Auditorium Parco della Musica, Roma Domenica 28/10/2012

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Trio Rusconi (foto Diana Scheunemann)

Trio Rusconi (foto Diana Scheunemann)

Ascoltare per la prima volta i Rusconi, come è capitato a chi vi scrive, è un’ esperienza emotivamente molto, molto interessante. Questi tre ragazzi di Zurigo (lo dicono essi stessi anche durante l’ intervista che hanno concesso alla nostra testata poco prima del concerto al Teatro Studio nell’ambito del Roma Jazz Festival) si propongono fermamente di creare attraverso il suono, anzi la ricerca estemporanea, improvvisata, del suono, una forte comunicazione con il pubblico. Attenzione però: alla base di questa ricerca del suono (che dunque vede come fondamentale l’ improvvisazione) c’è uno studio serissimo che precede la performance, e che permette poi ai Rusconi di addentrarsi con grande originalità nelle mille possibili strade per arrivare alla grande empatia emotiva che si crea tra il palco e la platea.

Una comunicazione che è avvenuta fin dai primi attimi di un concerto veramente bello, coinvolgente, inusuale e anche divertente. Un concerto fatto proprio di una serie di istanti continui che non tendono ad un cammino “orizzontale”, ma piuttosto un esplodere “sul posto” di mille suggestioni provocate dai musicisti.

Questa particolare sensazione di partecipazione emotiva viene ottenuta creando atmosfere talvolta vaghe e sospese – con accordi mantenuti a loop, voci che volutamente rimangono intrecciate ed impastate nel suono generale senza spiccare in quanto voci umane; improvvisi cambi di registro (che parlano di quanto Jazz e anche quanto Blues abbiano ascoltato e suonato questi tre giovani musicisti, che non a caso si presentano in Trio, la formazione jazzistica per eccellenza); ostinati che da ipnotici e quasi sommessi diventano improvvisamente incalzanti e travolgenti; effetti elettronici utilizzati con grande gusto, non tracimando e fagocitando ma creando giochi sonori di volta in volta psichedelici, o onirici, o fortemente sanguigni, anche. Questo continuo avvicendarsi di situazioni sonore contrastanti (ma mai stridenti tra loro) fa si che si possa definire la sonorità dei Rusconi quasi visiva, di sicuro evocativa e dunque molto suggestiva, in senso letterale. Non è un’ operazione solo estetica, ma anzi molto espressiva, e per questo, piuttosto emozionante.

Cosa troviamo di veramente Jazzistico in questa musica che apparentemente di Jazz sembra avere poco – a parte le incursioni di cui si parlava sopra nello swing e nel blues, che però non sono citazioni o cammei ma parti fondamentali di un intreccio sapiente? E’ semplice. Di jazzistico c’è un notevolissimo interplay, c’è l’ improvvisazione; il dialogo tra pianoforte basso e batteria è assolutamente jazzistico, e il risultato si sente.
La batteria di Struby ha una notevole capacità di reinventare estemporaneamente il groove e l’ atmosfera, ma questa è caratteristica di tutti e tre i musicisti che sanno bene come giocare con i suoni, eppure sono tutt’ altro che freddamente strategici. Lo stesso Stefan Rusconi sfrutta il pianoforte in tutti i modi possibili, così come Gisler fa con il suo basso. E’ un gioco, ma è un gioco serio, fatto di fantasia e buon gusto, e anche entusiasmo: dalla precisione assoluta (caratteristica fondamentale non banalmente della Svizzera ma della musica) parte nei Rusconi la tendenza alla libertà espressiva più assoluta.

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