Incontri alla Casa del Jazz: Rita Marcotulli entusiasma – Ottavia Rinaldi commuove

Dopo una settimana di stop, mercoledì 15 novembre il nostro direttore Gerlando Gatto è tornato alla “Casa del Jazz” per il quarto appuntamento della sua serie L’altra metà del jJzz, in una sala particolarmente gremita, un po’ come avveniva nel lontano 2012 con le sue Guide all’Ascolto.
La prima ospite della serata è stata la rinomata pianista Rita Marcotulli, legata a Gatto da uno stretto rapporto di amicizia che dura ormai da più di mezzo secolo, quando il comune amico Mandrake, al secolo Ivanir do Nascimento, presentò al giornalista una giovanissima ma talentuosa Marcotulli; tanto talentuosa da venir chiamata già da giovane in tour con musicisti del calibro di Billy Cobham e Dewey Redman. Buona parte dell’intervista è stata costituita da un lungo excursus sulla sua vita e le sue opere: da un’infanzia vissuta a contatto con titani della musica e del cinema come Nino Rota, Ennio Morricone o Roman Polanski, grazie al lavoro di tecnico del suono del padre, alla sua carriera, ricca di soddisfazioni: infatti oltre ai tour con i già citati Redman e Cobham, si possono annoverare alcuni sodalizi con artisti italiani del calibro di Francesco de Gregori, Pino Daniele o Eugenio Bennato, la composizione della colonna sonora del film Basilicata Coast to Coast (2010) di e con Rocco Papaleo e la vittoria del David di Donatello come migliore musicista per il lavoro svolto in questo film (peraltro, prima donna a ricevere questo riconoscimento sin dalla sua istituzione nel 1975), il suo lavoro di rappresentanza dell’Italia a livello internazionale e il conferimento delle onorificenze di Ufficiale della Repubblica Italiana e Membro della Royal Swedish Academy of Music. Parlando della sua carriera, Rita non manca mai di sottolineare l’importanza di ogni singola esperienza vissuta: dallo stile cromatico di Redman al Jazz Rock/pop di Cobham, dalla musica leggera di Bennato e De Gregori a quella di Daniele: queste esperienze l’hanno aiutata a sviluppare una linea di pensiero per quanto riguarda i generi musicali non dissimile da quella espressa da altre musiciste nelle scorse puntate; infatti si schiera apertamente contro quello che lei chiama “snobismo” tra generi musicali, e propone invece solo un tipo di distinzione: quella tra buona musica e musica scarsa. Da questa affermazione si è aperto un dibattito sullo stato attuale della musica pop in Italia, e in questo caso Rita propone una riflessione applicabile alla musica, ma ad ogni genere di arte: in fin dei conti, i veri vincitori alla prova del tempo sono coloro che hanno il coraggio di innovare e di avere una propria originalità; pensiero condiviso appieno da chi scrive.
Infine il discorso è stato intervallato, come al solito, da tre brani straordinari composti dalla stessa Marcotulli: All Together, dedicata ad un amico che quella sera compiva gli anni, Indaco, e The Way It Is.

***
La seconda parte è stata dedicata all’arpista e cantante esordiente Ottavia Rinaldi, che racconta del suo percorso musicale: partendo dalla Sicilia (per la precisione da Messina) terra di origine della musicista dove ha sviluppato sin dall’età di sette anni e mezzo una passione per l’arpa, si è trasferita prima a Monopoli, poi a Como, e poi a Parma dove ha conseguito il master di II livello nello studio dell’arpa classica e jazz. Per diversi anni frequenta il corso di alto perfezionamento jazz presso la Filarmonica di Villadossola con Ramberto Ciammarughi verso il quale la Rinaldi ha parole di sincera stima e gratitudine per tutto ciò che le ha trasmesso nell’ambito del jazz.

Nel suo discorso Ottavia pone molto l’accento sul gusto di suonare insieme agli altri in orchestra: motivo per il quale non ha ancora sviluppato un progetto in solitaria, andando in controtendenza rispetto alla stragrande maggioranza degli arpisti jazz – e proprio in quanto arpista la Rinaldi riferisce di aver affrontato le maggiori sfide, soprattutto per quanto riguarda una mentalità a suo dire chiusa nell’ambiente musicale nei confronti degli arpisti. Dopo aver parlato di sé come musicista, Ottavia racconta del suo primo album Kronos, pubblicato da Alfa Music, contenente sette brani autografi ed la riarmonizzazione di uno standard (“Like Someone in Love” di Jimmy Van Heusen); da questo album sono tratti i tre pezzi che hanno intervallato la serata (in ordine Kronos a metà, Valzer delle Anime e Ciatu, unico brano cantato dei tre). L’album, uscito proprio in questi giorni, vede come protagonista l’HarpBeat Trio, costituito per l’appunto dalla Rinaldi all’arpa e canto, Carlo Bavetta al contrabbasso e Andrea Varolo alla batteria. Il trio evidenzia una notevole dose di empatia e non poteva essere altrimenti dato che i tre collaborano assieme sin dal 2017. Infine,  si apre un dibattito sull’importanza dell’improvvisazione e sull’ambizione della musicista di rimanere attiva sia nel campo della musica classica – musica che, data la formazione ricevuta, non abbandona mai del tutto, come ripetuto più volte da lei stessa – che in quello del jazz.
Redazione

Maria Pia De Vito profonda anche nelle parole / Sonia Spinello sorprende il pubblico romano

Ancora una bella serata martedì nell’ambito degli incontri tenuti alla Casa del Jazz dal nostro direttore Gerlando Gatto. Ospiti Maria Pia De Vito e Sonia Spinello.
Atmosfera molto distesa con le due artiste assolutamente a loro agio, pur affrontando tematiche tutt’altro che leggere, ed un pubblico quanto mai attento e recettivo tra cui, in sala, due figure di rilievo del jazz italiano: Cinzia Tedesco una delle voci più autorevoli del panorama vocale e Danilo Blaiotta sicuro talento del nuovo pianismo jazz.
Apre Maria Pia De Vito che canta accompagnandosi al pianoforte: il conduttore la invita a ripercorrere i primi passi della sua carriera, quando frequentava il “Music Inn” e appariva – queste le parole di Gatto – «affamata di Jazz».

La vocalist risponde con fervore e il quadro che ne deriva è quello di un ambiente musicale molto vivo, ricco di fermenti, di novità, di un pubblico che man mano si avvicina al jazz apprezzandone il nuovo linguaggio. In tale contesto si forma la personalità della De Vito che, a partire da quei giorni, mai si è fermata nella ricerca di un’espressione artistica che meglio la rappresenti. Di qui una sperimentazione sulla vocalità che attraversa vari terreni: dal free jazz all’elettronica, dal lavoro sulla forma canzone anglofona, senza limitazioni di genere, alle riletture su musiche rinascimentali e barocche, fino alla personale elaborazione della lingua e della cultura napoletana attraverso la musica di improvvisazione. E il primo “regalo” musicale lo offre riproponendo un brano di Joni Mitchell, per sua stessa ammissione una delle sue muse ispiratrici.
Trattandosi di una cantante che come nessun’altra ha saputo valorizzare la lingua napoletana in un ambito totalmente diverso, non poteva mancare un omaggio a questa particolare sperimentazione; ecco dunque la De Vito interpretare con sincera partecipazione “Il Paradiso Dei Cacciottielli “tratto da un album particolarmente significativo intitolato “Phoné” del 2018 in cui la De Vito si esibiva accanto a John Taylor, Gianluigi Trovesi, Enzo Pietropaoli, Federico Sanesi.
L’intervista si sposta poi sull’ultimo lavoro della vocalist campana, “This Woman’s work“ per la Parco della Musica Records, riflessione in musica sulla condizione femminile, particolarmente in sintonia con il secondo libro di Gatto dedicato all’universo femminile del jazz. Su questo particolarissimo tema la De Vito si è soffermata parecchio con riflessioni sempre assai puntuali.
Avviandosi alla conclusione Maria Pia ci ha offerto un breve saggio di improvvisazione a cappella suscitando l’entusiasmo del pubblico che l’ha salutata con calorosi applausi.

Atmosfere completamente diverse nella seconda parte della serata con la vocalist Sonia Spinello accompagnata al piano dall’ottima Eugenia Canale della quale, proprio in questi giorni, è uscito l’album “Risvegli” per la Barnum.
Tornando alla serata presso la Casa del Jazz, Gatto ha tenuto a precisare che l’invito alla Spinello era determinato dal fatto che questa artista praticamente non è conosciuta nel centro-sud Italia nonostante al Nord abbia già raggiunto una buona popolarità grazie ad alcune ottime produzioni discografiche.
Spronata dalle domande di Gatto, la Spinello ha parlato a lungo delle sue attività che vanno ben al di là del fatto squisitamente musicale, estendendosi a tutta una serie di implicazioni che riguardano l’utilizzo della voce in funzione terapeutica.
Sollecitata dal critico musicale, la Spinello ha poi rammentato le tappe fondamentali della sua carriera, ponendo un particolare accento su alcuni album da cui ha tratto due brani interpretati l’altra sera: “Visions”  tratto da “Wonderland”, un album dedicato a Stevie Wonder inciso con Roberto Olzer al piano, Yuri Goloubev al basso, Mauro Beggio alla batteria, Fabio Buonarota al flicorno, Bebo Ferra  chitarra, e “Inverni”, da “Sospesa”  registrato con  Fabio Buonarota flicorno e tromba, Lorenzo Cominoli chitarra, Roberto Olzer pianoforte, Ivan Segreto voce.
Anche in questo caso convinti applausi del pubblico.
E chiudiamo con una importante comunicazione di servizio: per problemi legati alle attività della Casa del Jazz, la prossima puntata de “L’altra metà del jazz” è stata spostata al 29 novembre. Quindi gli incontri con Gatto riprenderanno il 15 (non martedì 14) con Rita Marcotulli e Ottavia Rinaldi: insomma un altro appuntamento particolarmente stimolante (ingresso 5€ – biglietti online su TicketOne.

Redazione

ℹ️ INFO UTILI:
Casa del Jazz – Viale di Porta Ardeatina 55 – Roma
tel. 0680241281 –
La biglietteria è aperta al pubblico nei giorni di spettacolo dalle ore 19:00 fino a 40 minuti dopo l’inizio degli eventi

Udin&Jazz 2023: all’insegna del Jazz d’autore

Dopo aver assistito alle ultime giornate di Udine Jazz 2023 mi sono vieppiù radicato nel convincimento che il Festival friulano, che vede da 33 anni alla direzione artistica Giancarlo Velliscig, sia oggi uno dei pochi ad aver veramente diritto di cittadinanza nell’universo festivaliero che oramai da anni accompagna l’estate degli italiani dalle Alpi alla Sicilia.
I perché sono molteplici: innanzitutto il giusto peso dato ai musicisti italiani e friulani in particolare; in secondo luogo, il tentativo, spesso riuscito, di allargare i confini del discorso oltre i limiti strettamente musicali per approdare a tematiche di carattere sociale che interessano anche chi di musica poco si occupa. E’ stato questo, ad esempio, il caso della mattinata dedicata al problema del rapporto tra jazz e donna approdato rapidamente alla più larga tematica del rapporto tra donna e mondo del lavoro.
Ciò, ovviamente, senza alcunché togliere alla qualità della musica che si è mantenuta su livelli più che buoni con punte di assoluta eccellenza. Tra queste punte va annoverato senza dubbio alcuno il concerto del quintetto ‘Eternal Love’ di Roberto Ottaviano al sax soprano con Marco Colonna ai clarinetti, Alexander Hawkins al pianoforte, Giovanni Majer al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria. L’occasione mi è particolarmente gradita per ribadire un concetto che porto avanti oramai da tanti anni: Ottaviano è uno dei più grandi musicisti che il panorama jazzistico internazionale possa oggi vantare e che quindi non ha raccolto tutto ciò che effettivamente merita.

Quest’ultimo lavoro, presentato anche a Udine, lo conferma appieno: Ottaviano, prendendo spunto dalla spaventosa realtà che ci circonda, caratterizzata da intolleranza, flussi migratori che non si fermano, guerre assurde si rivolge alla musica e alla sua capacità di accomunare anziché dividere, per innalzare un sentito omaggio alla spiritualità africana e lo fa rileggendo con autentica passione le musiche di Don Cherry, Charlie Haden, John Coltrane e Dewey Redman. Ma attenzione, nelle interpretazioni di Ottaviano, nulla c’è di calligrafico: il musicista pugliese è in grado di rileggere queste storiche partiture facendole proprie e quindi rivitalizzandole alla luce di un’esperienza di molti, molti anni, in ciò perfettamente coadiuvato da un gruppo che funziona magnificamente, in cui ogni segmento sonoro si incastra alla perfezione nel puzzle magnificamente ideato dal leader.

Le positive sensazioni lasciatemi dal concerto di Ottaviano sono state ribadite, ma con alcuni distinguo, poche ore più tardi dal concerto di Matteo Mancuso in trio con Stefano India al basso elettrico e Giuseppe Bruno alla batteria. Siciliano, classe 1996, figlio d’arte, Matteo è considerato l’enfant prodige della chitarra jazz italiana ed in effetti presenta una tecnica davvero straordinaria. Ma ovviamente ciò non basta per fare di un buon musicista, un vero artista: ci vuole ben altro. Ed in effetti l’inizio del concerto non mi aveva convinto dato l’impianto sonoro più vicino ai concerti pop-rock che non a quelli jazz. Poi il giovane chitarrista ha rotto gli indugi ed ha presentato una bellissima versione di ‘Black Market’ che ha spinto gli astanti a tributargli una vera e propria ovazione.

Ora, come si diceva, Mancuso è sostanzialmente agli inizi ma le premesse sono più che buone: adesso dovrà dimostrare non solo di avere una digitazione velocissima, ma soprattutto di far muovere quelle dite secondo idee ben precise (come in “Black Market”) e di essere capace di scrivere e arrangiare in maniera acconcia. Insomma, lo aspettiamo con curiosità a prove più impegnative.

Il giorno dopo di scena un altro artista siciliano ma oramai udinese d’azione: il pianista Dario Carnovale con Lorenzo Conte al contrabbasso, Sasha Mashin alla batteria e Flavio Boltro alla tromba. L’incontro tra uno dei migliori trombettisti italiani ed un pianista eclettico, talentuoso, prorompente come Carnovale prometteva scintille… e così è stato. Alternando pezzi originali a brani ben conosciuti il gruppo ha entusiasmato il numeroso pubblico presente.

Definire il loro stile non è impresa facile, ammesso poi che sia così importante. Comunque, per dare solo un’idea anche a chi non ha visto il concerto, si potrebbe dire che la loro musica si inserisce nell’alveo di un moderno main stream ora ricco di lirismo ora carico di coinvolgente energia. Ovviamente merito della bella riuscita del concerto è sicuramente dei due leader…ma anche della sezione ritmica con un Conte cha ha fatto capire a tutti perché ha suonato accanto a mostri sacri quali Art Farmer, Bob Sheppard e Enrico Rava mentre il batterista russo Sasha Mashin si è confermato uno dei musicisti più interessanti a livello europeo.

In serata tutti al Castello per la serata brasiliana accolta, more solito, con favore dal numeroso pubblico e preceduta in mattinata da una dotta conversazione sulla musica brasiliana guidata da Max De Tomassi, conduttore di Radio1RAi e vero esperto della materia. Due gli appuntamenti in programma. Dapprima si presenta sul palco per l’atteso solo-piano Amaro Freitas indossando un improbabile completino da spiaggia che avrebbe fatto invidia ai miei amici di Capalbio. Comunque, abbigliamento a parte, Freitas ha confermato le attese di quanti vedono in lui il nuovo esponente dell’odierno jazz brasiliano. Dotato di un’energia prorompente, che comunque riesce a dosare grazie ad un approfondito studio sullo strumento, Freitas si lascia andare ad una serie di improvvisazioni, molto giocate sul lato percussivo, che catturano l’attenzione dell’ascoltatore, preso per mano e condotto alla scoperta della storia e della filosofia della gente brasiliana attraverso la musica. In effetti obiettivo del nuovo lavoro del pianista – “Sankofa” – presentato a Udine è proprio quello – per esplicita ammissione dello stesso Freitas – di “capire i miei antenati, il mio posto, la mia storia come uomo di colore”.

C’è riuscito? Onestamente non posso dirlo in questa sede ma se avremo occasione di intervistarlo glielo chiederò; quel che è certo è che Freitas continua ad evolversi stilisticamente parlando e a rendere il suo discorso sempre più convincente e coinvolgente. A quest’ultimo proposito bella la conclusione del concerto con un brano dolce dedicato alla mamma che è stato supportato dal coro di tutto il pubblico.

Completamente diverso il discorso sul secondo concerto che vedeva sul palco una vera e propria icona non solo della musica brasiliana ma della musica in generale: Eliane Elias pianoforte e voce con accanto il compagno di vita nonché personaggio di assoluto rilievo nel mondo del jazz, Marc Johnson al contrabbasso, Leandro Pellegrino alla chitarra e Rafael Barata alla batteria. Per introdurre la Elias a quei pochi che ancora non la conoscessero, basti dire che nel 2022 ha vinto il Grammy come Miglior Album Latin Jazz con “Mirror Mirror” straordinario album di duetti con Chick Corea e Chucho Valdes. A Udine la Elias ha sciorinato solo una piccolissima parte del suo vastissimo repertorio facendo intendere come l’appellativo di “The Bossa Queen” sia ancora oggi più che meritato.

La classe esecutiva rimane cristallina mentre il vocale denuncia qualche piccola crepa che non inficia la bontà della performance impreziosita anche dall’altissimo livello degli altri componenti il quartetto. Tra questi assolutamente strabiliante il batterista Rafael Barata con la Elias da oltre dieci anni ma anche con Dianne Reeves e Jaques Morelenbaum. Barata è davvero fenomenale per come riesce a tenere in mano le redini del flusso ritmico che rimane costante per tutta la durata del concerto senza un attimo di stanca, senza che mai si avverta una qualche sensazione di vuoto o di scansione men che perfetta. Risultato: alla fine del concerto pubblico in piedi e meritatissima ovazione.

Il 16 al Giangio Garden Parco Brun esibizione del “Green Tea in Fusion” al secolo Franco Fabris Fender Rhodes e synth, Gianni Iardino sax alto e soprano, flauto, synth, Maurizio Fabris percussioni e vocale e Pietro Liut basso elettrico. Il quartetto, costituito nel 2022, ha già al suo attivo ben due CD e a quanto ci risulta è già in lavorazione il terzo. Il gruppo sta assumendo sempre più visibilità e consensi grazie ad una proposta musicale di livello caratterizzata da una raffinata ricerca melodica e da un impianto ritmico tutt’altro che banale.

Questi elementi assumono ancora maggior forza ove si tenga conto che il repertorio è composto unicamente da pezzi originali che ben arrangiati danno la possibilità ai singoli (tutti musicisti esperti eccezion fatta per il giovane ma bravissimo bassista) di evidenziare le proprie potenzialità. Con specifico riferimento al concerto di Udine, la musica è entrata in connessione con la performance di action painting dell’artista Massimiliano Gosparini che ha prodotto una bella tela donata al gruppo alla fine del concerto.

In serata, in piazza della Libertà, quella che io considero la più bella sorpresa del Festival: organizzata da Cinemazero, la proiezione del film muto “The Freshman – Viva lo sport” diretto da Sam Taylor e Fred Newmeyer, con Harold Lloyd e la colonna sonora eseguita dal vivo dalla Zerorchestra. Per quanto mi riguarda è stato sinceramente emozionante vedere scorrere sullo schermo le immagini di un bel film magnificamente commentate da una splendida orchestra tutta costituita da musicisti del Triveneto, tra cui Mirko Cisilino tromba e trombone, Francesco Bearzatti sax tenore, Luca Colussi batteria, Juri Dal Dan piano, Luca Grizzo percussioni.

La Zerorchestra nasce su iniziativa di Cinamezero, in occasione del centenario della nascita del cinema, come laboratorio per la scrittura di nuove partiture musicali per quelle pellicole che rappresentano il repertorio del cinema muto spesso ignorate dal grande pubblico. Io non so se il risultato è sempre pari a questo di Udine, non so se sia meglio l’orchestra nascosta agli occhi del pubblico o viceversa…quel che so è che a Udine la serata è stata davvero unica, magnifica, merito, a mio avviso, soprattutto dell’orchestra che ha saputo cogliere come meglio non si potrebbe gli stati d’animo dei personaggi. Di qui interventi solistici sempre acconci, misurati, pertinenti mentre i pieni orchestrali suggellano alcuni dei passaggi più significativi del film.

Il 17 luglio si apre, a Casa Cavazzini Museo di Arte Moderna, con un duo di improvvisazione totale costituito da Massimo De Mattia al flauto e Giorgio Pacorig al pianoforte. Devo confessare che la musica totalmente improvvisata non è di certo in cima ai miei gusti ma, ciononostante, Massimo De Mattia rientra tra i miei musicisti preferiti. Il perché non è facilissimo da spiegare: la sua musica mi soddisfa, ogni volta che la ascolto sento come se il flusso della vita moderna con le sue insidie, le sue mille sfaccettature, i suoi dolori, le sue gioie fossero racchiuse nelle note emesse dal suo flauto il cui discorso rimane sempre intellegibile a chi sappia ascoltare.

Ricordo qualche anno fa, sempre a Udine, che, mentre De Mattia stava suonando all’aperto, cominciarono a sentirsi distintamente il suono di campane e il cinguettio di uccelli. Bene, il flautista fu talmente bravo da inserire questi elementi nella sua musica ottenendo degli effetti semplicemente straordinari a dimostrare che la musica può essere fatta di moltissimi elementi. A Udine, in quest’ultimo concerto, ha dimostrato ancora una volta tutte le sue potenzialità duettando egregiamente con Pacorig, altro esponente di rilievo dell’area improvvisativa. Non a caso flauto e pianoforte si sono integrati alla perfezione con un gioco di rimandi, suggestioni, tensioni e distensioni che denotano quanto profonda sia la conoscenza della musica da parte di questi due artisti.

In serata altro evento clou del Festival: il concerto della sassofonista Lakecia Benjamin. Devo dire immediatamente che l’artista ha entusiasmato i numerosi spettatori grazie ad una performance caratterizzata da straordinaria energia, da un sound alle volte “sporco” a richiamare i più grandi esponenti del soul, e da un repertorio che ha toccato da molto vicino i grandi nomi del jazz. Ecco, quindi, l’immortale “A Love Supreme” riproposto con sincera partecipazione anche se, ovviamente, nessuna interpretazione può raggiungere il pathos, la drammatizzazione, l’aspirazione verso il divino così ben rappresentata da Coltrane. A Udine l’alto sassofonista ha presentato il suo ultimo lavoro – “Phoenix” – che racchiude una doppia metafora: da un lato racconta le cadute e le risalite di New York città in cui è cresciuta, dall’altro si riferisce ad una sua esperienza personale vissuta nel 2021 quando sfuggì miracolosamente alla morte dopo un grave incidente stradale.

A proposito del concerto, qualche commentatore ha posto l’accento sulla mise dell’artista lodandone l’indubbia eleganza. Apriti cielo! Sui social si è scatenata una dura polemica e qualche musicista (o forse pseudo tale) si è spinta fino ad ipotizzare che la scelta di presentarsi sul palco ben vestiti sia vetero borghese se non addirittura “fascio” (questa la parola usata). E poi ci meravigliamo perché tanti giovani che nulla capiscono di musica, che non sanno intonare neppure due note di seguito riescono ad avere un vasto pubblico: basta vestirsi da straccioni, parlare un italiano approssimato e il gioco è fatto.

Martedì 18 luglio ultima giornata funestata da una breve tempesta di vento sufficiente, comunque, a mandare per aria tutte le sedie già approntate nello spiazzale del Castello per il concerto finale di Pat Metheny. Fortunatamente il tempo è volto al meglio e quindi il concerto si è potuto svolgere regolarmente seppure iniziato con un’oretta di ritardo. E personalmente ho ritrovato il Metheny che negli ultimi anni avevo smesso di seguire data l’involuzione stilistica che a mio avviso aveva caratterizzato le ultime produzioni del chitarrista.

A Udine Pat è tornato sui suoi passi e perfettamente coadiuvato da giovani musicisti, quali Chris Fishman al pianoforte e Joe Dyson alla batteria a costituire il “Side-Eye Trio”, ha riproposto alcuni dei suoi pezzi storici quali “Bright Size Life”, “Better Days Ahead” e “Timeline” lasciando perdere complicati meccanismi e riproponendo quel sound nutrito da tanta tecnica, tanto studio ma anche tanta sincerità d’ispirazione, che l’aveva contraddistinto negli anni scorsi. Entusiasta la reazione del pubblico che ha calorosamente applaudito ogni brano e che dopo l’ultimo bis ha regalato all’artista una più che meritata standing ovation.

Gerlando Gatto

I Doctor 3

Nell’ambito della 22esima stagione dei Concerti del Latina Jazz Club “Luciano Marinelli” sabato 18 marzo altro concerto di particolare rilievo. Sarà, infatti, di scena i “Doctor Tre” uno dei gruppi più importanti che abbiano illuminato la scena jazzistica nazionale negli ultimi tempi.

I “Doctor Tre”, al secolo Danilo Rea al pianoforte, Enzo Pietropaoli al contrabasso e Fabrizio Sferra alla batteria, possono già vantare una lunga e prestigiosa carriera avendo inaugurato la loro collaborazione nel 1998.

Nel corso degli anni i tre si sono caratterizzati per aver centrato la loro attenzione non più sui grandi standard del jazz ma sulle canzoni che hanno accompagnato la loro adolescenza sino ad oggi, vale a dire da un canto i pezzi dei grandi gruppi come i Beatles, come i Rolling Stones, dall’altro i grandi cantautori come Battisti, De Andrè e le grandi stelle internazionali quali Neil Young, Elton John, Carole King solo per citare qualche nome . E l’improvvisazione? Al riguardo, spiega Danilo Rea “abbiamo sempre collegato la nostra improvvisazione alle melodie importanti, all’opera di grandi autori come Guccini, Verdi, Mascagni” Ma per fare tutto ciò occorreva un linguaggio diverso da quello usuale del jazz che è ormai un linguaggio standardizzato. Ed è proprio il frutto di questa ricerca ciò che ha portato i “Doctor 3” in vetta alle classifiche di gradimento di pubblico e critica.

A testimoniare quanto sin qui detto, oltre dieci album tutti di livello eccellente. Insomma sarebbe veramente un peccato perdere questo concerto che si preannuncia trascinante come nella migliore tradizione dl gruppo.

Gerlando Gatto

Il trio di Giovanni Tommaso a Latina il 18 febbraio

Prosegue intensa l’attività del Latina Jazz Club con la sua stagione concertistica. Giovedì 18 febbraio in programma uno di quegli appuntamenti da non perdere. Di scena il trio di Giovanni Tommaso con Cinzia Gizzi al pianoforte e Marco Valeri alla batteria.

Giovanni Tommaso è uno dei “grandi” del jazz italiano avendo contribuito in maniera determinante al suo sviluppo e conseguente affermazione a livello internazionale. Lucchese, classe 1941, Tommaso si è ben presto affermato come contrabbassista e bassista di grande livello. Al suo attivo una carriera superlativa che l’ha ben presto posto ai vertici della musica jazz non solo nazionale. Tantissimi i riconoscimenti ottenuti che non vale la pena riassumere in questo spazio. Basti solo sottolineare la felicissima intuizione che nei primissimi anni ’70 lo portò alla costituzione del Perigeo assieme a Claudio Fasoli al sax, Tony Sidney alla chitarra, Franco D’Andrea alle tastiere e Bruno Biriaco alla batteria. Importante anche l’attività didattica dal momento che Tommaso è anche titolare della cattedra di musica jazz al Conservatorio di Perugia. Ultime, ma non certo in ordine d’importanza, la piacevolezza e la gentilezza dell’uomo doti che purtroppo oramai facciamo fatica a trovare anche nel nostro microcosmo jazz.

Cinzia Gizzi è pianista che non ha ottenuto, a nostro avviso, i meriti che il suo talento meriterebbe. Nella sua oramai lunga carriera figura, tra l’altro, un diploma in pianoforte e arrangiamento ottenuto nel 1990 negli Stati Uniti con il massimo dei voti; in questa occasione ha avuto modo di studiare anche con alcuni grandi della tastiera quali Jakie Byard e Charlie Banacos. Oltre a guidare propri gruppi, come sidewoman ha presto parte, nell’arco di una carriera lunga qualche decennio, a molti avvenimenti jazzistici con musicisti italiani e stranieri.

Marco Valeri viene unanimemente considerato uno dei migliori batteristi oggi sulla scena. Romano, classe 1978, si è definitivamente imposto all’attenzione di pubblico e critica nell’ultimo decennio grazie ad una squisita sensibilità ben coniugata con una solida preparazione tecnica acquisita durante gli anni di impegnativi studi. Dopo una parentesi negli States (2002-2003), al ritorno in Italia entra a far parte della band di Sandro Deidda. Anche per lui molte le partecipazioni a festival anche internazionali e assai numerose le collaborazioni con artisti quali Jd Allen, Amedeo Tommasi, Gary Smulian , Andy Gravish, Dado Moroni, Dave Liebman, Eddie Gomez, Benny Golson, Rick Margitza, George Garzone, Franco Ambrosetti, Steve Grossman…

Gerlando Gatto

Presentata al Teatro La Fenice di Venezia la stagione concertistica “Musica con le Ali” 2022

Coltivare giovani talenti e implementare le loro potenzialità e creatività, trasformandole in opportunità per il futuro. Questa, succintamente, la mission di “Musica con le Ali”, sodalizio milanese di patronage artistico che nasce per volere di Carlo Hruby, che ne è presidente, in seno alla Fondazione “Enzo Hruby”.
Venerdì 18 marzo, nelle Sale Apollinee della Fenice di Venezia, stupendamente tappezzate di damasco in stile neoclassico, è stata presentata la quarta edizione della stagione concertistica “Musica con le Ali 2022”, realizzata con l’importante partenariato della Fondazione Teatro La Fenice. Il ricco calendario prevede otto appuntamenti: 24 marzo, 14 aprile, 19 maggio,16 giugno, 6 e 13 ottobre, 10 novembre e 1 dicembre, tutti programmati di giovedì, con inizio alle ore 18. I concerti proposti hanno un nobile denominatore comune, ovvero fornire un’importante esperienza di crescita ai giovani interpreti emergenti, grazie anche al confronto con  alcune figure di spicco della musica classica.
Ha aperto la serie di interventi Fortunato Ortombina, Sovrintendente e Direttore Artistico del Teatro La Fenice – «la casa dei veneziani, nonché il Teatro più bello del mondo» – esprimendo profonda soddisfazione per il rinnovarsi di questa brillante interazione tra impresa e istituzione, essenziale per il futuro della musica, «entità sovrana sulla terra e linguaggio universale che s’impara prima ancora di iniziare a parlare».

Andrea Erri – Direttore Generale del Teatro, parla del rapporto fecondo instauratosi con Musica con le Ali, che condivide il ruolo di funzione sociale della Fenice, non un luogo d’élite ma una struttura aperta e accogliente per i 340.000 visitatori e spettatori che hanno ammirato la bellezza del teatro e premiato le sue proposte artistiche. «Far lavorare i giovani talenti con musicisti di esperienza – afferma Erri – significa trasferire competenze, in una staffetta ideale tra artista affermato e in erba ma con grandi potenzialità per il futuro. Le ali sono uno strumento per volare ma anche per proteggere», richiamando il nome dell’associazione e le sue nobili finalità di patronage artistico.
In chiusura, i ringraziamenti di Carlo Hruby nei confronti dei vertici del Teatro, nel quale Musica con le Ali ha trovato una calorosa e sincera accoglienza per un progetto che ha visto la sua genesi proprio alla Fenice e che posegue grazie ad un’attenta e lungimirante condivisione, in cui il concerto è solo uno tra i tanti strumenti messi a disposizione dall’associazione, che comprendono la partecipazione a festival e rassegne, la produzione di incisioni discografiche con le principali label, il fattivo supporto nella comunicazione e nella promozione dei giovani interpreti anche tramite Radio MCA, la web radio nata nel 2020 e dedicata alla musica e all’arte. I giovani artisti, le cui candidature provengono da Conservatori, Fondazioni e Scuole di Musica, vengono così presi per mano e guidati in un percorso di crescita professionale per valorizzarne il talento, che fornirà loro un prezioso biglietto da visita per intraprendere una carriera internazionale ad alto livello. L’azione di patronage si esaurisce nel momento in cui l’artista sarà in grado di volare con le proprie ali… ali vere e non di cera come quelle di Icaro, che si sciolsero al calore del sole… (Non rammaricarti mai per la tua caduta, o Icaro del volo senza paura. Perché la più grande tragedia di tutti è non provare mai la luce che brucia…O. Wilde)

Entrando nel dettaglio, si parte giovedì 24 marzo con il violinista Gennaro Cardaropoli – fresco vincitore dell’autorevole Premio ICMA (International Classical Music Awards) come “Migliore Giovane Musicista dell’Anno”ed anche del prestigioso 1st Grand Prize all’Arthur Grumiaux International Violin Competition, unico vincitore italiano nella storia del concorso – e la pianista Ludovica De Bernardo, che presenteranno l’iridescente e vibrante Sonata n. 1 per violino e pianoforte op. 13 di Gabriel Fauré, suo capolavoro di età giovanile, Humoresque in sol minore di Ottorino Respighi, il più lungo dei Cinque pezzi per violino e pianoforte, i plastici affreschi sonori della Sonata per violino e pianoforte op. 22 di Giuseppe Martucci e il signorile virtuosismo del compositore polacco Henryk Wieniawski nel suo Tema e Variazioni.
Ricordiamo ai nostri lettori che Cardapopoli e De Bernardo si esibiranno anche martedì 22 marzo alle ore 18.30 al Ridotto dei Palchi “A. Toscanini” del Teatro alla Scala (info: tel. 02.38036605, info@musicaconleali.it), nel concerto inaugurale dell’edizione 2022 della rassegna “Il Salotto Musicale”, frutto dell’accordo tra l’Associazione Musica con le Ali e il Museo Teatrale alla Scala di Milano.
Il variegato cartellone prosegue il 14 aprile con la performance del TulipDuo formato dalla violista Eleonora de Poi e dal pianista Massimiliano Turchi, tributo alla temperie romantica e ad alcuni dei suoi compositori simbolo quali Schumann, Glazunov, Schubert e Fauré.
Il 19 maggio sarà la volta di un abbinamento decisamente intrigante, e tutto all’insegna della bellezza, tra contrabbasso e arpa. Le protagoniste saranno Valentina Ciardelli e Anna Astesano che sapranno coinvolgere il pubblico in un nuove avventure musicali con trascrizioni tratte da Puccini e Ravel e presentando una composizione originale della Ciardelli in anteprima assoluta.

Il 16 giugno il celebre violinista padovano Federico Guglielmo, che la stampa americana ha definito “la nuova stella nel panorama della musica antica”, affiancherà le giovani musiciste, sostenute da Musica con le Ali, Simona Ruisi (viola) e Maria Salvatori (violoncello) in un repertorio nel segno del classicismo con sonate di Beethoven, Schubert e Sinigaglia.
Debutto importante il 6 ottobre per il Duo David, ovvero Francesco Angelico (violoncello) e Giulia Russo (pianoforte) che si esibiranno in sonate di Debussy e Rachmaninov con un’autentica chicca: la riscoperta (finalmente!) del compositore napoletano Mario Pilati, di cui interpretano la Sonata in Re del 1929, dal fascino prepotente, edita per la prima volta proprio dal duo in un recente progetto discografico.

Il 13 ottobre si va nella direzione della forma sonata classica per violino e pianoforte con la violinista Fabiola Tedesco e la pianista Martina Consonni, in un personale omaggio a Beethoven, a Richard Strauss e allo spagnolo Joaquín Turina.
Il penultimo appuntamento, il 10 novembre, sarà incentrato sull’incontro tra il clarinetto di Clara Ricucci e il pianoforte di Federico Pulina, impegnati in una lettura dialogica di brani di Weber, C. Schumann, Widor e Busoni.
La stagione concertistica “Musica con le Ali” 2022 non poteva concludersi in modo migliore, il primo dicembre, con l’imperdibile concerto di una tra le pianiste di fama internazionale più ecletticamente crossover della sua generazione (è del 1986), la veneziana Gloria Campaner, qui assieme alla giovane violinista Sara Zeneli con un repertorio di brani del post-romantico César Auguste Franck e dell’eccentrico e innovativo Maurice Ravel.

In questi anni, Musica con le Ali ha saputo ben radicarsi nel tessuto cittadino stringendo importanti rapporti di collaborazione con la Scuola Navale Militare Francesco Morosini e con il Master MaBAC dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, offrendo inoltre tariffe vantaggiose ai residenti nella Città Metropolitana di Venezia e agli studenti.
I biglietti della stagione concertistica sono acquistabili presso la biglietteria del Teatro La Fenice e in prevendita presso le biglietterie Vela Venezia Unica.
Biglietteria online: www.teatrolafenice.itwww.events.veneziaunica.it
Biglietteria telefonica: Tel.  041 2722699
Prezzi dei biglietti: Sale Apollinee €20. Riduzioni: residenti e over 65 €16; studenti €10
Abbonamenti: intera stagione €120; tre concerti nelle Sale Apollinee €50; abbonamento sostenitore €170.
Per informazioni: Tel. 02.38036605; info@musicaconleali.itwww.musicaconleali.it

Marina Tuni