Dalla Puglia all’Africa con Nico Morelli e Oumou Sangaré

Musica di spessore all’Auditorium in due concerti del tutto differenti: intendiamo riferirci al trio italiano di Nico Morelli in scena il 12 settembre e al progetto “Mogoya” della vocalist Oumou Sangaré presentato al pubblico italiano il 22 settembre.

Ma procediamo con ordine.

Pugliese di nascita ma oramai parigino d’adozione, Nico Morelli è artista completo che oramai da anni tiene ben alta la bandiera del jazz italiano oltre confine. Nel concerto romano Nico ha evidenziato molti aspetti della sua poliedrica personalità: esecutore, compositore, arrangiatore che pur traendo ispirazione sia dal jazz propriamente detto sia da alcune atmosfere tipiche della musica colta del secolo scorso, rimane comunque con il cuore e la mente ben ancorati nella tradizionale musicale della sua terra. Non a caso il “Nico Morelli Trio” nasce dall’incontro di musicisti per l’appunto pugliesi – Nico di Taranto, Camillo Pace al contrabbasso anch’egli di Taranto e Mimmo Campanale alla batteria di Andria – tutti di grande esperienza testimoniata tra l’altro dalle numerose prestigiose collaborazioni con artisti del calibro di Bobby Watson, Bobby McFerrin, Randy Brecker, Bob Mintzer e, in ambito Pop, Lucio Dalla. E sempre non a caso buona parte del repertorio è focalizzata proprio sulle melodie popolari pugliesi sia rivisitate in chiave moderna sia considerate motivo ispiratore per composizioni nuove di zecca.

Di qui una musica materica, spesso trascinante in cui la ricerca sonora di Nico si coniuga perfettamente con una concezione del trio che fa dell’interazione la sua carta vincente. Quindi scambi frequenti tra pianoforte e gli altri due strumenti, bellezza delle linee melodiche e grandi capacità improvvisative nella tradizione del migliore linguaggio jazzistico.

Ecco quindi una personale interpretazione di un classico del jazz quale “Honeysuckle Rose” di Fats Waller, ma ecco anche alcuni brani della tradizione pugliese quali “Stu pettu é fattu cimbalu d’amuri” e “Tarantella del Gargano” cui si accompagnano un brano pop moderno quale “A me me piace o blues” di Pino Daniele e un pezzo del grande Carlos Jobim “Agua de beber”.

Ma, come si accennava in precedenza Nico è anche un fertile compositore e quindi non potevano mancare sue composizioni quali “Marocco Feel”, “Pezzo X”, “Taranté” e soprattutto uno splendido “New Song” offerto come bis.

 

*****

Il 22 settembre eccoci ancora all’Auditorium per un concerto molto atteso programmato nell’ambito del RomaEuropa Festival 2018: Oumou Sangaré con il suo nuovo progetto “Mogoya”.

Nata a Bamako, (25-2-1968) capitale del Mali, Sangaré ha conquistato le platee internazionali grazie alla sua musica da sempre indirizzata alla lotta contro la discriminazione delle donne e in particolare contro i matrimoni combinati e la poligamia. Attività che nel 1998 le è valsa la nomina di commendatore dell’Ordre des Arts et des Lettres, e nel 2010 un Grammy Award.

Per il concerto romano la vocalist si è presentata alla testa di un ensemble composto da Abou Diarra al kamele n’goni (una piccola arpa a sei corde con la cassa in legno, ricoperta da pelle di capra), Alexandre Millet alle tastiere, Elise Blanchard al basso Guimba Koyate nella duplice veste di direttore musicale e chitarrista, Jon Grandcamp batteria e percussioni, Emma Lamadji e Kandy Guira coriste, vale a dire quattro musicisti africani e tre francesi.

Dotata di una voce scura, possente, in perfetta aderenza con la statuaria presenza scenica, la Sangaré ha condotto con mano sicura lo show portandolo laddove voleva che arrivasse. Vale a dire a coinvolgere il pubblico e farlo danzare al suono di ritmi africani. In effetti l’artista, nel corso di una intervista rilasciata prima della tournée, aveva esplicitamente affermato di voler “portare un pezzo di Africa in Italia”, di voler comunicare con il suo pubblico attraverso la musica e invitarlo a danzare, portare un messaggio di unità.

Il concerto si può dividere in due parti: nella prima la vocalist ha intonato le sue canzoni (peccato non capirne i testi) ottimamente coadiuvata da tutto il gruppo, con le due coriste particolarmente brave non solo a cantare ma anche a muoversi all’unisono sempre con il sorriso sulle labbra. La musica è sempre coinvolgente sorretta da ritmi per noi occidentali non proprio usuali.

A metà concerto si aggiunge al gruppo, per un solo brano, il francese Émile Parisien che al sax soprano dà una dimostrazione della sua bravura e si tratta del momento, musicalmente parlando, forse più felice dell’intero concerto ad evidenziare, se pur ce ne fosse stato bisogno, di come il linguaggio jazzistico possa magnificamente integrarsi con ritmi africani.

Ma, oltre ad essere il momento musicalmente più riuscito del concerto, il brano ha segnato il punto di svolta ché successivamente la Sangaré ha invitato il pubblico ad alzarsi e ballare. Ed è stato un altro momento magico. Alcuni africani, presenti in sala, sono saliti sul palco e hanno cominciato a danzare così bene che chiunque fosse entrato in teatro in quel momento avrebbe potuto scambiarli per parte integrante dello spettacolo, ad ulteriore dimostrazione di come la musica sia vissuta e sentita in modo completamente diverso in Africa e qui in Europa.

E così il concerto è proseguito sino alla fine in un tripudio di applausi e di pubblico festante a danzare sotto il palco.

EDE: Zanisi – Gallo – Baron alla Rassegna Da Maggio a Maggio

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La foto è di Marc Maggio

Rassegna “Da Maggio a Maggio
Sabato 26 maggio ore 20:30
Laboratorio Pianoforti Marc Maggio

EDE
Enrico Zanisi, pianoforte e synth modulare
Danilo Gallo, basso elettrico
Ermanno Baron, batteria

Comincio con il dire che qui a Roma ci sono tanti posti dove ascoltare musica. Auditorium, teatri, club più o meno piccoli, bar, spazi all’aria aperta che ora a primavera cominciano ad animarsi, dunque c’è da scegliere.
Ma io stessa non sapevo che esiste un Laboratorio per la riparazione, e anzi, la cura, dei pianoforti, nel cuore del quartiere Pigneto. E’ il laboratorio di Marc Maggio, tecnico accordatore restauratore di pianoforti, ed è sito in via Giovanni De Agostini 19.
Quando entri senti l’odore caratteristico che chiunque abbia varcato la soglia di un negozio di pianoforti conosce benissimo, e ti trovi in un grande spazio, saturo (naturalmente) di pianoforti, a coda, mezza coda, verticali, un verticale è persino nel bagno.
Marc Maggio con il batterista Marco Calderano hanno inventato, in questo spazio fascinoso e inusuale, un piccolo festival del Jazz, “Da Maggio a Maggio” di tre giorni, a maggio, appunto. Il primo concerto venerdì 25 maggio, con Marco Calderano, AntiHero. Il secondo sabato 26 maggio con EDE, Euristic Data Exchange e l’ultimo il 28 maggio con Stefano Calderano Playin’ Rice.

Sono stata al secondo concerto, quello di EDE, ovvero Enrico Zanisi, pianoforte e synth modulare, Danilo Gallo, basso elettrico, Ermanno Baron, batteria.
EDE oltre che acronimo dei nomi dei musicisti è anche acronimo di Euristic Data Exchange:“un processo euristico di ricerca sonora, scambio di dati estemporaneo, istintivo e intuitivo,il suono come obiettivo finale. Le partiture si ottengono in dirittura d’arrivo
La Treccani ci spiega il termine euristico così: “in matematica, procedimento, qualsiasi procedimento non rigoroso (a carattere approssimativo, intuitivo, analogico, ecc.) che consente di prevedere o rendere plausibile un risultato, il quale in un secondo tempo dovrà essere controllato e convalidato per via rigorosa.”
Resi doverosamente noti gli intenti del gruppo, doverosamente vi dico che raramente, andando ad ascoltare un gruppo che non conosco, mi documento sull’intento dichiarato del gruppo stesso: preferisco ascoltare e documentarmi alla fine, quando cerco le parole per descrivere la musica, vedere cosa di quell’intento mi è arrivato, cosa io ho capito, e SE ho capito, e se non ho capito, perché .

Ho preso posto in quella sala così profumata di legno, corde, feltrini, e dopo una lezione di Marc Maggio sul funzionamento della meccanica del pianoforte, ho ascoltato un’ora di musica completamente improvvisata, dal primo all’ultimo minuto. Come da intento dichiarato, ma io non lo sapevo: una ricerca estemporanea di una strada sonora comune. Chi guida? Non c’è un pilota in particolare: si improvvisa, ma con la sicurezza di chi il mezzo lo conosce così bene da potersi permettere (e godersi) ogni tipo di evoluzione.
Vi descrivo, sperando di essere fedele a ciò che è accaduto, i primi minuti di questo concerto inusuale, sperando di non essere troppo tecnica, o pedante: ma occorre per dare un’idea della musica. E poter poi approdare nel mio amato spazio “L’impatto su chi vi scrive” per poter parlare delle mie personalissime sensazioni a riguardo.

Dal synth di Zanisi parte un suono lungo, persistente, acuto, che fende l’aria. Baron percuote con bacchette di metallo ciotole di metallo, l’effetto è di campanelli, l’atmosfera è rarefatta. Poco dopo il basso di Danilo Gallo introduce un bicordo che risolve in una nota unica, quasi una tonica. Questo schema bicordo/nota unica prosegue, e i suoni si susseguono aumentando in velocità. Le due note del bicordo si slegano e la sequenza diventa un ostinato di tre note. Il synth aumenta gli effetti. La batteria intensifica i battiti, il tessuto sonoro complessivo prima piuttosto dilatato si addensa. Il basso diventa incalzante, e si assesta sul registro grave. Appare il suono del pianoforte: con una cellula melodica reiterata che comincia su una ampiezza di una nona, per poi restringersi ad una sesta. Il basso elettrico lo doppia con lo stesso andamento ritmico. La batteria ne carpisce il groove e decodifica il tutto dal punto di vista ritmico.
Questo andamento dura qualche decina di secondi, fino a quando il basso procede ascendendo cromaticamente con note ribattute: ma queste via via si diradano. Rallentano gli impulsi e si ritorna gradualmente alla rarefazione sonora dell’inizio. Riappare quella nota persistente del synth con cui tutto era cominciato, ma il basso ricomincia cantando una piccola melodia pentatonica…..
Mi fermo. Perché sono accadute mille altre cose, e questi sono soltanto i primi otto nove minuti. E gli stessi musicisti, se leggeranno questa descrizione, penseranno che sono impazzita, perché il loro procedere era completamente istintivo, anche se non casuale: l’istinto non è mai casuale. Dubito, in pratica, che possano ricordare così precisamente cosa hanno suonato.

L’IMPATTO SU CHI VI SCRIVE

In un concerto tutto di musica improvvisata estemporaneamente ciò che conta, a mio parere, è proprio l’impatto su chi ascolta.
Per ascoltare bene un concerto come questo, secondo me è fondamentale abbandonare i propri rassicuranti riferimenti e lasciarsi avvolgere dai suoni. Su di me una performance come quella di EDE può avere un potere evocativo ed immaginifico molto forte, una volta abbandonati i miei riferimenti usuali (centri tonali, strutture, cadenze, il jazz, il free jazz, il jazz modale, la musica tradizionale e così via dicendo).
Ho dovuto solo cercare di sdoppiarmi concentrandomi e scrivendo (vedi sopra) cosa accadeva, ma mi sono ritagliata anche una metà della mia percezione lasciandola libera, perché volevo godermi quell’impatto emotivo. Per tutto il tempo ho assistito alla nascita improvvisa di suoni che erano ognuno causa del successivo, che a suo volta era effetto del precedente, e ancora, causa del successivo, mi si perdoni la spirale: ma è ciò che è accaduto.
Mi sono trovata in giardini fiabeschi, quando Zanisi insisteva reiterando piccoli arpeggi nel registro acuto del pianoforte, sottolineati dal basso, che cantava libero, e da Baron con i suoi suoni di campane. Poi ho assistito ad un sisma sotterraneo, quando Danilo Gallo si è aperto in un suono grave, lavico, profondo, da far vibrare le pelli della batteria, che è diventata a sua volta secca, insistente, potente. E’ stato un tintinnio di ciotole a fermare quel sisma, quasi richiamando all’ordine il basso, e costringendolo a suoni sempre più diradati.
Talvolta i suoni volatili del synth mi sono sembrati aria pulita. Un momento quasi parossistico placatosi gradualmente mi ha evocato il navigare placido in un fiume di suoni, improvvisamente inscritti in un centro tonale, con un susseguirsi di accordi (quasi) comprensibili: ma oramai io i miei rassicuranti riferimenti li avevo abbandonati , e decodificarli non mi è sembrato così importante. Non li ho analizzati e così ancora non ho capito  come sia potuto accadere di trovarmi, alla fine, ad ascoltare El Choclo, sì, El Choclo, il tango. Mi sono affrettata a trascriverne le note nel mio taccuino per poter poi ricordare a me stessa quale titolo avrei dovuto ricercare. Era El Choclo: sono partita da una nota fissa di sintetizzatore e sono approdata ad un tango argentino.

Avvertenza: il prossimo concerto di EDE non sarà di certo uguale a questo.

 

 

Inizia ad ITRI la XIII Edizione del JAZZFLIRT FESTIVAL 2017

www.jazzflirt.net #jazzflirt2017

Il 17 e il 18 luglio saranno le prime due date della XIII edizione del JazzFlirt Festival che amplia la sua offerta grazie alla nuova collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Itri; due concerti di eccezione organizzati presso l’area spettacoli del Museo del Brigantaggio di Itri: l’apertura è affidata al trio Nigredo mentre a occuparsi della seconda serata sarà il trio Kin.

Due produzioni originali, come è nello stile di questa associazione che, nel corso delle varie edizioni, ha proposto giovani talenti e nomi prestigiosi provenienti da tutto il mondo. Anche in questa occasione si propongono due progetti di altissimo livello artistico: il trio Nigredo – composto da Francesco Diodati alla chitarra, Francesco Ponticelli al contrabbasso e Giovanni Iacovella alla batteria- e il trio Kin – composto da Francesco Diodati alla chitarra, Dan Kinzelman al sax e al clarinetto e Elias Stemeseder al piano; due trii che ruotano intorno al talentuoso Diodati eppure completamente differenti nell’assetto e nella ricerca sonora.
Il primo, il Trio Kin è un progetto italo-austriaco-americano:

Elias Stemeseder -classe 1990, attualmente residente a New York- è l’astro nascente del piano jazz made in Austria; Francesco Diodati è chitarrista di punta del jazz contemporaneo dal respiro europeo e Dan Kinzelman –americano trasferitosi in Italia- è oramai star internazionale del sassofono.
Il trio è nato come produzione originale dell’edizione 2016 del Südtirol Jazzfestival Alto Adige, cifra distintiva dell’organico è l’alternanza tra momenti introspettivi ed episodi di grande tensione nella quale i tre componenti spingono fino all’estremo le possibilità espressive dei rispettivi strumenti che si inseguono e si sovrappongono con modalità uniche e ipnotiche:

E’ come quando lanci un sasso nell’acqua
– dicono i tre presentando la loro musica – e le onde si propagano: le segui anche se non sai dove vanno a finire, aspettando di raggiungere una meta ignota. Ci si sente come per aria sospesi su un filo, in una sorta di finale rimandato che poi arriva inaspettato.
Durante le esecuzioni vengono proposte composizioni originali affiancate a riletture dei Nirvana basate su una attenta ricerca timbrica che predilige le melodie semplici capaci di svelare il piccolo dettaglio.
Kin significa ‘qualcuno della famiglia’ e fra di noi c’è un legame di fratellanza musicale.

Temerari esploratori sonori sono capaci di rinnovarsi a ogni performance sorprendendo di continuo l’ascoltatore.
Sublime and angular lines […] They pick up each other’s phrases and stroll dreamily with them Alison Bentley

Il trio Nigredo è, invece, una produzione originale e del tutto inedita dell’edizione 2017 del Jazzflirt festival; la nigredo è il processo di spiritualizzazione della materia e materializzazione dello spirito, è sviluppo dell’opera alchemica che trae alimento dalla materia decomposta, nelle trasformazioni del materiale fisico in processo spirituale. Questo oscuro processo incarna il caos primigenio dal quale ogni cosa nasce e prende forma: è la scintilla originaria, il primo mobile. Obiettivo di questo progetto è quello di ricercare attraverso l’estemporizzazione e l’improvvisazione la decomposizione della forma in musica e l’annullamento della struttura per mantenere solo ciò che è essenziale e capace di incidere davvero nel profondo.

Programma delle due serate:

lunedì 17 LUGLIO 2017

Itri – Museo del Brigantaggio– ore 21:30

 

NIGREDO

Francesco Diodati – guitar

Francesco Ponticelli – contrabbasso

Giovanni Iacovella – batteria e oggetti

 

ingresso € 5,00

 

martedi 18 luglio

Itri – Museo del Brigantaggio– ore 21:30

KIN

Francesco Diodati – guitar

Dan Kinzelman – sax, clarinet

Elias Stemeseder piano

 

COMUNE DI ITRI

ingresso € 5,00

 

Info e contatti:

 

339-5769745/ 338-6924358 / 349 6444651

 

sito web: www.jazzflirt.net

e-mail: info@jazzflirt.net

seguici su facebook: https://www.facebook

 

 

 

Programma delle due serate:

lunedì 17 LUGLIO 2017

Itri – Museo del Brigantaggio– ore 21:30

 

NIGREDO

Francesco Diodati – guitar

Francesco Ponticelli – contrabbasso

Giovanni Iacovella – batteria e oggetti

 

ingresso € 5,00

 

martedi 18 luglio

Itri – Museo del Brigantaggio– ore 21:30

KIN

Francesco Diodati – guitar

Dan Kinzelman – sax, clarinet

Elias Stemeseder piano

 

COMUNE DI ITRI

ingresso € 5,00

 

Info e contatti:

 

339-5769745/ 338-6924358 / 349 6444651

 

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Temerari esploratori sonori sono capaci di rinnovarsi a ogni performance sorprendendo di continuo l’ascoltatore.

I NOSTRI CD

Rosario Di Rosa – “Composition And Reactions” – Deep Voice Records.

L’ album Composition e Reactions (Deep Voice Records) di Rosario Di Rosa, in solo pianistico, presenta essenzialmente un’unica opera che si “sfasa”in 12 cosidette Reactions.
Nasce nel solco del precedente già maturo Pop Corn Reflection (NAU) in un percorso artistico i cui riferimenti stilistici arrivavano a Steve Reich e Schoenberg.
Stavolta il jazzista offre una versione ulteriormente aggiornata della propria musica.
Nella struttura d’insieme affiora una certa affinità con le arti visive, le tecniche grafiche nell’uso di forme e colori per il gusto di “rappresentare” spazi e figure, nel definirne i passaggi.
E c’è poi una dichiarata apertura agli effetti elettronici e un recupero del datato MIDI. In dettaglio le Reactions sono 12 frammenti liberi della Composition n.26, questa, si, scritta, non improvvisata.
Ognuna di esse ha una propria specifica caratterizzazione. Si comincia con Variation e Morphing ovvero trasformazione dei lineamenti iniziali in quelli del tutto nuovi del punto d’arrivo. La successiva, e suggestiva Phasing e’ l’attuazione per gradi della cellula sonora selezionata attraverso sequenze di tipo minimalista laddove Density, giocando su “l’interdipendenza dei vari parametri musicali” (Harrington), percorre in lungo e largo una tastiera che pare non pesata.
La Reaction n. 4, Spaces, è la più onirica, gravida di silenzi astrali. Seguono, appesi/sospesi nel pentagramma, Intervals, in due takes, il primo dei quali a momenti si adagia melodicamente liberandosi dal senso di tensione che li contrassegna.
La n. 6, Tuning, e’ il ritorno alla culla tonale dopo varie scorribande fuori dal seminato. E se nella n. 7, Sampling And Loops, sopravviene la techné di una voce metallica che comprime le note del pianoforte, in Strings lo strumento ritorna percussione pura. Di Rosa espone poi in Clusters grappoli di note grumose del ricorrente sapore monkiano reso contemporaneo che in Textures rivela trame di puro tessuto non tappezzeria musicale.
Lo (s)compositore insomma assembla e sfaccetta, anatomizza e ricuce, spostandosi dal concreto all’astratto mosso da un impulso espressivo forte. Verificando dinamicamente come alla azione (compositiva) possa corrispondere una reazione (improvvisativa).

Federica Gennai, Filippo Cosentino – “Come Hell Or High Water” – Naked Tapes 01
C’e’ modo e modo di combinare e disporre corde e corde vocali, nel jazz.
Petra Magoni si fa accompagnare da Ferruccio Spinetti al contrabbasso. Claudio Lodati non disdegna loop ed elettronica creativa nel seguire la voce di Rossella Cangini. Il melodizzare di Patty è armonizzato dalla chitarra di Tuck così come il bel canto, fra etno e classica, di Noa trova nella chitarra di Gil Dor una piattaformasonora che è un riferimento più che costante. E c’è chi, come Filippo Cosentino, nel seguire volute ed evoluzioni canore, alterna diverse soluzioni di strumento, orientando così ovviamente la prospettiva musicale.
Assieme alla vocalist Federica Gennai annovera nel proprio armamentario sonoro sia chitarra acustica sia elettrica sia, spesso con funzione di “basso armonico”, la chitarra baritona. La cantante, come del resto lui stesso, si serve spesso di effettistica, ma il dato saliente della loro ricerca sonora sono i colori variopinti della timbrica da una parte, dall’altra un ondeggiare fra atmosfere mediterranee e climi musicali tipici del jazz contemporaneo europeo in un comporre del tutto originale.
Nel cd Naked Tapers 01 intitolato Come Hell Or High Water la proposta dei due musicisti evidenzia in modo abbastanza nitido la propria dimensione ispirativa. Beninteso, fra i brani eseguiti si ritrovano Avalanche di Leonard Cohen e Footprints di Wayne Shorter quasi come due fari del folk-blues e dei ’60s jazzistici a cui guardare e riprendere con rispetto e partecipazione. Ma ecco la musica popolare, la propria, in senso strettamente culturale, affiorare in Tramuntanedda (il chitarrista piemontese ha origini siculo-calabre) brano che, ne siamo sicuri, sarà stato fra i più apprezzati nei suoi tour estivi fra Centroeuropa ed Asia per l’abile coniugare linee melodiche southern con improvvisazioni su base spanish. Peraltro ogni brano in scaletta ha una propria connotazione ben definita. Loneliness per il tema trattato della solitudine “nel cuore della terra” affrontato consuadente poesia dalla Gennai. E se No Solution Re Solution è ancora un meditare, essenziale e spoglio, che si adagia su reverberi di arpeggi come stesi sotto la luce solare e Lullaby in Blue è viaggiointrospettivo… bifronte insomma dai due poli, a Baritona e Crescendo, un nome un programma, segue Every Moment Is A Gift (SongFor Paola) con quello strano sapore di istantaneo come il momento in cui il pezzo è nato. Resalio ha un attacco che ricorda Non dire No diBattisti ma è solo un’impressione; lo sviluppo prende una piega bluesy che si trasforma strada facendo, strato per strato di accordi.
Infine il brano che da il titolo all’album è un rientro in quella confidenziale intimità che costituisce la principale cifra stilistica del progetto discografico del duo. Meglio dire della Coppia, per sinergia, musicale e interpersonale.
Umberto Tricca – “Moksha Pulse” – Workin’ Label

Curioso il titolo del disco di esordio del chitarrista Umberto Tricca, Moksha Pulse, edito da Workin’ Label e distribuito da I.R.D.   Moksha, in sanscrito, significa liberazione, emancipazione, affrancamento dalle limitazioni. E la cosa ci può stare, col jazz, visto che anche l’Asia, oltre l’afroamericanità, può rivendicare vicinanze con questo tipo di musica. Pensiamo all’improvvisazione della musica indiana tradizionale. E già nell’intro dell’album, Slow Passacaglia, il chitarrista appare slegato da contorni e margini canonici occidentali.
Non si pensi a influssi etnici spinti alla Remember Shakti per intenderci. Gli strumentisti che lo accompagnano, Achille Succi (sax, clarinetto basso), Giacomo Petrucci (sax baritono), Nazareno Caputo (vibrafono), Gabriele Rampi Ungar (contrabbasso) e Bernardo Guerra (batteria) producono con lui un magma sonoro che afferisce a modalità più di jazz contemporaneo che parajazz o metafolk che dir si voglia.
Pulse, l’altro termine del titolo, non c’entra con i Pink Floyd ne’ con Roger Waters. Nessuna parentela rock (semmai la 6 corde pare richiamare a volte certa sgorgante limpidezza accordale di Larry Coryell). Pulse è il polso, il battito, semplicemente. Seguendolo il sestetto si prodiga in una ricerca di gruppo consistente nell’interfacciare linguaggi musicali anche eterogenei nelle 6 composizioni del chitarrista (la settima, Lude, e’ dell’indiano Vijay Iyer). E se Jhumara Tal pare riecheggiare Sue’s Changes di Mingus, contrattempi ostinati e complesse sincopi contrassegnano in stile Metrics di Steve Coleman il brano che da titolo all’album. Che poi, nell’incedere inventivo si allarga, scopre spazi nuovi, si diversifica. Empty Sky, ballad legata idealmente a Burning in Varanasi, ha un attacco scofieldiano che lascia insinuare, come un serpente dal cesto, l’alto sax di Succi, sorretto da vibrafono e double bass, musica allo statu nascenti dalle estreme radici est/ovest.
Chango Rebel ha per finire una lenta struttura ciclica con un crescendo che deborda in una caleidoscopica poliritmicità afrocubana, con relativa esplosione della sezione ritmica.
L’opera prima di Tricca, sia come compositore che leader, si presenta insomma come un buon viatico verso i prossimi lavori, si spera sempre a 360 gradi di latitudine geomusicale.

 

 

Jasna Velicovic presenta un workshop per Live Arts Cultures

L’associazione Live Arts Cultures e la netlabel electronicgirls
presentano, all’interno della stagione 2017

5, 6, 7 MAGGIO 2017
THE MAGNETIC ATTRACTION OF MUSIC
WORKSHOP ON CREATIVE SOUND TECHNOLOGY
Condotto da Jasna Veličković
a c32performingartworkspace, Mestre-Forte Marghera (VE)
http://liveartscultures.weebly.com/workshops2017.html

Compositrice, musicista e inventrice, Jasna Veličković si interessa dal 2008 ai vari livelli d’interferenza tra campi magnetici e musica, esplorando la tecnologia e la sua influenza nel mondo dell’arte. Durante la realizzazione della serie Shadow Studies inizia a utilizzare coils e campi magnetici, giungendo all’invenzione di un nuovo strumento musicale: il Velicon.

Il workshop è finalizzato alla costruzione e alla pratica di questo particolare strumento musicale. I partecipanti impareranno a usare i magneti come induttori e fonti sonore, facendo esperienza della natura mutevole e volatile dei suoni magnetici. Saranno esplorate tecniche utili a comprendere il comportamento dei magneti e dei loro suoni.
Il Velicon è un sistema adatto alle performance live e all’improvvisazione; dotato di un suono innovativo, puro e trasparente, la sua pratica coinvolge da vicino le relazioni suono-movimento. Nella sua forma attuale, lo strumento è stato sviluppato grazie al contributo di ingegneri come Kostantin Leonenko e Clare Gallagher all’interno di istituzioni come lo Studio for Electro-Instrumental Music di Amsterdam, la Gaudeamus Music Week di Utrecht, il Center for Interdisciplinary Research in Music Media and Technology di Montreal e il Centro de Cultura Digital di Mexico City.
I partecipanti impareranno a elaborare e impiegare lo strumento e potranno portare con loro quanto costruito durante il workshop per procedere con la pratica musicale a laboratorio concluso.

Trattandosi di uno strumento nuovo, per frequentare il laboratorio non sono richieste specifiche conoscenze: il workshop si rivolge a musicisti esperti desiderosi di ampliare i loro mezzi di espressione ma anche a curiosi, sperimentatori e performer volonterosi di esplorare le possibili relazioni tra suono, movimento e tecnologia.

Il workshop terminerà con una restituzione aperta al pubblico la sera del 7 maggio.

Jasna Veličković
Compie il suo ingresso nel mondo della musica come pianista e compositrice classica. Dopo aver completato i suoi studi a Belgrado, si trasferisce in Olanda dove prosegue la sua educazione. Durante la sua carriera ventennale sviluppa numerose composizioni eseguite in festival come l’ISCM World Music Days, il New York MATA Festival, la Biennale di Zagabria, il Gaudeamus Music Festival. Nel 2007 è insignita del 28° Irino Prize di Tokyo cha va ad affiancare lo Slavenski Award (1998) e i Mokranjac Awards (2001, 2006). Nel 2011 riceve una menzione d’onore dall’UNESCO Rostrum of Composers.

CHIUSURA ISCRIZIONI
24 Aprile 2017

SESSIONI DI LAVORO
Dal 5 al 7 maggio, dalle 10:30 alle 17:30 (con pausa pranzo)

COSTO
Sconto STUDENTI e per le iscrizioni ricevute entro l’8 marzo:
€ 150 + tessera annuale Live Arts Cultures 2017 (10 euro)
Altrimenti:
180 € + tessera annuale Live Arts Cultures 2017 (10 euro)
Il costo include 18 ore di pratica e apprendimento, materiale per la costruzione del proprio Velicon, pasti.

COME ISCRIVERSI
Inviare una mail recando nell’oggetto “Magnetic Music” a:
electronicgirls.fest@gmail.com
Vi chiediamo di allegare un breve CV per meglio comprendere la composizione del gruppo di lavoro.

Evento Facebook: https://www.facebook.com/events/143796146134806/

LE NUOVE ROTTE DEL JAZZ 2016 – 14^ edizione

Massimo De Mattia e Bruno Cesselli, autori delle musiche di Jazz Loft – Foto Luca D’Agostino

Arriva alla sua quattordicesima edizione, la rassegna “Le Nuove Rotte del Jazz” organizzata dal Circolo Culturale Controtempo, e conferma la tendenza ad esplorare nuovi territori della musica d’oggi, a ricercare progetti sperimentali e inediti, a dare voce ai linguaggi musicali alternativi e compositi.

La nuova edizione, che si svolge con il contributo del MiBACT e della Regione Autonoma FVG e con la collaborazione del Comune di Trieste – Museo Revoltella e del Conservatorio di Musica “G. Tartini” di Trieste, si tiene all’Auditorium del Museo Revoltella tra il 28 maggio e il 10 giugno (l’inizio dei concerti – tutti a ingresso libero – è alle 20.30) e presenta tre appuntamenti che accolgono messaggi artistici e sonori diversissimi tra loro eppure accomunati dal fascino della ricerca di linguaggi diversi.
Il debutto è per sabato 28 maggio, con gli ANGLES 9,  formazione scandinava composta da alcune delle migliori firme del jazz nordico. Molti dischi all’attivo e partecipazioni ai migliori festival in Europa, ovunque suoni la formazione di Martin Küchen travolge pubblico e critica per il potente e personalissimo approccio. Le composizioni di Küchen spaziano dalle sonorità degli strumenti infantili al jazz moderno di Chris McGregor, Carla Bley, Charles Mingus e Lars Gullin; fino ai gusti balcanici e alle danze africane: rovescia il mondo, sempre mantenendo un suo specifico tratto distintivo. Una band “semplicemente irresistibile”. Gli Angels 9 sono Martin Küchen al sax alto Eirik Hegdal al sax baritono e sopranino, Goran Kajfes e Magnus Broo alla tromba, Mats Äleklint al rombone, Johan Berthling al basso, Alexander Zethso al pianoforte, Mattias Ståhl al vibrafono e Andreas Werliin alla batteria.

 

Un gradito ritorno è quello di mercoledì 8 giugno, quando Controtempo ripropone una sua produzione che lo scorso gennaio a Pordenone ha registrato due sold out e reazioni a dir poco entusiastiche: si tratta di “Jazz Loft“, progetto in collaborazione con Artesuono, una graphic novel scritta dal giornalista e critico Flavio Massarutto e disegnata dall’illustratore Massimiliano Gosparini che ha visto nascere, contemporaneamente, anche le sue musiche originali, ispirate allo storyboard. A comporre le musiche sono stati Massimo De Mattia e Bruno Cesselli, che hanno firmato i brani composti come una “colonna sonora”. “Jazz Loft” è un noir ricco di suspence, tra omicidi e colpi di scena, che si svolge negli ambienti del jazz americano d’avanguardia degli anni Settanta. Sul palcoscenico, a Trieste, sale un  sestetto di musicisti di prim’ordine per dare voce, dal vivo, alle musiche concepite sul lavoro pittorico caratterizzate da un’ originale sintesi di linguaggi jazzistici, dalla spiccata impronta improvvisativa: Massimo De Mattia: flauti – Nicola Fazzini: sax alto e soprano – Luigi Vitale: vibrafono e marimba –Bruno Cesselli: pianoforte – Alessandro Turchet: contrabbasso – Luca Colussi: -batteria. Per l’occasione speciale, accanto al sestetto si esibisce anche il Quartetto d’archi dell’Accademia Arrigoni (Christian Sebastianutto: violino I – Alberto Stiffoni: violino II – Domenico Mason: viola – Marco Venturini: violoncello).
La rassegna si conclude con una prima assoluta, con un concerto concepito ad hoc per il contesto della rassegna triestina:venerdì 10 giugno è la volta di “Aria di Jazz: concerto in omaggio a Vladimiro Miletti“, una ricerca sonora – ma anche letteraria, sociale, artistica – dedicata allo studioso e artista triestino.
“[Con Aria di jazz] voglio rendere la simultaneità di suono-impressione provocata dal jazz; sincronizzare i ritmi delle parole in libertà con quelli del jazz; vivificare e sintetizzare l’ambiente caratteristico del jazz”. Così spiega, nel 1934, in apertura del suo poema, il ventunenne Miletti nel dare alle stampe, per le Edizioni dell’Alabarda, “Aria di jazz”. Un tentativo riuscito di tradurre la carica dirompente, cinetica e anticonvenzionale del jazz con la poesia futurista. Ma che musica potrebbe avere avuto quel poema? Ci prova ad immaginarla e restituircela un ensemble inedito formato da esperti improvvisatori, docenti e allievi del Conservatorio Tartini guidati da Giovanni Maier. Un omaggio, dunque, ad una stagione artistica ricca di esperimenti e desiderio di rinnovamento e al jazz degli Anni Venti e Trenta. Un nuovo progetto nato dall’incontro tra il Circolo Controtempo e il Conservatorio triestino (e coordinato da Flavio Massarutto) nel segno della valorizzazione dei giovani talenti e dell’incontro tra diverse generazioni di musicisti (l’ensemble è composto da: Robert Mikuljan: tromba – Daniel D’Agaro: clarinetto e sassofoni – Giancarlo Schiaffini: trombone – Matteo Alfonso: pianoforte – Giovannni Maier: contrabbasso – Camilla Collet: batteria).

 

Le foto di Cesselli – De Mattia e di Maier sono di Luca d’Agostino: si prega di citare il credit.

 

Info: www.controtempo.org

 

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