Una Tromba da Oscar. Il Nello Salza Ensemble al Teatro Massimo di Pescara

Venerdì 9 febbraio 2018, la Stagione dei Concerti della Società del Teatro e della Musica “Luigi Barbara propone “Una Tromba da Oscar”, una vera e propria “carrellata” nella grande musica delle colonne sonore e della storia del cinema con il Nello Salza Ensemble: la formazione è composta da Nello Salza alla tromba e al flicorno, Simone Salza ai sassofoni, Vincenzo Romano al pianoforte, David Medina al basso e Gianfranco Romano alla batteria. Gli arrangiamenti dei brani sono curati da Vincenzo Romano. Il programma del concerto si compone di musiche di Morricone, Salza, Piovani, Mancini, Conti, Rota, Barbieri, Piazzolla, Daniele, Corea, Umiliani, Lavagnino e Piccioni.

Il concerto si svolgerà al Teatro Massimo di Pescara, con inizio alle ore 21. Il biglietto di ingresso costa 20€ (ridotto a 15€ per i soci della Società del Teatro e della Musica “Luigi Barbara”) e si può acquistare sui circuiti online e a Pescara, presso la sede di Via Liguria.

Il concerto è realizzato nell’ambito del Progetto Circolazione Musicale in Italia del CIDIM – Comitato Nazionale Italiano Musica.

“Una Tromba da Oscar” è uno spettacolo musicale esclusivo, in cui la tromba, in veste di protagonista, ripercorre le più affascinanti ed indimenticabili colonne sonore che hanno segnato la storia del cinema, della televisione e del musical italiano, proponendo così al pubblico un repertorio unico e mai presentato in forma di concerto. Il tutto, reso ancora più interessante da aneddoti, notizie e curiosità di vita musicale vissuta, raccontati dall’artista Nello Salza, interprete di oltre 400 colonne sonore in qualità di Prima Tromba solista e definito dalla critica “La Tromba del Cinema Italiano” per la sua trentennale attività nel panorama cinematografico, televisivo e teatrale. La melodia, dunque, estrapolata dal film ed eseguita nei concerti attraverso un suggestivo spettacolo musicale che coinvolge ed avvicina il pubblico alla musica da film e che si apprezza anche al di là della proiezione cinematografica. Lo spettacolo è stato eseguito nei più importanti Teatri internazionali, in location quali Città del Vaticano, Auditorium di Roma, Thailand Cultural Center di Bangkok, Teatro di Salonicco, Cina, Sibiu Festival Cultura Europea, Firenze Palazzo della Signoria.

Jim Porto raddoppia, due concerti all’Elegance Cafè tra jazz e samba

Jim Porto nasce in Brasile a Rio Grande do Sul. Arriva in Italia alla fine degli Anni ‘70 e fa di Roma la sua nuova città. Grazie al suo profondo rispetto per i grandi compositori brasiliani e per la ricerca costante che opera nello scoprire nuovi autori di talento, virtuoso del jazz samba, Jim Porto è considerato oggi uno dei massimi esponenti della musica brasiliana in Italia. I primi Anni ‘80 furono un momento d’oro per la musica brasiliana in Italia e a Roma in particolare. Jim Porto partecipa con João Gilberto, Tania Maria e altri artisti in diverse edizioni delle Estati romane pur continuando le jam session al Manuia con artisti della caratura di Chet Baker, Jorge Ben, Caetano Veloso, Gilberto Gil, Milton Nascimento, Marisa MonteDejavan che parteciperà poi al primo lavoro di Porto dal titolo Rio, prodotto nel 1983 da Sandro Melaranci con arrangiamenti di Rique Pantoja. Jim collaborerà per anni con jazzisti come Roberto Gatto e Michele Ascolese e sono molteplici le sue partecipazioni a grandi festival jazz in tutta Europa. A Rio seguiranno altri album e partecipazioni a importanti eventi in tutto il mondo: dal Festival di Praia di Capo Verde a Buenos Aires, da Barcellona al Festival etno-jazz di Tabarka in Tunisia, fino a ritornare al suo Brasile dove le canzoni di Jim Porto erano state scelte per la sigla di alcune telenovelas di successo di Globo TV.
Sul palco Jim Porto (piano, voce), Mauro Salvatore (batteria), Denis Fattori (tromba, flicorno) e Daniele Basirico (basso, contrabbasso, violoncello).

Giovedì 8 e venerdì 9 febbraio
ore 21.30
Elegance Cafè Jazz Club
Via Francesco Carletti, 5 – Roma
Euro 20 (concerto e prima consumazione)
Infoline 0657284458

Il sax di Gianni Vancini dal vivo all’Elegance Cafè

Gianni Vancini presenta “Get Your Groove On”. Nel disco, interamente registrato a Los Angeles, solo musicisti e special guest di fama internazionale tra cui Terry Wollman, Greg Manning, Selina Abright, Jeff Lorber, Kenya Hathaway, Kirk Whalum, Stan Sergeant, Alex Al. Vancini, considerato uno dei più promettenti sassofonisti nella scena del jazz contemporanea, dall’inconfondibile stile americano e più volte presente nelle classifiche USA, farà divertire ed emozionare sul palco dell’Elegance Cafè accompagnato dalla Groove Family, formazione collaudata con la quale collabora già da tempo.
Sul palco Gianni Vancini (sax), Cristiano Micalizzi (batteria), Matteo Carlini (basso), Jacopo Carlini (tastiere) e Valentina Ducros (voce).

Venerdì 2 febbraio
ore 21.30
Elegance Cafè Jazz Club
Via Francesco Carletti, 5 – Roma
Euro 20 (concerto e prima consumazione)
Infoline 0657284458

Fly Trio, Turner – Grenadier – Ballard all’ Auditorium Parco della Musica

Le foto sono di ADRIANO BELLUCCI

Auditorium Parco della Musica, lunedi 22 gennaio 2018, ore 21

Sala Teatro Studio Borgna
FLY TRIO
Mark Turner sax and clarinet
Larry Grenadier bass
Jeff Ballard drums

Recensione, Parte I

Tre fenomeni del Jazz come Mark Turner, Larry Grenadier e Jeff Ballard non possono che suonare in modo fenomenale.
Fly Trio è un esempio perfetto di quel Jazz che gode della sintesi impeccabile tra musica scritta con cura a livello quasi contrappuntistico e la capacità di travalicarne i rigidi schemi con parti improvvisate ricchissime di spunti che non rimangono mai inascoltati dai tre componenti del gruppo. Ogni idea lanciata dall’uno, passa meticolosamente al vaglio degli altri due: viene colta, reinterpretata, restituita in altra forma. Un riff melodico del sax può essere subito dopo “cantato” dalla batteria. Un piccolo ostinato di contrabbasso può essere espanso dal sax. Un pattern ritmico della batteria può diventare la base per un solo di contrabbasso.
Negli obbligati le parti le si possono immaginare disegnate come tre linee che partono correndo unite, improvvisamente si dividono aprendosi in percorsi a raggiera, per poi riavvicinarsi e correre parallele. Unisoni, improvvise aperture a raggiera, rientri in andamenti a due voci con intervallo minimo e la batteria omoritmica, ritorno all’unisono e sempre sempre una tendenza a procedere oltre. Ogni brano è un viaggio senza “fermate espressive intermedie”, in cui ci si ferma solo al termine del pezzo.

La sintonia tra Turner, Grenadier e Ballard è totale. Ed è importante in un concerto in cui l’enfasi non è né sull’ aspetto melodico, né su quello armonico, e che piuttosto è, come appena accennato, proprio in quel procedere in avanti, insieme, partendo da parti obbligate e macinando idee continue che si sviluppano in corsa, improvvisando, in quella corsa che ha il suo termine dopo aver percorso tutte le strade possibili insieme, dandosi il cambio alla guida. Quando il sax tace, emerge il contrabbasso che prende il comando fino a quando, al momento giusto non esce fuori l’inconfondibile batteria di Ballard, capace di momenti di quasi (benefica) anarchia emotiva rispetto alla quasi perfezione della compagine nel suo complesso, ove quel quasi è garantito proprio da Ballard.

Non mancano brani a dir poco accattivanti, come  La Perla Morena, di Ballard, con soluzioni ritmiche molto attraenti, come quel tempo in 3 che si disgrega temporaneamente, senza fermarsi, s’intenda, per poi riprendere la scansione originaria, o Lone, ballad in cui i riferimenti armonici, che in un trio pianoless solitamente sono destinati al lavoro del contrabbasso, sono qui ulteriormente ridotti all’osso, da intuire concentrandosi, facendo quasi uno strenuo esercizio di orecchio, se si ha la fortuna di averlo.
Sembrerà forse pleonastico dire che gli assoli di questi tre assi del loro strumento sono complessi, tecnicamente perfetti, virtuosistici, ineccepibili.
Le dinamiche occupano una forchetta volutamente poco ampia, assestata su un range di volumi mai alti, dal piano al mezzo forte, e sono dunque raffinate, a volte quasi impercettibili. E’ un Jazz che da questo punto di vista si può considerare con il termine cool, tratto ascrivibile soprattutto a Turner, che è un virtuoso ed eccellente strumentista che non cede mai all’ esasperazione dei toni.


Grenadier lavora strenuamente ed energicamente camminando per linee tematiche e ritmiche, evitando volutamente lo spessore armonico e privilegiando un andamento spedito ed “orizzontale”. I momenti in duo con Ballard trapelano di tutta la profonda conoscenza reciproca e scorrono con una naturalezza che quasi ammorbidisce (positivamente) il suo innegabile lato di virtuoso del contrabbasso.

Recensione, Parte II – Il parere di chi vi scrive.

In quanto persona che scrive di musica spesso viene chiesto il mio parere, ovvero l’impatto che su di me ha un determinato concerto, o un disco, insomma la musica che mi si chiede di ascoltare. E quando vado di mia iniziativa ad ascoltare un concerto, come in questo caso, capita che io esprima un parere.
Il parere non è verità. E’ la descrizione dell’impatto che su di me ha quella musica. L’impatto dipende dalla formazione di ognuno, dai gusti di ognuno, dalle inclinazioni di ognuno.
Volutamente questa volta ho tenuto il mio parere su questo concerto separata dal resto della recensione in cui ho tentato (sottolineo tentato) di descrivere (sempre secondo i miei parametri di ascolto e le mie competenze) che tipo di musica hanno suonato questi eccellenti musicisti.
Così se il parere non è parte interessante per chi legge può essere comodamente saltato a piè pari, da ora. Questo lo specifico perché sempre più spesso leggo che chi scrive di musica non dovrebbe avere un parere, o comunque non dovrebbe esprimerlo.
Poi però leggo anche, contraddittoriamente, che chi scrive di musica dovrebbe essere meno accondiscendente e dare più pareri negativi nelle sue recensioni.
Poi però leggo anche, quando emerge un parere negativo, che colui che scrive di musica dà un parere rancoroso magari dovuto a chissà quali retroterra di incompetenze o addirittura invidia del musicista.
Dunque attenzione, da qui in poi leggerete un parere. Quello di Daniela Floris. Siete liberi di non leggerlo.

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Su di me, Daniela Floris, il Fly Trio, che riconosco essere composto da eccellenti musicisti, da me molto apprezzati in altri contesti, ha un impatto un po’ raggelante. Hanno un ottimo livello comunicativo tra loro (interplay)  ma, riducendo all’osso – in una formazione già di per se pianoless – i riferimenti armonici e non perseguendo linee melodiche vere e proprie, finiscono per essere quasi criptici, e poco comunicativi all’esterno. Chi svirgola rispetto a questo rigore “emotivo” è Jeff Ballard, che nei suoi assoli e in alcuni momenti in duo con Larry Grenadier riesce a farti sobbalzare e risollevare da quella raffinatezza, cura estrema dei particolari e controllo totale perseguiti strenuamente in ogni momento di un concerto obiettivamente di altissimo livello.
La scelta di Mark Turner di operare, pur se con dinamiche curatissime, in un range poco ampio di volumi, diciamo tra il piano ed il mezzo forte, diminuisce ulteriormente l’impatto che definirei “emotivo” e risultandoMI compìto, colto, un po’ freddo.
Per alcuni questo è un pregio. Per me, lungi dall’essere un difetto, è un’ occasione perduta: quella di far fruttare un’eccellente bravura per emozionare, anche e divertire, o magari anche “scandalizzare” il pubblico.
Che in sala era, ad essere sinceri,  diviso tra chi era visibilmente annoiato e chi invece ha convintamente applaudito.
Chi di voi ascolterà Fly Trio ci farà sapere, se vuole, il suo parere.

Con Tedesco e Paradisi il canto jazz spicca il volo! I concerti all’Auditorium di Roma venerdì 19 e sabato 20 gennaio

Fine settimana all’insegna del canto jazz all’Auditorium Parco della Musica di Roma: venerdì 19 gennaio e il successivo sabato abbiamo ascoltato due delle più belle voci che il jazz italiano possa attualmente vantare, seppure in contesti assai diversi. Così venerdì è stata la volta di Cinzia Tedesco, con alle spalle la big-band diretta con la solita perizia e passione da Bruno Biriaco, e sabato di scena Marilena Paradisi supportata dallo straripante talento di Kirk Lightsey.

Ma procediamo con ordine. La Tedesco ha riproposto il materiale tratto dai due ultimi CD dedicati rispettivamente a Bob Dylan e Giuseppe Verdi. Ad onor del vero pochissime volte mi era capitato di ascoltare Cinzia dal vivo, per cui, dopo la splendida impressione lasciatami dal disco dedicato a Verdi, mi sono recato al concerto con la speranza di confermare tali positive sensazioni. Ed in effetti è stato così… almeno al novanta per cento.  Inizio scoppiettante con la big band che introduce il concerto eseguendo il coltraniano “Giant Steps”… e si ha subito la sensazione che l’orchestra è in palla.

Subito dopo entra Cinzia Tedesco salutata da applausi convinti; “La donna è mobile” da “Rigoletto” è il primo brano proposto dalla vocalist; Cinzia lo affronta con la verve e la precisione di sempre, ben supportata dalla band che, come ha spiegato Biriaco, si è sottoposta ad un duro lavoro prima di affrontare questa impegnativa prova. In effetti una cosa è arrangiare la musica di Verdi per quintetto, altra cosa – molto più rischiosa – è avvicinarsi a queste storiche partiture con una big band. L’ostacolo è stato brillantemente superato grazie al congiunto lavoro di Stefano Sabatini che si era già occupato degli arrangiamenti e dello stesso Biriaco che ha curato l’orchestrazione. Così Cinzia ha potuto esibire al meglio le sue doti ben sapendo di avere ‘al suo servizio’ una band ben rodata, composta da eccellenti jazzisti che mi consentirete di citare uno per uno: Pietro Iodice, batteria; Stefano Sabatini, pianoforte; Luca Pirozzi, basso; Gianni Savelli, Paolo Recchia, Nino Rapicavoli, Torquato Sdrucia, Elvio Ghigliordini a costituire la sezione sax, Roberto Schiano, Luca Giustozzi  ed Enzo de Rosa ai tromboni; Claudio Corvini, Fernando Brusco, Roman Villanueva e Francesco Fratini alle trombe.

Tornando allo sviluppo della serata, dopo il “Rigoletto” è stata la volta de “La Traviata” con “Addio del passato” e dell’ ”Aida” con “Celeste Aida” che la Tedesco ha affrontato con la solita umiltà e pertinenza che si ascoltava nel disco, quindi niente inutili virtuosismi ma la necessità di mettere al servizio dell’espressività, dell’interpretazione i propri notevolissimi mezzi vocali: capacità di restare perfettamente intonata su tutti i registri, quasi assoluta mancanza di vibrato, capacità di coniugare tradizione classica con tradizione jazzistica senza stravolgere i temi che restano perfettamente riconoscibili nella loro integrità. Peccato che durante le frequenti incursioni della Tedesco sui registri acuti, probabilmente per un difetto di riproduzione del suono, la timbrica della voce cambiava diventando più metallica e quindi meno espressiva.

La pagina dedicata a Verdi si chiudeva con “Tacea la notte placida” da “Il Trovatore”.

A segnare una cesura tra prima e seconda parte del concerto ci pensava l’orchestra che eseguiva magnificamente “A Remark You Made” il celebre brano scritto da Joe Zawinul per Jaco Pastorius e contenuto nell’album “Heavy Weather” registrato tra il 1976 e il 1977. Torna in scena la Tedesco per proporre i brani di Bob Dylan: “I Shall be released”, “Knockin’ on Heaven’s Door”, “Meet Me in the Morning” e “Like a Rolling Stone” offerto come bis.

Come già detto in apertura, sabato 20 strepitoso concerto di Marilena Paradisi e Kirk Lightsey. Marilena Paradisi – non faccio fatica a confessarlo – è una delle mie vocalist preferite che seguo con attenzione e che ho profondamente ammirato per il coraggio dimostrato nell’incidere una serie di album tutt’altro che commerciali dedicati alle possibilità della voce umana. Per quanto concerne il pianista statunitense, era da qualche tempo che non lo vedevo e l’ho trovato francamente toccato dall’usura del tempo… ma solo per le rughe che gli solcano il viso ché il fisico resta asciutto come sempre e intatte sono rimaste la verve, la simpatia, la voglia di suonare e soprattutto la grande maestria nel porre le mani sulla tastiera. Lightsey (classe 1937) ad onta della non giovanissima età, rimane un artista formidabile, un pianista capace sia di empire da solo tutto lo spazio sonoro (mai si è avvertita durante il concerto la mancanza di qualche altro strumento) sia di mettersi al servizio dei compagni di viaggio, nel caso in oggetto la vocalist Marilena Paradisi. Di qui un’esibizione che, a mio avviso, è risultata migliore dell’album “Some Place Called Where”, registrato dai due lo scorso anno e che per la prima volta in assoluto veniva presentato live.

In effetti abbiamo avuto modo di apprezzare più a lungo e meglio il pianismo, ora orchestrale, ora di estrema delicatezza di Kirk mentre Marilena non poteva trovare occasione migliore per festeggiare il proprio compleanno che cadeva proprio il 20 gennaio.

La performance della cantante è stata semplicemente superlativa: sono andato al concerto con una mia amica, anch’essa cantante di jazz, ed è facile immaginare come nel microcosmo del jazz italiano spesso tra gli stessi musicisti non corra buon sangue. Ebbene, per tutta la durata del concerto, questa amica non ha fatto altro che ripetermi: “Ma quanto è brava Marilena, hai sentito con quanta disinvoltura ha affrontato questo passaggio? Che musicalità… Fantastico”.

Ed aveva ragione. Come si accennava, Marilena ha studiato a lungo le possibilità della voce raggiungendo un controllo della stessa quasi assoluto; è un piacere sentirla destreggiarsi tra i vari registri, passare dal grave all’acuto senza alcun problema, con una padronanza dell’emissione totale, senza che la voce mai denunciasse una minima incrinatura o che andasse fuori riga.

Così, uno dopo l’altro, abbiamo riascoltato gli otto brani contenuti nel CD ed anche in questa scelta di repertorio la Paradisi merita un grande elogio: infatti la scelta è caduta su brani tutti di grandi autori (Mingus, Bernstein, Waldron, Carter… tanto per citarne alcuni) ma tutti poco orecchiabili e poco battuti. Insomma nessuna concezione al facile ascolto. A questi pezzi, durante la serata di sabato, il duo ha aggiunto altre quattro perle vale a dire “Infant eyes” di Wayne Shorter, “Lament” di J.J.Johnson, “Lullaby of the Leaves” di Bernice Petckere e “All Blues” di Miles Davis come bis.

Si ringraziano i fotografi Massimo De Dominicis per le immagini di Cinzia Tedesco e Fabrizio Sodani per quelle di Marilena Paradisi.

Gerlando Gatto

Pierpaolo Principato Trio, un omaggio a Petrucciani tra swing e gospel-funk

Il progetto prende forma da un’idea di Pierpaolo Principato ed è interamente dedicato al grande musicista francese Michel Petrucciani. L’ispirazione nasce, oltre che dalla bellezza e solarità del suo stile pianistico, anche e soprattutto dalla scoperta delle sue composizioni caratterizzate da una grande forza comunicativa che nasce dall’alchimia tra le armonie preziose e sofisticate e la cantabilità delle melodie. Il repertorio si muove tra lo swing di brani come “Chloe meets Gershwin” e “Little piece in C”, il grande lirismo di ballad come “Morning sun in blois”, le atmosfere brazilian di “Looking Up” e “Brazilian Like” ed il gospel-funk di “Cantabile”. Pur avendo rielaborato i brani del repertorio essi mantengono gran parte della fisionomia originale.
Sul palco Pierpaolo Principato (piano), Alessandro Marzi (batteria) e Marco Siniscalco (basso).

sabato 27 gennaio
ore 22.30
Elegance Cafè Jazz Club
Via Francesco Carletti, 5 – Roma
Euro 22 (concerto e prima consumazione)
Infoline 0657284458