesi residente a NYC, Soul System, GreenTea inFusion e la Zerorchestra.
In coerenza con quanto sottolineato in apertura circa l’aderenza del Festival alle necessità del territorio, Udin&Jazz estende i suoi orizzonti ben oltre i confini locali, realizzando progetti con festival e realtà europee e inviando giovani musicisti in residenze artistiche all’estero per momenti di crescita formativa e professionale. Anche in queste occasioni, Udine si pone, quindi,  al centro dei grandi circuiti europei del turismo culturale e artistico. All’Incontro JazzUpgrade (14 luglio) studenti e addetti ai lavori racconteranno l’esperienza di un campus di alta formazione musicale internazionale.
Questo e altri momenti, fanno parte di Udin&Jazz talk e Udin&Jazz(in)book, eventi collaterali strutturati secondo una logica che affronta sfaccettature diverse dell’anima jazz contemporanea. Fra i libri che verranno presentati, ricordiamo: Il Jazz e i mondi di Guido Michelone (12 luglio); la mini collana edita da Shake edizioni dedicata al grande poeta e intellettuale afroamericano Amiri Baraka (ospite di Udin&Jazz nel 2008), presentata da Marcello Lorrai in dialogo con Flavio Massarutto (13 luglio) e Sonosuono di Matteo Cimenti (17 luglio).
Dedicati agli studenti i workshop Jazz Sessions per i PCTO e il concerto di pianoforte partecipato di Agnese Toniutti per famiglie e bambini (15 luglio).
Da non perdere, dal 12 al 18 luglio: alle 12.00, gli Udin&Jazz Daily Special alla Ghiacciaia, aperitivi jazz con chiacchierate musicali, e le speciali dirette da Udine di “Torcida”, il programma sportivo e musicale dell’estate della rete ammiraglia Rai, condotto da Max De Tomassi, (presentatore ufficiale dei concerti del festival).
E vorrei chiudere questa nota su Udin&Jazz 2023 con le parole con cui Giancarlo Velliscig, direttore artistico del Festival, ma in realtà vera anima nonché instancabile motore della manifestazione, ha aperto la conferenza stampa di presentazione: «Si potrebbe dire che ricominciamo da 33, evocando un adorabile film del tenero Troisi. Udin&Jazz, infatti, non ricomincia da zero, come di solito si definiscono le ripartenze, ma dalla storia di 32 edizioni di un festival che ha saputo ritagliarsi un’autorevole collocazione tra i punti fermi del jazz nazionale».

Gerlando Gatto

IL PROGRAMMA COMPLETO DI UDIN&JAZZ
info dettagliate al sito www.euritmica.it

lunedì 10 luglio
ore 09:30 Groove Factory, Martignacco
WORKSHOP PCTO / 1
Progetto Jazz Sessions – Euritmica per le Scuole

ore 18:30 Corte Morpurgo
Udin&Jazz talk
JAZZ AGAINST THE MACHINE
Incontro sul ruolo dell’arte e della musica dal vivo nello sviluppo dell’umanità dell’era digitale Con la partecipazione di: Marco Pacini giornalista e scrittore / Angelo Floramo, docente e medievista, scrittore / Claudio Donà, critico, docente di Storia del Jazz al Conservatorio di Rovigo, produttore discografico / Giancarlo Velliscig, direttore artistico Udin&Jazz / Modera Andrea Ioime, giornalista e critico musicale
ore 21:30 Piazza Libertà
JAZZ BIG BAND GRAZ & GUESTS – ARMENIAN SPIRIT
Horst-Michael Schaffer, vocals, trumpet / Heinrich von Kalnein, reeds / Karen Asatrian, keyboards / Thomas Wilding, bass / Tom Stabler, drums
Special guests: Arto Tunçboyacıyan, percussion, vocals / Bella Ghazaryan, voice

martedì 11 luglio
ore 09:30 Groove Factory, Martignacco
WORKSHOP JAZZ SESSIONS / 2
Progetto Jazz Sessions – Euritmica per le Scuole
ore 20:00 via R. Di Giusto – Area Parrocchiale
Udin&Jazz talk
I LUOGHI DELLA MUSICA IN CITTÀ
Visioni, proiezioni, prospettive, progetti intorno agli spazi culturali e alle architetture dedicate alla musica in città.
Con: Federico Pirone, Ivano Marchiol, Chiara Dazzan – Assessori del Comune di Udine / Giancarlo Velliscig, presidente di Euritmica / Modera Oscar d’Agostino – caporedattore delle pagine culturali del Messaggero Veneto
segue
ore 21:30
SOUL SYSTEM Quartet
Piero Cozzi, sax / Mauro Costantini, piano / Andrea Pivetta, drums / Federico Luciani, percussion

mercoledì 12 luglio
ore 18:00 Spazio 35, via C. Percoto
Udin&Jazz (in) book
IL JAZZ E I MONDI Musiche, nazioni, dischi in America, Africa, Asia, Oceania
Guido Michelone presenta il suo libro (Arcana Ed.) e dialoga con Max De Tomassi, Radio 1 Rai
segue
ore 19:00
CLAUDIO COJANIZ “Black”
Claudio Cojaniz, piano feat. Mattia Magatelli, doublebass / Carmelo Graceffa, drums
ore 21:30 Piazzale del Castello di Udine
STEWART COPELAND & FVG ORCHESTRA
“Stewart Copeland Police Deranged for Orchestra” prima data europea
Stewart Copeland, drums, guitar, conductor / Troy Miller, conductor / Laise Sanches, vocals / Raquel Brown, vocals / Sarah-Jane Wijdenbosch, vocals / Vittorio Cosma, keyboard / Gianni Rojatti, guitar

giovedì 13 luglio
ore 18:00 Corte Morpurgo
Udin&Jazz(in) book
A SESSANT’ANNI DA “IL POPOLO DEL BLUES” (1963): L’EREDITÀ DI AMIRI BARAKA
Incontro con Marcello Lorrai, giornalista, scrittore e conduttore radiofonico in dialogo con Flavio Massarutto, scrittore e critico musicale
ore 20:00 Corte Morpurgo
LUDOVICA BURTONE 4et “Sparks”
Ludovica Burtone, violin, compositions / Emanuele Filippi, piano / Alessio Zoratto, doublebass / Luca Colussi, drums
ore 21:30 Piazza Libertà
MARK LETTIERI GROUP
Mark Lettieri, guitar, baritone guitar / Eoin Walsh, bass / Jason Thomas, drums / Daniel Porter- keyboards

venerdì 14 luglio
ore 18:00 Corte Morpurgo
Udin&Jazz talk: JAZZ UPGRADE
Jazz a Vienne e Udin&Jazz – Il campus di alta formazione musicale internazionale, come esempio della necessaria collaborazione e scambio per lo sviluppo della creatività giovanile e di un linguaggio musicale davvero globale. Con: Federico Pirone – Assessore alla Cultura Comune di Udine / Giovanni Maier, musicista, docente al Conservatorio Tartini Trieste / Glauco Venier, musicista e docente al Conservatorio Tomadini Udine / Roberto Ottaviano, musicista e docente al Conservatorio Piccinni Bari / Tomi Novak, presidente Kulturno umetniško društvo “Zvočni izviri” Nova Gorica / Giancarlo Velliscig, direttore artistico Udin&Jazz / In collegamento Benjamin Tanguy direttore artistico del Festival internazionale Jazz a Vienne (festival e città gemellati con Udine) e gli studenti italiani partecipanti al campus. In collaborazione con i Conservatori di Trieste e di Udine
ore 20:00 Piazza Libertà
ROBERTO OTTAVIANO – Eternal Love 5et
Roberto Ottaviano, sax / Marco Colonna, clarinets / Alexander Hawkins, piano, Giovanni Maier, doublebass / Zeno De Rossi, drums
ore 21:30 Corte Morpurgo
MATTEO MANCUSO trio
Matteo Mancuso, guitars / Stefano India, bass / Giuseppe Bruno, drums

sabato 15 luglio
ore 10:30 Casa Cavazzini, Museo di arte moderna e contemporanea
AGNESE TONIUTTI “Piano maestro”
Concerto partecipato per pianoforte, toy piano e piano preparato per bambini (dai 6 anni) e famiglie

ore 18:30 Piazza Libertà
DARIO CARNOVALE TRIO feat. FLAVIO BOLTRO
Dario Carnovale, piano / Lorenzo Conte, doublebass / Sasha Mashin, drums / feat. Flavio Boltro, trumpet
Piazzale del Castello di Udine
BRAZILIAN NIGHT
ore 20:30
AMARO FREITAS “Piano Solo”
Amaro Freitas, piano
segue
ore 22:00
ELIANE ELIAS
Eliane Elias, piano & vocals / Marc Johnson, bass / Leandro Pellegrino, guitar / Rafael Barata, drums

domenica16 luglio
ore 19:00 Giangio Garden – Parco Brun
GREENTEA inFusion “Viva Cuba!” New Album
Franco Fabris, Fender Rhodes, synth / Gianni Iardino, alto&soprano sax, flute, synth / Maurizio Fabris, percussion and vocals / Pietro Liut, electric bass
ore 21:00 Piazza Libertà
Introduzione al film e alla colonna sonora dal vivo di “The Freshman” a cura di Cinemazero – Pordenone
segue
ore 21:30
ZERORCHESTRA “The Freshman”
Proiezione del film muto con Harold Lloyd e la colonna sonora eseguita dal vivo dalla Zerorchestra: Mirko Cisilino, direzione, tromba e trombone / Francesco Bearzatti, sax tenore / Luca Colussi, batteria / Juri Dal Dan, pianoforte / Luca Grizzo, percussioni ed effetti sonori / Didier Ortolan, clarinetti / Gaspare Pasini, sax alto / Romano Todesco, contrabbasso / Luigi Vitale, vibrafono

lunedì 17 luglio
ore 18:30 Casa Cavazzini – Museo di arte moderna e contemporanea
Udin&Jazz(in) book
SONOSUONO
Incontro con Matteo Cimenti, autore del libro Sonosuono / Anselmo Paolone / Damiano Cantone / Massimo de Mattia / Giorgio Pacorig
segue
ore 20:00
MASSIMO DE MATTIA / GIORGIO PACORIG
Massimo De Mattia, flute / Giorgio Pacorig, piano
ore 21:30 Corte Morpurgo
LAKECIA BENJAMIN “Phoenix”
Lakecia Benjamin, alto sax / Zaccai Curtis, piano / EJ Strickland, drums / Ivan Taylor, bass

martedì 18 luglio
ore 18:30 Comunità Nove, parco S. Osvaldo
Udin&Jazz talk&sound
Doctor Delta “Zappa, idrogeno e stupidità”
Giorgio Casadei, oratore, chitarra, ukulele / Alice Miali voce, chitarra, banjolele, banjo, stylophone, kazoo
Tributo a Frank Zappa fra parole e musica nel trentennale della morte
In collaborazione con Vicino/Lontano Mont e Comunità Nove – Coop. sociale Itaca
ore 21:30 Piazzale del Castello di Udine
PAT METHENY “Side-Eye”
Pat Metheny, guitars/ Chris Fishman, piano, keyboards / Joe Dyson, drums

dal 12 al 18 luglio in diretta da Udine
MAX DE TOMASSI conduce “TORCIDA” e presenta sul palco i concerti di Udin&Jazz

Dal 12 al 18 luglio
Ore 12:00 Osteria alla Ghiacciaia
Udin&Jazz daily special:
12 luglio: Stewart Copeland e i Police, con Andrea Ioime
13 luglio: I collettivi musicali, con Guido Michelone
14 Luglio: Il jazz del futuro, il futuro del jazz, con Marcello Lorrai
15 luglio: Miti e leggende della musica brasiliana, con Max De Tomassi 18 luglio: La storia del Pat Metheny Group, con Flaviano Bosco

17 luglio Ore 12:00 Corte dell’Hotel Astoria
Dora Musumeci/Lakecia Benjamin, Tra le donne del jazz, con Gerlando Gatto

Udin&Jazz per i musicisti
Se sei un musicista iscritto a MIDJ e sei in possesso del QR code (inviato dalla segreteria al tuo indirizzo di posta) hai diritto al biglietto ridotto o all’abbonamento YOUNG per gli eventi del Festival. Info: www.musicisti-jazz.it

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biglietti e abbonamenti
tutti gli eventi sono ad ingresso gratuito ad eccezione di:
mercoledì 12 luglio – Piazzale del Castello
Stewart Copeland & FVG Orchestra
Poltronissima intero € 55,00 + € 8,25 d.p. / ridotto € 44,00 + € 6,60 d.p. Platea intero € 40,00 + € 6,00 d.p. / ridotto € 32,00 + € 4,80 d.p.

venerdì 14 luglio – Corte Morpurgo
Matteo Mancuso
intero € 15,00 + € 2,00 d.p. / ridotto € 10,00 + € 1,50 d.p.

sabato 15 luglio – Casa Cavazzini
Agnese Toniutti
posto unico € 7,00
prevendita su eventbrite.it (non acquistabile all’ingresso).

sabato 15 luglio – Piazzale del Castello
BRAZILIAN NIGHT Amaro Freitas + Eliane Elias
intero € 30,00 + € 4,50 d.p. / ridotto € 24,00 + € 3,60 d.p.

lunedì 17 luglio – Corte Morpurgo
Lakecia Benjamin
intero € 25,00 + € 3,75 d.p. / ridotto € 20,00 + € 3,00 d.p.

martedì 18 luglio – Piazzale del Castello
Pat Metheny
Poltronissima intero € 50,00 + € 7,50 d.p. / ridotto € 40,00 + € 6,00 d.p.
Platea intero € 40,00 + € 6,00 d.p. / ridotto € 32,00 + € 4,80 d.p.

abbonamento full festival (5 concerti, settore poltronissima)
intero € 150,00 | ridotto € 120,00 | young € 100,00 / L’abbonamento young è riservato a: studenti di ogni ordine e grado under 26.
I biglietti e gli abbonamenti ridotti sono riservati a: studenti di ogni ordine e grado under 26; Soci Banca di Udine; possessori Contatto card, Iscritti a Groove Factory, Iscritti alla Università delle Liberetà, Associati Arci; musicisti iscritti al MIdJ; soci Vicino/Lontano; soci A.C.CulturArti.
biglietteria e prevendita
circuito e punti vendita Vivaticket / per i concerti di Stewart Copeland e Pat Metheny circuito e punti vendita TicketOne / per gli eventi gratuiti prenotazioni su eventbrite.it
abbonamenti: tickets@euritmica.it

Enrico Rava: lo scrittore friulano Valerio Marchi intervista il grande trombettista

Lo scorso 23 giugno, alla rassegna “Borghi Swing” by Udin&Jazz, organizzata da Euritmica e Comune di Marano Lagunare, in provincia di Udine, Enrico Rava avrebbe dovuto esibirsi con la sua tromba e il suo flicorno assieme a Francesco Diodati (chitarra), Gabriele Evangelista (contrabbasso) ed Enrico Morello (batteria). Purtroppo, per cause di forza maggiore (un’indisposizione dell’artista), il concerto è stato annullato. Crediamo comunque di far cosa gradita pubblicando l’intervista che Rava ci ha concesso qualche giorno prima, augurandoci di cuore di poterlo rivedere presto in Friuli Venezia Giulia. (Valerio Marchi)

-Maestro, che rapporto ha con il Friuli?
«Bellissimo! A parte il fatto che mia moglie ha origini di Sacile, sono amico di musicisti friulani straordinari: da U.T. Gandhi a Francesco Bearzatti, ma anche Mirko Cisilino – che reputo il trombettista italiano più interessante, e che fra l’altro non è solo trombettista – e poi Giovanni Maier… Non solo, ma in Friuli nacque uno dei gruppi che più ho amato e che è durato di più: gli Electric Five, di cui fecero parte anche Gandhi, che ne era la colonna portante, e Maier. Poi ho altri cari amici, ad esempio Checco Altan ad Aquileia, e mi piacciono infinitamente la natura e il cibo».

Trova florido il panorama jazzistico del nostro territorio?
«Sì, ma sia per questa che per altre regioni italiane che hanno un’attività molto viva, avviene spesso che ciò che si sviluppa da una parte – mi riferisco sempre al jazz – rimane più o meno lì. Anche in Calabria, in Sardegna o in Sicilia, ad esempio, ci sono eventi notevoli e musicisti giovani e fantastici che meriterebbero una fama ben più larga. Si può avere un successo strepitoso a Udine o a Palermo, per capirci, ma poi…»

-E lei come si spiega questo fenomeno?
«Non so, forse abbiamo ancora un retaggio dell’Italia dei Comuni, molte cose fanno molta fatica a varcare i confini. Gli unici luoghi che fanno più notizia a livello nazionale sono Milano e Roma, ma ciononostante nel nostro Paese manca, di fatto, un vero e proprio centro: come, ad esempio, Parigi per la Francia, Londra per l’Inghilterra o New York per gli USA, dove tutto ciò che avviene in quegli Stati in qualche modo si convoglia lì: vai lì e prima o poi conosci tutti».

-La sua fortuna infatti fu proprio quella di vivere a New York da giovane.
«Assolutamente sì. I dieci anni trascorsi a New York, a partire dai miei 24 anni in poi, sono stati fondamentali».

-Il Seminario che lei tiene da tanti anni a Siena sopperisce in qualche misura all’inconveniente tutto italiano di cui abbiamo appena parlato?
«È almeno l’occasione per conoscere musicisti strepitosi che altrimenti, forse, non conoscerei mai, a meno di non fare un continuo “Grand Tour” per l’Italia… e infatti quasi tutti i miei gruppi sono nati dall’esperienza di Siena. Tornando ai musicisti friulani, lo stesso Giovanni Maier lo conobbi lì; fu lui a farmi conoscere U.T. Gandhi e poi nacquero gli Electric Five».

-Il Friuli, e più in generale il Friuli Venezia Giulia e l’Italia, potrebbero avere dunque un maggior numero di celebrità internazionali?
«Abbiamo qualche jazzista italiano “iconico”, fra cui il sottoscritto, ma per tanti altri musicisti, giovani e meno giovani, in Friuli come altrove, è difficilissimo agguantare quello spazio che meriterebbero; così, da un certo punto di vista, essi rimangono sempre “promesse per il futuro” pur essendo realtà ben concrete e di qualità. Per non parlare delle formidabili musiciste!».

-In effetti il largo pubblico, al di là di nomi di primissimo piano come quelli di Rita Marcotulli o Stefania Tallini, non conosce molto del versante femminile.
«Già, ma emergono ragazze – Anaïs Drago, Evita Polidoro, Francesca Remigi, Sophia Tomelleri, solo per citarne alcune – che suonano benissimo, sono davvero eccezionali e ottengono anche riconoscimenti importanti. Ma di loro finalmente si inizia a parlare, e con la novità che portano si smuovono le acque e i media, il che ci aiuta a non cadere nella routine».

-E per lei la routine, a quasi 83 anni, rimane la principale nemica: giusto?
«Certo! La mia fortuna è di non essermi mai adagiato. Ho sempre bisogno di sorprese, da parte chi suona con me e da me stesso: per questo occorre che i componenti del mio gruppo abbiano una visione della musica vicino alla mia e la capacità di ascoltare, di comunicare quasi telepaticamente con una visione comune, con piena fiducia reciproca: quando tutto funziona bene, ognuno dà e riceve ciò di cui c’è bisogno per la creazione musicale. Senza rinunciare al proprio ego, ma senza prevaricare.

-Molte cose impreviste possono accadere, dunque, durante un concerto?
«Sì, la mia musica è molto libera. Io do una cornice, un canovaccio all’interno del quale ognuno è veramente libero, e quando c’è quella piena fiducia reciproca di cui parlavo tutto può svilupparsi al meglio, prendendo anche strade impensate. Non faccio mai una scaletta. Decido un primo pezzo, decido da dove si parte, poi dove vada a finire il concerto non lo so, perché dipende da tanti fattori: il suono, l’amplificazione, l’acustica, il pubblico, come stiamo noi, e così via…».

-Sembra facile… anzi no.
«Infatti non è facile. Ma per me non c’è nulla di peggio che sentire suonare un gruppo, anche di altissimo livello, che si limiti però ad una esibizione in cui ciascuno fa vedere la propria abilità senza costruire veramente assieme, senza quel legame perfetto che nasce dal collegamento diretto fra il nostro universo spirituale e l’equilibrio universale, fra la nostra armonia interiore e quella dell’universo. È una cosa difficile da spiegare, forse può far ridere qualcuno, ma è così. La musica non è matematica, è magia: ed è per questo che, nonostante l’età, continuo a suonare invece che dar da mangiare agli uccellini al parco».

-Una magia che il Covid ha alquanto limitato… Lei come ha vissuto il lungo periodo di pandemia?
«Il primo periodo bene: ho letto tantissimo – amo molto leggere – e ho riposato, mi sono esercitato, ho studiato lo strumento… (chi volesse approfondire può cliccare qui per leggere l’intervista di Gerlando Gatto a Rava, contenuta nel libro “Il Jazz Italiano in Epoca Covid” n.d.r.). Poi durante l’estate ho suonato di nuovo parecchio dal vivo, sinché è cominciato il secondo periodo di pandemia che, anche a causa di alcuni acciacchi, ho vissuto molto peggio: come diceva Moravia, il problema dell’età non esiste, il vero problema sono le malattie dell’età… Anche di recente, per un serio problema di salute, ho dovuto rimanere tre mesi senza poter suonare; poi, dopo la convalescenza, mi sono esercitato un paio di settimane e la prima cosa che ho fatto è stata quella di registrare un CD – peraltro venuto benissimo – con il grande pianista americano Fred Hersch».

-E questo CD quando uscirà?
«A settembre».

-Diceva del suo amore per la lettura; ma lo stesso vale anche per l’ascolto della musica, di tutta la musica e non solo il jazz, giusto?
«Certo. Apprezzo moltissimo, ad esempio, i Rolling Stones, oppure i Queen, per non parlare dei Beatles… ma potrei continuare. Tutti geniali, incredibili. E questo vale anche per altri generi di musica e di interpreti».

Ci dispiace un po’ per gli uccellini al parco, ma speriamo proprio che debbano aspettare ancora a lungo…

Valerio Marchi

I nostri CD

ACT – Compilation in primo piano Predisporre delle compilation è impresa allo stesso tempo facile ma estremamente rischiosa. Facile perché quando si ha a disposizione un catalogo piuttosto ampio e variegato come quello della ACT risulta agevole scegliere fior da fiore e produrre un album. Il rischio, o meglio la difficoltà consiste nel trovare un filo rosso che leghi in maniera plausibile i vari artisti presentati. E crediamo che sotto questo profilo le scelte della casa tedesca risultano appropriate. Ecco quindi le tre ultime compilation che vi presentiamo in questa sede.
In “Romantic Freedom – Blue in Green” la ACT risponde a quella che è sempre stata una sua antica mission, valorizzare i giovani pianisti talentuosi che man mano si affacciavano sulla scena europea. Ecco quindi raccolti alcuni artisti – in solo, in duo o in trio – che nel corso degli anni sono diventati elementi di primissimo piano nel panorama internazionale e non solo europeo. Qualche nome: Esbjörn Svensson, Joachim Kühn, Michael Wollny, Iiro Rantala, David Helbock, Leszek Mozdzer, Johanna Summer, Bugge Wesseltoft, Carsten Dahl, Yaron Herman, Jacob Karlzon…Insomma una fotografia quanto mai esaustiva della scena pianistica europea a tutto vantaggio, sia di giovani appassionati che ancora poco conoscono, sia di “vecchi” appassionati che magari hanno voglia di sentire uno dopo l’altro alcuni dei loro pianisti preferiti.

“Magic Moments 14 – In the Spirit of jazz” è una compilation fortemente voluta dal boss dell’etichetta Siggi Loch, il quale – informa l’ufficio stampa della stessa ACT – ha personalmente selezionato con cura i migliori titoli recenti dal suo catalogo. Una accanto all’altra possiamo così ascoltare le star dell’etichetta: Nils Landgren, Emile Parisien, Nesrine, Lars Danielsson, Joachim Kühn, etc. In repertorio sedici brani che illustrano al meglio da un canto ciò che il jazz ha rappresentato nel mondo, dall’altro quale sia ancora oggi la sua capacità di unire, di creare un ponte tra gli uomini indipendentemente da qualsivoglia barriera di etnia o di religione.

“Fahrt ins Blaue III – dreamin’ in the spirit of jazz” in oltre un’ora di musica offre un momento di sincero relax pur restando a tutti gli effetti in territorio jazzistico. D’altro canto gli artisti scelti non ammettono obiezioni al riguardo. Si parte con due piccole ma luccicanti perle di Esbjorn Svensson registrato sia in piano solo sia alla testa del suo gruppo E.S.T. e si prosegue con una sfilza di nomi che hanno dato lustro al jazz europeo come, tanto per fare qualche esempio, il quartetto di Nils Landgren, il trio composto dal nostro Paolo Fresu con Richard Galliano e Jan Lundgren, le vocalist Viktoria Tolstoy e Norah Jones, Ulf Wakenius. L’album trova la sua omogeneità nella gradevolezza di tutti i brani all’insegna di una cantabilità ben lontana da qualsivoglia sperimentazione.

Harald Bergersen – “Baritone” – Losen Cantabilità che caratterizza anche questo nuovissimo album del baritonista Harald Bergersen che alla verde età di 84 continua a calcare validamente le scene e ad essere giustamente considerato una icona del jazz norvegese. In questa sua ultima fatica discografica è alla testa di un quartetto completato da Bård Helgerud (guitar), Fredrik Eide Nilsen (double bass), Torstein Ellingsen (drums & percussion). Il repertorio consta di 12 brani con cui Harald intende omaggiare alcuni grandi quali Tommy Flanagan, Billy Strayhorn, Thad Jones e Gerry Mulligan tra gli altri. Insomma una sorta di viaggio in un passato non tanto prossimo ma reinterpretato con coerenza, sincerità d’ispirazione e tanta, tanta bravura strumentale. Il quartetto si muove con leggerezza affrontando anche partiture non particolarmente semplici com’è il caso, ad esempio, di “Chelsea Bridge” un brano all’apparenza semplice ma come tutte le composizioni di Stratyhorn in realtà assai complesso da rendere efficacemente. All’ottima riuscita dell’album hanno contribuito in maniera sostanziale tutti i componenti del gruppo, dal chitarrista Bård Helgerud (lo si ascolti ad esempio in “Three and One” di Thad Jones in “Blues in the Closet” di Oscar Pettiford o in “Observing” di Helgerud con uno straniante richiamo alle musiche di Django) alla sezione ritmica quanto mai precisa e propulsiva (ammirevole Nilsen soprattutto nel già citato “Blues in the Closet”). Ma su tutti spicca sempre il sax baritono del leader, dal suono morbido, dall’eloquio forbito che richiama alla mente il post-bop non scevro da alcune sfumature ‘bossanovistiche’ se non a tratti addirittura funk.

Danilo Blaiotta – “The White Nights Suite” – Filibusta Solo due anni fa, nel 2020, Danilo Blaiotta veniva salutato come un talento emergente grazie alla buona riuscita dell’album “Departures” (Filibusta Records). Il secondo capitolo discografico del Danilo Blaiotta Trio (con Jacopo Ferrazza al contrabbasso e Valerio Vantaggio alla batteria) è questo “The White Nights Suite”. Si tratta di una composizione originale suddivisa in 11 movimenti, tutti a firma del leader, ispirata al romanzo “Le notti bianche “di Fedor Dostoevsky. L’organico che si ascolta nel disco presenta, accanto al già citato trio, Stefano Carbonelli alla chitarra elettrica, Fabrizio Bosso alla tromba e Achille Succi al sax alto e clarinetto basso. Il titolo dell’album richiama esplicitamente l’opera del grande scrittore e filosofo russo così come nel primo brano – “Fisrt Night / St. Petersburg” – è chiaro il riferimento alla passeggiata del protagonista per le strade di Pietroburgo. Di qui l’album prende man mano consistenza raggiungendo picchi di grande intensità espressiva come nel brano “The Meeting” che evidenzia da un lato Bosso il quale, abbandonato il suo virtuosismo spesso muscolare, si esprime con dolce misura, dall’altro il leader che disegna un assolo tra i più notevoli dell’intero album. Ma non è la sola perla del CD; si ascolti, ad esempio, con quale pertinenza il trio – senza ospiti – esegue “Second Night – The Dreamer” a rappresentare il dialogo tra i due protagonisti attraverso l’empatia del trio; e ancora superlativo il clarinetto basso di Achille Succi in “Nasten’ka” un pezzo dal sapore vagamente balcanico mentre in “Third Night” il linguaggio del gruppo assume colorature più prettamente jazzistiche.

Anais Drago – “Solitudo” – Cam Anais Drago è violinista di sicuro spessore, capace di inglobare nel proprio repertorio input provenienti dalle più disparate angolature. Ecco quindi dieci sue composizioni – affiancate dalla “Gnossienne” di Erik Satie da lei stessa arrangiata – in cui non è difficile scoprire le fonti da cui l’artista ha attinto per forgiare la “Sua” musica, una musica che si colloca in un contesto del tutto personale: il linguaggio non è jazzistico in senso stretto in quanto  si allontana egualmente sia dagli stilemi afroamericani,  sia dalla musica classica propriamente detta sia dalla musica contemporanea: siamo, insomma, in un contesto sonoro in cui la Drago ha modo di esprimere tutte le proprie potenzialità senza lasciarsi condizionare da alcunché ma seguendo semplicemente la propria ispirazione, cosa facile a dirsi ma non altrettanto a farsi. E così tutto l’album gode di grande coesione tanto che per gustarne la valenza occorre ascoltarlo con la medesima curiosità dalla prima all’ultima take. Tra queste sceglierne qualcuna in particolare non è impresa facile anche se ci sentiamo di segnalare il già citato brano di Satie, in apertura di album, che sviluppato su un tappeto elettronico, rivela una certa malinconia di fondo, mentre in tutte le composizioni originali appare evidente uno dei suoi principali motivi ispiratori, da lei stessa rilevato nel corso di una recente intervista: “L’improvvisazione e la sperimentazione sono elementi che ricerco in qualità di musicista, tanto quanto rifuggo in qualità di persona”.

Claudio Fasoli – “Next” – Abeat Claudio Fasoli è uno di quei rari musicisti che non sbaglia un colpo. Quando trovate un suo nuovo album state pur certi che si tratta di musica di indubbia qualità. In tanti anni di onorata carriera, il sassofonista si è guadagnato una reputazione ed un rispetto che lo collocano in cima ai migliori sassofonisti e non solo a livello nazionale. E questa sua ultima fatica discografica non fa eccezione. Registrato in quartetto nello scorso maggio, l’album presenta il sassofonista alla testa di una nuova formazione ma perfettamente in linea con quanto è stato proposto in precedenza. Insomma il Fasoli è quello che abbiamo imparato a conoscere nel corso di tutti questi anni, vale a dire non solo un esecutore di assoluto livello ma anche un compositore che conosce perfettamente l’arte di fare musica. In effetti tutti e sette i brani contenuti nel CD sono sue composizioni e alternano momenti di grande intensità ritmica sì da richiamare abbastanza esplicitamente il mondo rock ad atmosfere in cui si sfiora atmosfere più vicine al nuovo jazz europeo, il tutto senza trascurare una certa cantabilità. Da sottolineare il sottile gioco sulle dinamiche, l’uso dei silenzi, il ricorso ad una variegata palette di colori. Ma quel che rende questo album degno della massima attenzione è sempre lui, Claudio Fasoli, che come si accennava in apertura, non ha certo perso questa ulteriore occasione per evidenziare il suo talento. Eccolo, quindi, fraseggiare con eloquio elegante, raffinato, solo all’apparenza semplice ma in realtà frutto di anni di studio, di assiduo lavoro. Fresu, Di Bonaventura, Vacca –

“Tango Macondo” – TUK Music Paolo Fresu – popOFF- Tuk Music Ecco due album di ispirazione completamente diversa ma che hanno il pregio di essere eseguiti in modo magistrale. Il CD dedicato al tango – “Tango Macondo” – vede il musicista sardo affiancato da Daniele di Bonaventura al bandoneon, Pierpaolo Vacca all’organetto e Elisa, Malika Ayane, e Tosca alla voce in tre brani. Il repertorio si sostanzia nella colonna sonora dello spettacolo che sta girando in varie città italiane ottenendo ovunque unanimi consensi. E il perché è facilmente spiegabile: Fresu e compagni riescono a creare un clima quasi onirico in cui l’ascoltatore è portato inevitabilmente a riallacciarsi a qual luogo – Macondo – creato dalla fervida fantasia di Gabriel Garcia Marquez nel suo “Cent’anni di solitudine” e quindi a intraprendere una sorta di viaggio accompagnato dalla musica certo di ispirazione tanguera ma che non disdegna di coniugare il moderno degli effetti elettronici con l’arcaico di bandoneon e organetto. Il tutto, ovviamente, cucito dalla tromba e dal flicorno del leader che non perde occasione per evidenziarsi artista maturo, perfettamente consapevole delle proprie possibilità e quindi in grado di esprimersi sempre con squisita sensibilità. Doti che ritroviamo anche nel secondo album “popOFF” in cui il trombettista sardo ha voluto rendere omaggio alla sua città d’elezione, Bologna, attraverso la rilettura delle canzoni dello “Zecchino d’oro”. Il CD, che si avvale anche di una veste grafica particolarmente curata e accattivante, vede impegnato un organico piuttosto rilevante in cui, accanto al leader, ritroviamo Cristiano Arcelli al sax soprano, clarinetto basso, flauto e melodica, Dino Rubino al piano, Marco Bardoscia al basso, il Quartetto Alborada e la vocalist Cristina Zavalloni cui si aggiunge in un brano il flauto di Luca Devito. Certo suscita una certa curiosità ascoltare le canzoni scritte appositamente per bambini ma sulla base del vecchio ma giusto detto per cui “jazz non è ciò che si suona ma come lo si suona” ecco che melodie in origine destinate ad esecutori in tenera età, si trasformano in pezzi jazzisticamente validi grazie all’interpretazione degli artisti su citati. Ed il disco risulta davvero gradevole senza che per un solo momento si abbia la sensazione di ascoltare qualcosa di banale.

Carmine Ioanna – “Ioanna Music Company” – abeat Delizioso album firmato dal fisarmonicista Carmine Ioanna alla testa di un gruppo con Gianpiero Franco (batteria), Eric Capone (pianoforte e tastiere), Giovanni Montesano (basso e contrabbasso) cui si sono aggiunti in qualità di ospiti Francesco Bearzatti (sax tenore e clarinetto), Gerardo Pizza (alto sax), Daniele Castellano (chitarra), Sophie Martel (sax soprano). L’album ha una storia particolare essendo stato concepito nei mesi scorsi, vale a dire in uno dei periodi più difficili che l’Italia del dopoguerra abbia attraversato, e registrato al teatro “Adele Solimene” di Montella (Avellino) nei primissimi giorni di maggio del 2021 dopo tanti mesi di isolamento, necessariamente lontani dai palcoscenici. Di qui l’idea, esplicitata dallo stesso Carmine nelle brevi note che accompagnano il CD, di pensare “Ioanna Music Company” come non “solo un album bensì un progetto di condivisione umana e artistica”. Logica, perciò,   la scelta di coinvolgere alcuni musicisti e tecnici di grande profilo e soprattutto di grande affinità. Il risultato, come si accennava in apertura, è più che positivo; la musica scorre come una sorta di racconto in cui ognuno può ritrovare le proprie emozioni mantenendo sempre una propria omogeneità. Tutti i brani meritano di essere ascoltati anche se le nostre preferenze vanno alla title track, sette minuti di rara intensità, sottolineati da brevi assolo dei fiati e da un andamento ritmico particolarmente serrato e al successivo “Postcard From Dreamland” un breve bozzetto (inferiore ai due minuti) di toccante dolcezza. Quasi inutile sottolineare come ancora una volta Ioanna si conferma tra i migliori fisarmonicisti oggi in esercizio e non solo nel nostro Paese. Hermon Mehari, Alessandro Lanzoni –

“Arc Fiction” – MIRR Duo senza rete questo che vede protagonisti il trombettista statunitense ma parigino d’adozione Hermon Mehari (classe 1987) e il nostro pianista Alessandro Lanzoni (nato nel 1992) impegnati nel loro primo album in duo registrato nel marzo 2021 e pubblicato il 10 ottobre scorso. Il combo funziona bene: i due si intendono alla perfezione e così la musica scorre fluida, interessante senza che in un solo momento si noti la carenza di altri strumenti. I due amano scambiarsi il ruolo di prim’attore così quando è il pianoforte a dettare la linea, la tromba è pronta a ricevere il testimone e viceversa in un alternarsi di intrecci mai scontati. In repertorio undici brani di cui ben dieci originali (scritti o a due mani o singolarmente dal trombettista e dal pianista) e il celebre “Donna Lee” di Charlie Parker. In particolare “End of the Conqueror”, “B/Bb”, “Reprise in Catharsis”, “Volver”, “Peyote”, “Boston Kreme” e “Penombra” sono stati composti da Mehari e Lanzoni, mentre “Savannah” e “Fabric” sono opera del solo pianista, così come “Dance Cathartic” è da attribuire al solo trombettista. La caratteristica principale dell’album è la godibilità della musica che pur non essendo scontata o banale riesce comunque a farsi ascoltare dal primo all’ultimo minuto. In tale contesto individuare le parti scritte e quelle improvvisate è tutt’altro che facile (si ascolti al riguardo sia “Savannah” sia “Fabric”) dato che i due artisti possono fare affidamento su una squisita sensibilità e su una indubbia preparazione tecnica. Di qui la difficoltà di segnalare qualche brano in particolare anche se personalmente troviamo “Dance Cathartic” particolarmente elegante e ben strutturato.

Angela Milanese – “Racconto italiano” – Caligola Partiamo da un presupposto: le canzoni non sono qualcosa di sciocco, senza importanza ma rappresentano la colonna sonora della nostra vita quotidiana. Basti confrontare i testi degli anni’30 con le composizioni di oggi per rendersi conto di quanto questa affermazione sia veritiera. Se non si ha, quindi, la puzza sotto il naso dei “veri intenditori di jazz” questo è un album che può essere ascoltato con interesse e, perché no, con piacevolezza. Lei è una vocalist-compositrice di squisita sensibilità e ad accompagnarla sono musicisti di rilievo come Paolo Vianello nella duplice veste di pianista-tastierista e arrangiatore, Alvise Seggi al contrabbasso e Luca Colussi alla batteria. In cartellone dieci brani che accompagnano l’ascoltatore in una sorta di viaggio immaginario dagli anni ’30 fino ai giorni d’oggi. La Milanese rilegge questi pezzi secondo la propria cifra stilistica ben coadiuvata da Vianello e compagni. Così canzoni famose come “Ma le gambe” (1938), “Bellezze in bicicletta”, “Un’estate fa”, “Domani è un altro giorno”, “Rosalina” (1984)…tanto per citare qualche titolo, rinascono a nuova vita pronte per essere apprezzate anche dai più giovani che forse mai le hanno ascoltate nella versione originale. Un’ultima non secondaria notazione: l’album è stato registrato durante un concerto svoltosi il 23 maggio del 2019 all’Auditorium Candiani di Mestre, e la dimensione live riflette ancor meglio la bravura dei musicisti che danno vita ad una performance a tratti trascinante.

Bernt Moen Trio – “The Storm” – Losen Il pianista norvegese Bernt Morten è artista poliedrico capace di transitare con estrema disinvoltura da un linguaggio prettamente jazzistico a forme espressive molto prossime al funk e alla fusion. In questa sua ultima realizzazione, registrata nel febbraio del 2021, l’artista torna sul terreno che forse gli è più congeniale vale a dire quello del classico piano trio. Ad accompagnarlo il batterista Jan Jnge Nilsen e il bassista Fredrik Sahlander. In repertorio dodici brani tutti composti dal leader e tutti caratterizzati da una solida struttura e quindi da un profondo senso dello spazio. I tre si muovono con empatia tanto che risulta assai difficile distinguere le parti improvvisate da quelle scritte. Nonostante il linguaggio sia jazzistico nell’accezione più comune del termine, tuttavia in alcuni frangenti si avverte, prepotente, l’eco della tradizione compositiva europea. E’ il caso, ad esempio, del secondo brano in programma “Majestic”, e di altri tre brani, “Ode”, “Floating” e “Sakral” tutti presentati in piano solo in cui, come si accennava, è ben presente una certa atmosfera Romantica. Assai ben costruita la title track che si apre con una intro per piano solo dopo di che i tre improvvisano ben sostenuti dalla batteria. Convincente anche “Passing By, Not Too Fast, Not Too Slow”, il brano più lungo dell’album con i suoi 6’21, in cui Moen e compagni mescolano sapientemente elementi tratti dal jazz così come dal folk, con Fredrik Sahlander in grande spolvero.

Jorge Rossy – “Puerta” – ECM Debutto come leader in casa ECM per Jorge Rossy che si presenta nella duplice veste di compositore (nove dei dieci brani dell’album sono dovuti alla sua penna) ed esecutore. Impegnato al vibrafono e alla marimba dirige un trio completato da Jeff Ballard batteria e percussioni e Robert Landfermann basso. Jorge è quel che si definisce un musicista a 360 gradi: nasce nel 1964 a Barcellona in una famiglia di musicisti, il padre Mario suona piano, chitarra e fisarmonica, ed ha accanto a sé un fratello e una sorella anch’essi musicisti. Inizia così a suonare la batteria all’età di undici anni e nel 1978 comincia a studiare percussioni classiche. Nel 1980 studia armonia jazz e improvvisazione, suonando piano e vibrafono; l’anno successivo inizia a suonare anche la tromba ma lo strumento principale, con cui comincia ad esibirsi professionalmente, è la batteria. Ed è con questo strumento che si fa conoscere collaborando per una decina d’anni con Brad Mehldau. Come si accennava in quest’ultimo lavoro discografico si cimenta al vibrafono e alla marimba con risultati assolutamente eccellenti. Contrariamente a quanto forse ci si potrebbe aspettare da un batterista, in questo album Jorge suona quasi per sottrazione, le note che intona sui suoi strumenti sono poche, sillabate, distillate si potrebbe dire come a voler far respirare la musica. In ciò ben coadiuvato dai due partners che assecondano questo gioco di sottili rimandi, senza eccedere in alcun momento. Dopo aver attraversato varie atmosfere, garantendo anche un pizzico di swing (cfr “Post-Catholic Waltz”) il CD si chiude con un brano dal sapore tanguero, dal significativo titolo “Adios”.

Daniela Spalletta – “Per Aspera ad Astra” – TRP Music La Sicilia continua a proporsi come terra di talenti: proprio dall’Isola arriva infatti questo album della vocalist Daniela Spalletta che definire eccellente forse è poco. Ben coadiuvata da Jani Moder alla chitarra, Seby Burgio al pianoforte, Alberto Fidone al contrabbasso e basso elettrico e Giuseppe Tringali alla batteria cui si aggiunge la TRP Studio Orchestra, ci propone una sorta di viaggio introspettivo al cui termine c’è comunque una luce vitale. Ora, mettere in musica tali concetti, è impresa piuttosto ardua eppure la vocalist siciliana ha in certo qual senso centrato l’obiettivo dal momento che ascoltando l’album si ha come la sensazione di estraniarsi dal presente per immergersi in un flusso sonoro che ci conduce in un altrove non meglio identificato. Sacerdotessa del tutto è lei, la Spalletta, che usa la voce come uno strumento e che non disdegna di sdoppiarsi con la tecnica della sovraincisione pur di restare fedele al suo complesso disegno compositivo. Disegno che si svela man mano con il procedere dell’album declinato attraverso dodici brani tutti scritti ed arrangiati dalla stessa leader la quale si assume per intera la responsabilità dell’album: è lei che l’ha concepito, è lei che ne ha scritto ed arrangiato i pezzi, è lei che ha immaginato e conseguentemente scelto l’organico, è lei che ha saputo sapientemente dosare sia gli interventi dei compagni di viaggio sia le parti improvvisate ivi compreso lo scat che si ascolta in “Samsara”…insomma un’opera davvero complessa che denota il ritratto di un’artista completa, in grado di ricoprire tutte le parti in commedia.

Pasquale Stafano – Sparks – enja Quella del piano trio è una formula ancora oggi molto frequentata dai musicisti e, anche se ovviamente non è possibile raggiungere i fasti del passato (si pensi solo al celeberrimo trio Evans Motian LaFaro) tuttavia ci sono jazzisti che riescono ancora a dire qualcosa di originale. Tra questi è il pianista Pasquale Stafano che si ripresenta con un nuovo trio completato da Giorgio Vendola al basso e Saverio Gerardi alla batteria. L’album, registrato il 25 gennaio del 2021, si articola su otto brani tutti composti dal leader che conferma così la sua statura di musicista a 360 gradi. E le composizioni appaiono tutt’altro che banali: in effetti, oltre a presentare una solida struttura di base, si fanno apprezzare per la varietà di atmosfere che propongono, dal jazz canonico alla musica classica, dal funk fino a certi frammenti riconducibili al progressive-rock. In questo mutare di situazioni il ruolo di contrabbasso e batteria è importante: si ascolti ad esempio Vendola in “Mirror of Soul” e Gerardi in “Clocks” per avere un’idea di quale contributo i due abbiano dato alla riuscita dell’incisione. Comunque il filo conduttore è rappresentato dallo stile di Stafano che riesce a transitare da un terreno all’altro con estrema disinvoltura grazie ad una tecnica sopraffina e ad un linguaggio fluido e preciso. Tra i vari brani particolarmente riusciti “Three Days Snow” e “Remembrance” ambedue velati da una leggera malinconia che richiama atmosfere nordiche. L’album si conclude con “The Roller Coaster” introdotto dal contrabbasso suonato con l’archetto che a circa 40 secondi dall’inizio registra l’intervento di pianoforte e batteria per un’esecuzione su tempo veloce con il leader sempre in pieno controllo del materiale sonoro. Virginia Sutera,  Ermanno Novali –

“Duo Sutera Novali” – Aut records Ecco un altro duo che si muove su direttrici completamente diverse da quelle che vedevano protagonisti i su citati Hermon Mehari e Alessandro Lanzoni. Qui siamo su un terreno molto complesso e quindi per sua natura scivoloso: quella ”striscia di terra feconda” (per usare il titolo di una felice rassegna) che si pone tra musica classica e jazz. In effetti i due musicisti – la violinista Virginia Sutera e il pianista Ermanno Novelli – pur essendosi affacciati da poco sulla scena musicale, possono vantare una buona conoscenza di ambedue i generi musicali. E così l’album, registrato alla Sala Piatti di Bergamo il 12 aprile del 2019, in occasione dell’International Jazz Day, presenta una suite in cinque movimenti composti a quattro mani. Ad un primo ascolto sembra che le parti siano scritte dalla prima all’ultima nota ma in realtà si tratta di una improvvisazione che si sviluppa momento dopo momento collocandosi apertamente nell’area della musica contemporanea. Ciò detto, preso atto dell’abilità strumentale dei due, resta il fatto che, almeno a nostro avviso, si avverte come la sensazione di un lavoro non perfettamente compiuto, come se ci fosse ancora qualcos’altro che i due non hanno avuto la possibilità…o il coraggio di esplorare. Insomma un duo di livello ma da cui ci aspettiamo qualcos’altro di più convincente, anche perché il tutto scaturisce da quello straordinario laboratorio di ricerca musicale condotto a Siena da Stefano Battaglia.

Ayumi Tanaka – “Subaqueous Silence” – ECM Titolo molto pertinente per questo nuovo lavoro discografico della pianista nipponica Aymi Tanaka che come Jorge Rossy è al debutto da leader per la ECM. Per l’occasione si presenta in trio con Christian Meaas Svendsen al contrabbasso e Per Oddvar Johansen alla batteria. Si tratta di due musicisti norvegesi e la cosa non stupisce più di tanto ove si tenga conto di due fattori: innanzitutto che la pianista, attratta dalla musica improvvisata norvegese, nel 2011 decise di trasferirsi a Oslo e, in secondo luogo, che proprio nella capitale norvegese ebbe modo di incontrare i due artisti su citati con i quali collabora quindi da oltre dieci anni. Così nel 2016 è stato pubblicato “Memento” per AMP Records. E i frutti di questa lunga collaborazione sono nuovamente a disposizione di tutti ben evidenti: l’intesa fra i tre è praticamente perfetta pur nell’esecuzione di un repertorio tutt’altro che banale. La musica proposta dal trio è lontana da come siamo abituati ad immaginare la musica jazz: nei brani della Tanaka non c’è ombra di swing, ma un   rigore quasi ascetico nell’interpretare partiture che potremmo definire ‘cameristiche’ pur nella consapevolezza che una musica del genere va ascoltata rifiutando qualsivoglia etichettatura. I tre si muovono lungo direttrici che privilegiano atmosfere rarefatte, in cui anche il silenzio gioca un ruolo importante nella ricerca di spaziature così presenti nella musica classica giapponese. Tra i sette brani del CD spicca “Ruins II” in cui la pianista sembra quasi lasciarsi andare ad una sorta di quella dolce malinconia che caratterizza la musica ‘nordica’ e norvegese in particolare.

Eberhard Weber – “Once Upon a Time” – ECM L’altra volta ci eravamo soffermati sulle realizzazioni discografiche per solo basso. Adesso è la volta di un altro grande specialista dello strumento, Eberhard Weber, che ci presenta una registrazione live effettuata al Teatro des Halles di Avignone nell’agosto del 1994, nell’ambito del Barre Phillips’ Festival International De Contrebasse.  L’album acquista un rilievo particolare ove si tenga conto che il jazzista nel 2007 è stato colpito da un ictus che lo ha praticamente estromesso dalle scene, anche se non si tratta del primo album registrato in solitudine dal tedesco. Ricordiamo, al riguardo, “Pendulum” (1993) interamente composto da brani in cui l’unico strumento che li esegue è il contrabbasso, mixato in maniera stratificata per creare diversi effetti sonori e “Résumé” che raccoglie pezzi di varie esibizioni registrate tra il 1990 e il 2007. C’è da sottolineare come proprio dopo questi due album Weber abbia iniziato ad incidere piuttosto copiosamente anche da leader dal momento che in precedenza si era fatto apprezzare soprattutto nel gruppo guidato dal sassofonista norvegese Jan Garbarek. In questo “Once Upon…” Weber offre un ulteriore saggio delle sue grandi qualità. Tutti i brani (di cui alcuni sono tratti dai precedenti album dello stesso Weber, “Orchestra” ECM 1988 e il già citato “Pendulum” ECM 1993) sono degni della massima attenzione anche se, personalmente, preferiamo il sempre verde “My Favorite Things” interpretato con originalità e “Trio for Bassoon and Bass” in cui il contrabbassista evidenzia la sua versatilità nell’improvvisare per parecchi minuti senza soluzione di continuità.

Paul Wertico – “Letter from Rome” – Alfa Music Quando in un combo c’è Paul Wertico si ha la quasi certezza che si tratti di musica eccellente. E anche questa volta la situazione è proprio questa: alla testa di un trio completato da Fabrizio Mocata al piano e Gianmarco Scaglia al contrabbasso, il batterista statunitense non si smentisce e propone un album interessante. In programma nove brani scritti in vari incroci dai tre musicisti con l’aggiunta di un classico della musica leggera italiana, “Vecchio Frak” di Domenico Modugno, un brano che ha già attirato l’attenzione di parecchi jazzisti tra cui Fabrizio Bosso e Marco Tamburini; il trio ne dà un’interpretazione personale e convincente: dopo un’introduzione del basso che disegna la linea melodica, è la volta di Fabrizio Mocata a concepire un assolo che gira attorno alla melodia per approdare, quando entra in campo anche la batteria, su un terreno completamente improvvisato, oramai ben lontano dalla partitura originale. Ed è un po’ questo il canovaccio su cui si sviluppa la musica per tutto il CD, vale a dire l’accenno ad una linea cantabile (introdotta dal piano o dal contrabbasso) e poi i tre che si lasciano andare ad improvvisazioni spesso trascinanti che denotano, oltre ad un’ovvia intesa (Wertico e Scaglia avevano già inciso un altro album, “Dynamics in Meditation”, Challenge Records 2020) la gioia di fare musica, di suonare assieme. Il tutto impreziosito dagli assolo di Paul che si conferma uno dei migliori batteristi oggi in esercizio: ascoltate attentamente il modo in cui tratta i piatti, suo vero e proprio marchio di fabbrica.

Gerlando Gatto

Pasolini: jazz e non solo…

Pasolini 1922-2022. 100 anni ben portati, anche in campo musicale. Basti vedere le cronache degli eventi festivalieri per rendersi conto di quanto questo Autore sia tuttora “cool”. Pensiamo alla classica, agli amati archi, come il violino di Pina Kalc che fu sua maestra di musica. Il “loro” sublime Bach è stato ripreso da Mario Brunello, il cui violoncello si è accompagnato alla voce di Neri Marcorè nello spettacolo allestito per il quarantennale a Bologna nell’ambito di Vorrei essere scrittore di musica della Fondazione Musica Insieme. Così dicasi del recente omaggio “world” dei Linguamadre reso al poeta di Casarsa nell’ambito della rassegna Ethnos di San Giorgio a Cremano. Per il jazz da segnalare quantomeno le recenti performances del Roberto Gatto Perfect Trio alla Casa del Jazz, in “Accattone”, a cura della Fondazione Musica per Roma, con Valerio Mastandrea nonché il pianista Glauco Venier con Alba Nacinovich in “Suite per Pierpaolo” a Jazz Area Metropolitana.

La relazione fra Pasolini e il jazz ha il baricentro nel film documentario “Appunti per un’Orestiade Africana”, del 1970, reportage sul sopralluogo effettuato fra 1968 e 1969, propedeutico ad un film mai girato. Non si tratta propriamente di una pellicola sul jazz, tant’è che non viene citato nella quindicina di titoli del 1970 riportate da Jean-Roland Hippenmeyer in “Jazz sur Films” (Editions de la Thiele, 1971). Ciò forse anche per i ritardi dei circuiti distributivi e poi il lavoro è di “studio” preliminare, un diario di viaggio di taglio mitico-antropologico in Tanzania e Uganda nel quadro di un Poema del Terzo Mondo, sui cinque continenti con aree in via di sviluppo (Africa, India, Paesi arabi, America del Sud e del Nord), progetto peraltro destinato a rimanere incompiuto.
Sono Appunti con cambiamenti e correzioni, come nella scrittura, senza attori professionisti, con interviste a studenti africani dell’Università di Roma, quindi sagome, volti e ambienti in loco, con lo scopo di “musicare”, trasposta, l’omonima tragedia greca di Eschilo: “far cantare anziché far recitare l’Orestiade. Farla cantare per la precisione nello stile del jazz e, in altre parole, scegliere dunque dei cantanti-attori nero-americani”. Le note iniziali sono comunque del bianco Gato Barbieri, eseguite su una base modale, già sulle prime immagini. Il sax di “Gato”, qui anche nelle vesti di compositore, ha un tono dolente ma composto nel sovrastare la ritmica formata dal contrabbassista Marcello Melis e dal batterista Famoudou Don Moye mentre accompagna liberamente le voci di Archie Savage e Yvonne Murray in una sala del Folkstudio di Roma. L’averle inserite nella scena di “Cassandra” è “una scelta importantissima che conferma la ricerca pasoliniana di quel nuovo orizzonte espressivo asemantico che solo la musica poteva realizzare (Roberto Calabretto, “Pasolini e la musica”, “Cinemazero”, Pordenone, 1999). Sono anni in cui la musica afroamericana è sinonimo di rivolta, liberazione, avanguardia, pur non dismettendo il proprio background radicato nelle tradizioni culturali del canto e del suono nero. “Gato” vivrà, di lì a poco, un momento di straordinaria popolarità legata al tema del film “Ultimo Tango a Parigi”, di Bernardo Bertolucci, amico di Pasolini. La jam session in pellicola è qualcosa di più che un cameo, non è già incisa in disco come il blues di Blind Willie Johnson in “Il Vangelo secondo Matteo”, è “musica effettivamente convivente” per citare un’espressione che Raffaele Gervasio coniò in La musica nel documentario (in “La Musica nel film, Bianco e Nero” Ed., Roma, 1950). Per altro verso il film ha una valenza etnologica – si pensi alle danze wa-go-go riprese dalla m.d.p. – e storica che oggi una visione “a distanza” di decenni rende ancor più palpabile in quanto documento di un mondo ormai sommerso.

La seguente Discografia post mortem, essendo riferita al jazz, per impronta del lavoro od anche per la presenza di jazzisti quant’anche in situazioni “di frontiera” o/e multimediali, prescinde dai soundtrack che vanno dal Morricone di La musica nel cinema di Pasolini (General Music, 1983), Teorema edito da Carosello nel 1968 o lo stesso Piero Piccioni della colonna sonora di Una vita violenta (Cam Sugar / Decca, 1962). L’intento della Cronologia rimane essenzialmente quello di dimostrare come l’interesse della musica, in primis del jazz, verso il mondo pasoliniano sia rimasto costante, per non dire crescente, e diffuso, basti pensare alla venerazione nutrita da musicisti come il sassofonista Sherman Irby verso il poeta di Casarsa (oltre che per l’Inferno di Dante). O all’attenzione del flautista James Newton che ha trascritto in musica “Il Vangelo secondo Matteo” per la produzione “Passione secondo Matteo” al Torino Jazz Festival. Fra i dischi ne è stata a seguire individuata una selezione in cui il jazz, lato sensu, compare a fianco alla figura di Pasolini, sia in lavori monografici sia in spicchi di produzioni non mirate. In dettaglio:
1982, Michel Petrucciani Trio feat. Furio Di Castri (cb) e Aldo Romano (dr.), il brano è Pasolini, nel l.p. Estate, della Riviera Records, prodotto fra gli altri da Amedeo Sorrentino. La ballad, su ritmo latino, è stata scritta dallo stesso batterista. A riprova del culto francese per Pasolini si ricordano, fra le varie esecuzioni, oltre a quella pianistica di Jean-Pierre Mas col contrabbassista Cesarius Alvim in Rue de Lourmel (l.p. Owl, 1977) anche quella per grande orchestra diretta da Lionel Belmondo. Per la cronaca il cantante Claude Nougaro ne ha scritto il testo reintitolandola Visiteurs. Aldo Romano ha avuto diverse occasioni di frequentazione con Pasolini a casa di Elsa Morante, a Roma, in compagnia di Bernardo Bertolucci, al tempo in cui in Italia soleva recarsi e presenziare alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.
1989, Andrea Centazzo (dir.), Omaggio a Pier Paolo Pasolini. Concerto per piccola orchestra (Mitteleuropa Orchestra) con Gabriella Ravazzi (soprano), Marco Puntin (voce recitante), Index Records. Su etichetta Ictus è inciso il Secondo Concerto per Orchestra. Omaggio a Pier Paolo Pasolini.
1993, Massimo De Mattia (fl.), con Glauco Venier (pf), Poésie pour Pasolini, Splasc(h). L’album contiene fra l’altro anche omaggi ad altri registi come Bunuel, Kurosawa, Truffaut, Kubrick, Wenders, Tarkovskij.
1997, Johann Kresnik (cor.) Kurt Schwertsik (comp.), Pasolini. Gastmahl Der Liebe, VolksbÜrne Recordings. Il disco è censito su www.discogs.com come genere electronic/jazz accanto a lavori poetici (Meditazione Orale, RCA, 1995; Pasolini rilegge Pasolini, Archinto, 2005) e altri con contenuti musicali (Giovanna Marini, Le ceneri di Gramsci, Block Nota – I dischi di Angelica, 2006; Luigi Maieron, I Turcs Tal Friul, Block Nota, 2009). Segnalato infine per le “Edizioni Letterarie” RCA, Pier Paolo Pasolini, La Guinea detta dall’autore, del 1962 (due tracce per le due distinte parti di La Guinea 1962).

2005, Antonio Faraò (pf) Miroslav Vitous (cb), Daniel Humair (dr.), Takes On Pasolini, CamJazz , lavoro pregevole sulla figura pasoliniana. In scaletta, fra gli altri brani, Medea, Teorema, Stornello (Mamma Roma).
2006, Stefano Bollani (pf), 5et con Mirko Guerrini (sax) , Nico Gori (cl.) , Ferruccio Spinetti (cn), Cristiano Calcagnile (dr.) feat. Mark Feldman (v.) Paolo Fresu (tr.9, Petra Magoni (v.), I visionari, Label Bleu, 2006. Il doppio disco contiene, fra le “Visioni” il brano Cosa sono le nuvole? unitamente ad altri brani jazz e della tradizione italiana. La citazione dell’album viene fatta per la statura artistica degli artisti pur non essendo incentrato sulla figura di PPP. Cosa sono le nuvole?, musica di Modugno, testo di Pasolini, ha avuto le versioni più varie nel tempo quali quella della Piccola Orchestra Avion Travel del 1992 fino alla più recente del giovane cantautore Lorenzo Fragola (2014) vincitore di X Factor, per non parlare delle assonanze riscontrate al riguardo in una famosa pellicola Disney-Pixar (G. Cercone, Toy Story 3: quando Walt Disney cita Pasolini, libertiamo.it, 31.7.2010).
2007, Roberto Bonati (b.) Quintet, con Riccardo Luppi (sax), Alberto Tacchini (pf) Antony Moreno (dr.) e Claudio Guain (narr,), Un sospeso silenzio. Appunti a Pier Paolo Pasolini, MM Records/JazzPrint. Particolarmente sensibile al rapporto poesia-musica (e danza – arti visive) Bonati trova nella Torto il giusto contraltare vocale su cui modellare il proprio arcaico ritorno al binomio voce-citara e negli altri musicisti i corifei di uno spettacolo registrato dal vivo durante l’edizione 2005 di ParmaJazz Frontiere.
2007, Stefano Battaglia (pf.). Re : Pasolini, E.C.M., feat. Michael Gassmann (tr.), Mirco Mariottini (cl.), Aya Shimura (cello), Salvatore Maiore (cb), Roberto Dani (dr.), Dominique Pifarély (v.), Vincent Courtois (cello), Bruno Chevillon (cb), Michele Rabbia (perc.). Il doppio album, il secondo per la E.C.M., annovera 23 proprie composizioni oltre a Cosa sono le nuvole? . Per la cronaca Totò e Ninetto sono state inserite nel 2016 da “Rockìt” fra le 10 canzoni italiane dedicate a Pier Paolo Pasolini con Irata (CSI), Una storia sbagliata (De Andrè), A Pà (De Gregori), Pasolini un incontro (Tre Allegri Ragazzi Morti), L’alba dei tram (Anzovino – Giovanardi), La Giulia Bianca (Giurato), Pasolini (Hengeller), Piazza dei Cinquecento (Ianva), Lamento per la morte di Pasolini (di Giovanna Marini, della quale è da menzionare il fondamentale disco Pour Pier Paolo edito da Le Chant du Monde nel 1984).
2007, Aisha Cerami (v.), Nuccio Siano (v.) e Roberto Marino (pf), Le canzoni di Pasolini, Block Nota. L’album, che registra la partecipazione del pianista salernitano già apprezzato in Trasparenze (Dodicilune, 2010), è una valida compilation di testi pasoliniani con 15 brani musicati da diversi autori, Morricone, Hadjidakis, Modigno, Umiliani, Fusco, De Carolis, Piccioni, Endrigo, lo stesso Marino. Il trio comprende Salvatore Zambataro alla fisarmonica e Andrea Colocci al contrabbasso. Ne sono produttori Graziella Chiarcossi, cugina di Pier Paolo, e Walter Colle.
2008, Guido Mazzon, La tromba a cilindri. La musica, io e Pasolini, cd allegato al volume edito da Ibis che il compositore, cugino di Pasolini, ha presentato in forma di concerto-performance con interventi in diretta della tromba e i movimenti coreutici di Piera Principe con gesto suono e parola che si intersecano liberamente.
2008, Norma Winstone (v.), Glauco Venier (pf), Klaus Gesing (s. Cl.), Distances, ECM. Il cd contiene un tributo a Pasolini nel brano Cjant, testo di Pasolini su musica di Eric Satie, la Petite Ouverture a Danser, traduzione in inglese di Francesca Valente e Lawrence Ferlinghetti. Il pianista ha in preparazione in studio un album registrato in studio interamente dedicato a Pasolini, la Suite per Pier Paolo.

2014, Rita Marcotulli – Luciano Biondini Duo Art, La strada invisibile, Act. Il disco della label tedesca contiene 12 pezzi per piano e fisa nove dei quali originali. Una delle cover è Cosa sono le nuvole di Modugno, tratta dall’omonimo episodio di Pasolini del film Capriccio all’italiana, del 1968.
2019, Elsa Martin-Stefano Battaglia, Sfueâi, Artesuono. Il disco è un’antologia di versi di autori rappresentativi del novecento friulano, fra cui Pasolini, messi in voce dalla Martin, gravitante anche in area folk-progressiva in quanto componente della band Linguamadre (col Duo Bottasso e Davide Ambrogio) che ha esordito di recente con l’album Il Canzoniere di Pasolini.
2021, Mauro Gargano (cb), 4et con Matteo Pastorino (cl.), Giovanni Ceccarelli (pf.), Patrick Goraguer (dr.), Che cosa sono le nuvole? e Pasolini nel cd Nuages, Diggin Music. Molto singolare il Modugno di Pasolini che sposa le nuages di Django Reinhardt!
2021, Autostoppisti del Magico Sentiero, Pasolini e la Peste, New Model Label. Si tratta di un album composito nel quale al gruppo di Fabrizio Citossi con Federico Sbaiz, Martin O’Loughlin, Marco Tomasin, Franco Polentarutti si aggiungono, fra gli altri ospiti, jazzisti come Francesco Bearzatti, Massimo De Mattia, Giorgio Pacorig… Il brano-manifesto è quello di chiusura, il Blues dell’Idroscalo.
2021, Antonio Ciacca (pf) Selah Quartet, String Quartet n. 1 Pasolini, String Quartet n.2 Whitman, Twins Music. Si tratta di sette brani del pianista naturalizzato statunitense, già partner con il suo 5et di Steve Grosssman (oltre che di Farmer, Golson, Konitz, Griffin, W. Marsalis ), con i primi quattro movimenti – Allegro, Minuetto, Blues, Largo – intitolati a Pasolini. La formazione comprende Laurence Schaufele (viola), Douglas Kwoon e Sarah Kim (violino), Junkin Park (cello).

Il ventaglio del rapporto musica-Pasolini potrebbe estendersi ad altri ambiti a iniziare dalla musica contemporanea, con Sylvano Bussotti che in Memoria con voci e orchestre intona il testo di Alla bandiera rossa, dalla raccolta La religione del mio tempo (1961) in un incontro fra testo poetico e musica il cui livello linguistico-espressivo è stato approfondito da Claudia Calabrese in Pasolini e la musica. (La musica e Pasolini, Correspondances, Diastema., 2019).
Sempre in ambito musica di ricerca e sperimentazione, l’elencazione includerebbe una partitura del compositore e direttore d’orchestra Enrico Marocchini, Le azioni della vita, all’interno di Pier Paolo Pasolini poeta di opposizione (1995) nonché, a firma di Giovanni Guaccero, l’oratorio Salmo Metropolitano (v. cd “Domani Musica” con note di Valentino Sani, 1998). Al riguardo Enzo Siciliano, altra figura del microcosmo pasoliniano, sul Il Venerdì di “La Repubblica” del 30/7/1999, aveva riscontrato nel compositore influenze di Petrassi, Maderna e Coltrane; dal canto suo Girolamo De Simone, già su “Konsequenz” nel 2005 ne aveva apprezzato “alcune modalità improvvisative”.
Guardando al “vintage” d’autore si ritrova la psichedelia di Chetro & Co., band di fine anni ’60 (De Carolis, Coletta, Ripani e Gegè Munari) che inserì in Danze della sera 12 versi da L’usignolo della Chiesa Cattolica, su autorizzazione di Pasolini in persona.

Ed eccoci arrivare oggidì ad hip hop e rap. Jay Z, marito di Beyoncè, dal “compagno” PPP si lascia ispirare da “I racconti di Canterbury” e “Le 120 giornate di Sodoma”. Ai rapper Selton (Pasolini) e Paolito (Pasolini FreeStyle) andrebbe quantomeno aggiunto il gruppo censito da Filippo Motti su “Billboard” e cioè Fedez (Parli di rap), Fabri Fibra (Dagli sbagli si impara), Caparezza (Giotto Beat), J Ax (Limonare al Multisala), Bassi Maestro (Sushi Bar), ancora Fabri Fibra (Questo è il nuovo singolo), Ghemon (64 Bars). E il fatto che i ravennati Kut associno Tenco e Pasolini e i Baustelle lo ricordino in Baudelaire non fa che rafforzare l’evidenza della popolarità di questo intellettuale come una delle figure autoriali più ricorrenti oggi anche nel new sound. E’ un brulicare di idee progetti spettacoli dischi che ruota attorno allo strenuo difensore della diversità propria delle culture eccentriche opposta alla onnivora cultura del centro, quella che propugna la omologazione e, diremmo oggi, la generalizzata globalizzazione. Da questa posizione di difesa-attacco scaturiscono effetti che ancora deflagrano attorno alla figura del “poeta dei suoni” geniale e sregolato, colui che celebrò gli idiomi locali, i relitti culturali, i margini, le borgate, le periferie.
A Scampia, all’uscita della stazione metro, il volto di Angela Davis campeggia con quello di Pasolini su due murales di Jorit. Nuove banlieue recano a volte i segni rugosi del passaggio nel mondo attraversato dal suo messaggio profetico. Perché Pasolini riusciva a guardare oltre. Come talvolta capita al jazz.

Amedeo Furfaro