Grand Prix de l’Académie du jazz le donne trionfano

Leïla Olivesi, Samara Joy et Diunna Greenleaf sono state insignite, nelle diverse categorie, del “Grand Prix” 2022 dell’Académie du jazz en France nel corso della solita prestigiosa cerimonia tenutasi all’inizio di marzo nel club Pan Piper à Paris. Questa tradizionale cerimonia annuale della prestigiosa istituzione che il prossimo anno festeggerà i suoi70 anni di esistenza, era presieduta per l’ultima volta da François Lacharme che, dopo 18 anni di leale servizio, lascia il posto a Jean-Michel Proust, sassofonista nonché direttore artistico di vari festival tra cui Jazz au phare sur l’île de Ré e Paris Guitar Festival à Montrouge, nella banlieue parigina.

Venendo allo svolgimento della cerimonia, il premio Django Reinhardt (con il sostegno della Fondation BNP Paribas) che viene attribuito al (alla) musicista francese dell’anno è stato attribuito alla pianista, direttrice d’orchestra e compositrice Leïla Olivesi. In tal modo la Olivesi diventa la sesta jazz-woman insignita di questo prestigioso riconoscimento dopo Airelle Besson (tromba – 2014), Cécile McLorin Salvant (voce – 2017), Sophie Alour (saxophone – 2020), Géraldine Laurent (sax – ex-æquo en 2008) et Sophia Domancich (piano – 1999).

Una meritatissima conferma per la giovane new-yorkese di 23 anni Samara Joy che dopo aver vinto quest’anno due Grammy Awards (migliore nuova artista e miglior album di jazz vocale), ha ottenuto anche il premio francese relativo al Jazz vocale per il suo album “Linger Awhile” votato da una cinquantina di membri dell’Académie già dalla fine dello scorso anno, quindi ben prima dei Grammy.

Infine, ultima rappresentante del genere femminile, la cantante di Blues Diunna Greenleaf, venuta espressamente da Houston (Texas) e immediatamente ripartita con in tasca il “premio Blues” per il suo album “I Ain’t Playin” (Little Village). Nonostante gli evidenti impegni, la Diunna ha trovato il tempo di esibirsi in un mini-concerto di grande spessore.

Nelle categorie puramente strumentali il “Gran Premio” per il miglior disco dell’anno è andato al magnifico quartetto composto da Joshua Redman, Brad Mehldau, Christian McBride e Brian Blade grazie all’album  “Long Gone” (Nonesuch/Warner Music).

Il premio per il miglior disco registrato da musicista di casa è andato al contrabbassista Stéphane Kerecki per l’album “Out Of The Silence” (Outnote/Outhere Distribution) ;  il premio per il miglior inedito è stato attribuito a Mal Waldron per “Searching In Grenoble : The 1978 Solo Piano Concert” (Tompkins Square Records) mentre quello per il Jazz classico a  Dany et Didier  Doriz/Michel e César Pastre per il loro omaggio familiare “Fathers & Sons – The Lionel Hampton/Illinois Jacquet Ceremony” (Frémeaux & Associés).

Se il premio al miglior musicista europeo è andato al trombonista tedesco Nils Wogram che che suona regolarmente con Michel Portal, un nuovo premio denominato “Prix Evidence” è stato istituito per mettere in primo piano dei giovani talenti, premio andato questa prima volta alla formazione del chitarrista svizzero d’origine honduregna Louis Matute, grazie al suo disco “Our Folklore” (Neuklang).

Didier Pennequin
Membro dell’Académie du Jazz en France

Aldo Romano: Pasolini intellettuale scomodo e complesso

Poco prima di predisporre l’articolo su Pasolini e il jazz, pubblicato lo scorso 14 dicembre su questa testata, Amedeo Furfaro ha avuto l’opportunità di contattare Aldo Romano, musicista che ebbe modo di frequentare più volte  Pasolini. La conversazione col grande batterista si è rivelata nel contempo un’occasione per un dialogo che si è spostato anche su altri temi, al di fuori della oramai prossima ricorrenza del centenario della nascita del poeta-regista. Ne è venuta fuori la breve intervista che, a seguire, proponiamo ai nostri lettori. (Redazione)

Aldo Romano, batterista e compositore originario di Belluno, trapiantato giovanissimo in Francia con la famiglia, ha inizi da chitarrista per poi passare ventenne, alla batteria, nel 1961. Ha presto occasione di suonare con Jackie McLean  imponendosi all’attenzione dei più per qualità dinamiche e fantasiosa versatilità. Nel 1964 fa parte di uno dei primi gruppi europei di free. Fra gli incontri importanti per la propria carriera artistica quelli con Don Cherry e Gato Barbieri (Togetherness, 1965) e con Giorgio Gaslini, con il quale registra New Feelings.  Pur dotato di “Alma latina”, per citare un suo album del 1983, e con esperienze svariate come quella fusion dei Total Issue, Romano è “conosciuto principalmente come batterista free-jazz” (Feather-Gitler). Tra i tanti album al proprio attivo, i fortunati Carnet de Route, Suite Africaine, Non dimenticar… Numerose le collaborazioni di prestigio con musicisti quali Barney Wilen, Stan Getz, Phil Woods, Joachim Kühn, Charlie Mariano, Joe Albany, Carla Bley, Philip Catherine, Didier Lockwood, Eddy Louiss, Michel Portal, Claude Barthélemy, Roswell Rudd e, fra gli italiani, Rita Marcotulli e Stefano Di Battista. Con Franco D’Andrea, Paolo Fresu e Furio Di Castri ha inciso nel 1988 “Ritual” per la Owl. La discografia comprende vari lavori per diverse label come Verve, Enja, MLP Music, Label Bleu, Fresh Sound, Dreyfus (Just Jazz, con Mauro Negri, Geraldine Laurent ed Henri Texier), ECM (Enrico Rava Quartet), Soul Note (special guest con Kenny Wheeler nella European Music Orchestra diretta da Claudio Fasoli), Abeat Records (Adventure Trio con Luca Mannutza e Alessio Menconi), Splasc(h) Records (Tresse con Pietro Tonolo e Texier). A Copenhagen nel 2004 è stato insignito del Jazzpar Prize.

-Un italiano a Parigi. Ma più italiano o francese?
Da giovane, appena trasferito in Francia, tendevo a dimenticare il mio paese di provenienza, di cui ho sempre conservato la cittadinanza. Col tempo, poi, mi è ritornato il “sound” di questa lingua. E devo dire che ancora oggi continuo a sentirmi sempre legato all’Italia ed a sentirmi italiano.
-C’è differenza fra la situazione del jazz in Francia e in Italia?
Direi che l’Italia negli ultimi anni è cresciuta tanto. Suonando con Enrico Rava, Danilo Rea ed altri grandi musicisti ho scoperto molti posti, anche piccoli, dove fare del jazz. E poi trovo il pubblico italiano particolarmente vicino a questa musica.
Da batterista hai suonato sia con Keith Jarrett, per cinque mesi, che con Michel Petrucciani, due pianisti ben lontani fra loro…
Molto diversi. Jarrett nella musica ricerca profondità e spiritualità, Michel era costretto a sopravvivere, al di là della malattia, e cercava l’incontro con il pubblico.

Aldo Romano

-Con Petrucciani hai inciso il tuo famoso brano “Pasolini”.
Un brano che ha avuto più versioni nel tempo, compresa quella per grande orchestra grazie a Lionel Belmondo.
-Una domanda all’artista aperto verso la cultura nelle sue varie modalità, dalle arti fino alla poesia. Ciò per introdurre il discorso su un intellettuale di vasti interessi come Pasolini. Esiste, come si suol dire, una predilezione francese per il Pasolini personalità eretica del novecento ma anche verso il grande poeta, regista, scrittore, drammaturgo?
Io parlerei di grande stima o quantomeno di curiosità verso questo intellettuale scomodo e complesso da decifrare nelle sue “ambiguità” di comunista e cattolico, moralista e corsaro; penso agli articoli, a libri come “Petrolio”…
-Era lo scrittore dell’” Io so”, colui che individuò anzitempo il volto di un nuovo potere globale. Tu lo hai conosciuto direttamente, vero?
L’ho frequentato. Ricordo che ci si ritrovava spesso con Bernardo Bertolucci a casa di Elsa Morante, a via dell’Oca, a Roma. Lì incontravo scrittori come Alberto Moravia, gente di cinema come Gianni Amico, grande appassionato di jazz…
-Si, il regista di Appunti per un film sul jazz, del 1965. Bertolucci fa pensare, parlando di jazz, a Gato Barbieri, al suo tema di “Ultimo Tango a Parigi”.
Una composizione che inizialmente doveva essere affidata ad Astor Piazzolla il quale, pare, rimase contrariato dall’incarico poi affidato ad altri.” Gato” da par suo seppe creare un tema popolare che rappresentava bene l’epoca con la voce del proprio sax, di rabbia e non solo lirica. Del film ricordo bene ancora oggi di aver cenato, dopo le riprese della scena principale, con Bertolucci, Marlon Brando, Maria Schneider. Lei sembrava alquanto assente, come lo stesso Brando. A tavola c’era anche Zouzou, cantante-attrice icona degli anni ’60.
-Parlando ancora di poeti, hai lavorato su Cesare Pavese dedicandogli un album che nel Dizionario del Jazz di Carles-Clergeat-Comolli viene definito “insieme strano ed eccezionale” ?
Si, di Pavese ho sempre apprezzato in particolare i versi sulla vecchiaia. Oltre ad uno spettacolo c’è anche il disco Divieto di santificazione, del ’77, con Jean-Francois Jenny-Clark, nel quale è compresa Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Pavese era una persona di rara umanità. Si suicidò in una camera d’albergo a Torino dopo l’interruzione della relazione con l’attrice americana Constance Dowling.
-Il tuo libro “Ne joue pas fort, joue loin: fragments de jazz”, del 2015, racconta una vita di jazz….
Si e spero di poterlo mettere a breve on line per una libera lettura.

Amedeo Furfaro

Rita Marcotulli al Teatro Pasolini per il Festival del Coraggio: la strada dell’illuminazione passa per le corde di un pianoforte

Il Festival del Coraggio, che si svolge da tre anni in quel di Cervignano del Friuli (UD), a cura di Bottega Errante, da un’idea dell’Assessorato alla Cultura, è un unicum a livello nazionale perché riesce a declinare il concetto di coraggio calandolo in ciascuna delle arti ed elaborandone i linguaggi e le esperienze fino ad arrivare alla sua essenza.
In questa “coraggiosa” edizione, tenutasi dal 9 all’11 ottobre, in piena ripresa della pandemia, sono stati ospiti, tra gli altri, Marina Senesi, Pierpaolo Mittica, Franco Pugliese, Corrado Augias, Alessandra Ballerini con Paola e Claudio Regeni, Domenico Barrilà, Rita Marcotulli, Kepler-452.
L’evento di cui vi racconterò in queste righe è quello conclusivo del Festival, realizzato con la collaborazione di Euritmica, e la protagonista è una cara amica di A Proposito di Jazz: la pianista Rita Marcotulli.

Rita Marcotulli – ph Alice BL Durigatto

La serata, dopo una serie di saluti rituali, è iniziata con un’intima intervista alla pianista e compositrice romana condotta dall’intellettuale friulano Paolo Patui.
Patui ha introdotto la Marcotulli presentandola come “La Signora del Jazz”, una delle definizioni più calzanti, amata e usata soprattutto dalla stampa specializzata, riconoscendole una grande libertà e cristallinità dell’anima, del cuore e dei pensieri che si riflette anche nella sua musica.
Rita, sulla scia di ricordi legati alla sua infanzia, ha parlato del padre, ingegnere del suono che lavorava alla RCA con le grandi orchestre dell’epoca e su musiche da film di grandi Maestri come Morricone, Trovajoli, Piccioni, Rota e dell’inizio della sua “relazione” con il pianoforte, a soli cinque anni. Nino Rota, spesso ospite della famiglia Marcotulli, amava tenere in braccio la piccola Rita, insegnandole qualche motivetto al piano, uno tra i primi “W La Pappa col Pomodoro”!
Marcotulli ha ricordato l’inizio della sua carriera, verso la fine degli anni ’70, e i lunghi tour con Francesco De Gregori che le fecero comprendere con chiarezza che non era quella la sua strada… che quella musica non era nelle sue corde… suonava, saliva sul pullman, indossava le cuffie e ascoltava Coltrane!
Dentro di noi – ha affermato Rita – c’è sempre la verità” e la sua verità è sempre stata il jazz, con la sua spiritualità e con quel senso di libertà che induce ad un’idea di trascendenza per la vita.

Rita Marcotulli e Paolo Patui – ph Alice BL Durigatto

Alla classica domanda sui pregiudizi che ruotano ancora – inspiegabilmente, oltre che anacronisticamente, a mio parere – sulle musiciste (e sulle jazziste in modo particolare), Rita riporta le parole che le disse il grande sassofonista statunitense Dewey Redman (con il quale, dal 1992, suonò per 15 anni): “Dovresti essere molto più famosa ma hai tre cose che non vanno: sei bianca, italiana. E donna!”
La Marcotulli è indiscutibilmente una bandiera per le donne che suonano il jazz, per anni relegate quasi esclusivamente nell’alveo della vocalità; la sua carriera è un esempio straordinario della capacità di affrancarsi dagli stereotipi di genere. In Italia, è stata la prima donna in assoluto a vincere il David di Donatello come miglior musicista, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, le ha conferito l’onoreficenza di “Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”; è membro della Royal Swedish Academy of Music, accanto a figure di grande rilievo nel mondo della musica come Pat Metheny, Keith Jarret, Björk, Gustavo Dudamel, Riccardo Muti, Jan Garbarek. Oltre ai tanti riconoscimenti ricevuti, Rita Marcotulli vanta importanti collaborazioni, realizzate negli anni, con Chet Baker, Palle Danielsson, Billy Cobham, Peter Erskine, Steve Grossman, Joe Henderson, Joe Lovano, Pat Metheny, Sal Nistico, Michel Portal, Enrico Rava, Dewey Redman, Aldo Romano, Kenny Wheeler, Noa, Norma Winstone, Pino Daniele, Francesco De Gregori… ma anche con Bobby Solo, come ha fatto notare uno stupito Paolo Patui! La pianista, riaffermando il concetto che non esistono barriere tra i generi musicali, ha ricordato la tournée in Argentina al seguito di Bobby Solo, in un periodo non certo facile, ovvero agli inizi della dittatura militare, la “guerra sucia” del Generale Videla. I musicisti, scortati passo a passo da appartenenti alle forze militari del Paese, furono loro malgrado testimoni dei metodi biechi e violenti verso le persone che non erano considerate affini alle politiche governative, ondate di violenza che produssero decine di migliaia di morti e che i loro accompagnatori raccontavano con malcelato compiacimento.
Dopo un lungo e piacevole divagare tra le pieghe della parola coraggio, della musica come terapia per chi la fa e per chi l’ascolta, della sua natura “hic et nunc, ubique et semper” (qui e ora, ovunque e sempre), di come la vita non sia mai certezza, mentre l’essere umano tende ad essere proiettato nel passato o nel futuro, allorché l’unico spazio dove essere felice sia il presente, per quanto doloroso ciò possa essere: un ossimoro che ben raffigura il tempo che ci è concesso. Per Rita, l’asserto: “suona sempre come se fosse il tuo ultimo giorno” è quasi un mantra…

Rita Marcotulli – ph Alice BL Durigatto

Poi, dopo averci fatto “sentire” come la potenza della musica sia in grado di evocare emozioni, laddove la chiave maggiore rende l’idea di precisione e quindi un senso di apertura e di gioia, mentre l’accordo minore suggerisce tristezza, talvolta inquietudine e turbamento, Rita Marcotulli inizia il suo recital, rigorosamente senza spartito (lei non ama molto leggere la musica ed anche per questo predilige il temperamento indipendente del jazz…).
Le prime note che risuonano nel teatro sono quelle di un’improvvisazione: un brano che inizia con un’infusione di dolce malinconia per poi virare in un rincorrersi di note veloci e incalzanti, a momenti rabbiose, in un saliscendi continuo.
Una bella riscrittura in 5/4, eterea e sognante, del commento musicale al film muto “Nanà“, uno dei capolavori del regista Jean Renoir (tratto da una delle opere più lucide e aspre di Émile Zola), è un omaggio di Rita ad una delle sue passioni: le colonne sonore.
In “Somewhere over the Rainbow” le mani della pianista sprigionano intere galassie di stelle che danzano sulle note, sviluppando un suono sfumato e morbido e figurazioni eleganti, colte e raffinate.
In “Koiné” la Marcotulli riunisce cromie, linguaggi e suoni come nella lingua comune di epoca ellenistica a cui il titolo si rifà, un antico dialetto che è la forma prodromica del greco moderno unificato. La cordiera del pianoforte Steinway & Sons diventa un terreno dove sperimentare, dove cercare nuove sonorità, che lei puntualmente trova suonando direttamente sulle corde o inserendovi oggetti vari. Il risultato è eccezionale, a momenti sembra di ascoltare un sitar, altri un’arpa birmana, per qualche istante ho persino ritrovato la suggestione poetica di una boîte à musique, un carillon della mia infanzia…
“Nel volo di un istante, sentì come una cosa cadere nel suo cuore…” è una frase del bellissimo libro “Miguilim”, un romanzo di formazione dello scrittore brasiliano João Guimarães Rosa (la prefazione è di Antonio Tabucchi). Anche l’impeccabile esecuzione del brano, che porta lo stesso titolo del libro, è stata il volo di un istante franato con levità  nei cuori dei presenti (teatro pieno ma nel rispetto delle distanze…). Un volo ritmato, coinvolgente, un invito irresistibile a muovere la testa e le gambe, con infinite sfumature ritmiche e melodiche, una prova che raggiunge picchi altissimi di virtuosismo, che tuttavia non viene mai ostentato. Rita lo suona dagli inizi della sua carriera, quando si esibiva con il percussionista Ivanir do Nascimento a.k.a. Mandrake Som, purtroppo scomparso da tempo.
C’è un aneddoto che il mio direttore Gerlando Gatto ama spesso raccontare: Mandrake, che era nel novero dei suoi amici più cari, gli disse: “tieni d’occhio questa ragazza che è davvero formidabile e di cui sentiremo tanto parlare”. Così è stato e Rita, sorvegliata speciale del critico musicale ed ora anche sua amica, è presente in due dei tre libri da lui scritti: “L’altra metà del jazz” e il più recente, “Il Jazz Italiano in Epoca Covid” (in quest’ultimo con un’intervista raccolta dalla scrivente).

Rita Marcotulli – ph Alice BL Durigatto

Ci si avvia alla fine della performance con un tributo a Pierpaolo Pasolini, del quale il teatro cervignanese porta il nome. Il brano è “Cosa sono le nuvole”, scritto dallo stesso Pasolini assieme a Domenico Modugno e contenuto nel film “Capriccio all’italiana” dove l’intellettuale di origine friulana firma questo episodio, un viaggio ipertestuale che ricorre ad una mise en abyme, come nel quadro “La Meninas” di Diego Velasquez.
Totò, Ninetto Davoli, Laura Betti, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Modugno, sono delle marionette in una messinscena parodistica dell’Otello shakespeariano, che dietro le quinte vivono una vita propria e che quando vengono scaricate nell’immondezzaio, nel momento della loro morte e finalmente senza fili, scoprono l’inarrivabile bellezza delle nuvole. Struggenti le parole di Totò/Iago che, accanto a Otello/Davoli, scopre per la prima (e unica) volta il cielo e le nuvole, pronunciando queste famose ultime parole: “Ah! Straziante meravigliosa bellezza del creato!”.
La Marcotulli ce ne regala una versione che ci fa perdere in meravigliosi e quieti viluppi melodici e armonici, che fa emergere stratificazioni della memoria credute ormai perdute, tra intrecci coraggiosi delle arti: la pittura, la musica, il cinema e la letteratura.
Anche il bis è spiazzante… una versione jazzy di “Lady Madonna” dei Beatles: “Lady Madonna children at your feet. Listen to the music playing in your head”.
Ed eccoci qui, Lady Marcotulli, tutti ai tuoi piedi ad ascoltare la musica visionaria che dipingi nella tua mente e che evoca fiabeschi e immaginifici paesaggi sonori.
Probabilmente, saresti d’ispirazione anche per Kandinsky, che trasferì sulla tela le emozioni provate durante il concerto per pianoforte e quartetto d’archi a Monaco di Baviera, di Arnold Schönberg… era il 1911, il secolo delle avanguardie…

Marina Tuni

A Proposito di Jazz ringrazia il Festival del Coraggio e Alice BL Durigatto per la gentile concessione delle immagini.

IN EQUILIBRIO TRA GIOVANI TALENTI E GRANDI NOMI LA NUOVA STAGIONE DEL MILESTONE JAZZ CLUB

Occhi puntati sui giovani talenti nostrani, alcune chicche inusuali e sorprendenti e nomi di grande richiamo, a livello nazionale e internazionale. Queste in estrema sintesi le peculiarità che possono descrivere la nuova stagione del Milestone Jazz Club, il locale piacentino di musica rigorosamente dal vivo che riapre la sua stagione di concerti il 5 ottobre e proseguirà tutte le settimane (perlopiù il sabato sera, qualche volta anche la domenica nel tardo pomeriggio e un unico venerdì) fino a tutto il mese di gennaio. Da febbraio, poi, sarà la volta della nuova edizione del Concorso “Bettinardi”, da sempre preludio del Piacenza Jazz Fest.

In sedici anni di vita il Concorso ha visto maturare professionalmente tanti dei giovani talenti che avevano superato le varie fasi della selezione fino alla finale, alcuni dei quali sono riusciti diventare musicisti affermati, concretizzando quella che, all’epoca della loro partecipazione, era un’ambizione: fare della musica la loro scelta di vita.

Quest’anno il Bettinardi si guadagna una larga fetta di programmazione al Milestone, sia attraverso tre dei protagonisti delle passate edizioni sia con una finale speciale, nuova di zecca. A tornare sul palco del club con i loro attuali progetti musicali saranno il polistrumentista Dario Carnovale (vincitore nel 2008 nella sezione gruppi col suo trio di allora) sabato 2 novembre insieme al saxofonista Francesco Bearzatti, il saxofonista Claudio Jr. De Rosa (miglior solista nel 2016) che presenterà il suo nuovo album il prossimo 4 gennaio insieme al quartetto che porta il suo nome e il pianista Francesco Orio (sempre miglior solista nel 2015 e miglior trio 2016) che si esibirà sabato 18 gennaio.

Domenica 13 ottobre si terrà invece la finale del Concorso Bettinardi “Speciale Emilia-Romagna”, appositamente bandita dal Piacenza Jazz Club insieme a Bologna In Musica e al Torrione di Ferrara, per selezionare giovani formazioni di musicisti che suonano musica originale residenti in maggioranza nella regione, con il sostegno della “Legge Musica”, prima in Italia nel suo genere. I gruppi che si esibiranno sono stati selezionati da una giuria di esperti sulla base del materiale audio inviato nei mesi scorsi, costituito da soli brani originali. Un’ottima occasione per tutti quei giovani che vogliono provare a crescere in un settore molto competitivo e in cui è molto difficile riuscire ad emergere senza l’ausilio di strumenti specifici che diano una mano concreta a sviluppare le proprie doti.

Pluralità di approcci, originalità di sguardi e livello qualitativo che tende sempre all’eccellenza nelle scelte artistiche, sono le caratteristiche più evidenti di questa stagione alle porte, che si preannuncia stimolante e variegata.

Senza addentrarsi troppo nel dettaglio, basti citare alcune perle come l’ultima serata di ottobre, una delle pochissime in Italia che vedrà esibirsi lo ZZ International Quartet, un quartetto internazionale di altissimo livello che include musicisti provenienti da quattro paesi diversi e che propone composizioni rigorosamente originali. Il quartetto è composto da Simone Zanchini alla fisarmonica e ai live electronics, Ratko Zjaca alla chitarra elettrica, Martin Gjaconovski al contrabbasso e Adam Nussbaum alla batteria.

Oppure a novembre la serata in due set che vedrà protagonista il batterista Roy Royston, nella prima parte insieme alla cantante Paola Quagliata in un duetto libero da appartenenze di genere, nella seconda insieme al suo quintetto, in una formazione particolarmente allettante, formata da clarinetto basso e saxofoni insieme alla fisarmonica, violoncello e contrabbasso.

Sempre a novembre, un trio di grandi nomi del Jazz, insieme per un progetto che finalmente torna a mettere il violino protagonista. Il violinista è il francesce Régis Huby che insieme al contrabbassista Bruno Chevillon (che qualcuno si ricorderà per aver accompagnato Michel Portal in un bellissimo concerto alla Sala degli Arazzi per il Piacenza Jazz Fest edizione 2018) e al batterista Michele Rabbia presentano il loro album “Reminescence”.

Tra i nomi di spicco non si può non citare la serata di venerdì 20 dicembre che vedrà il graditissimo ritorno di Antonio Faraò con un trio il cui spirito differisce dai precedenti, in virtù della presenza al contrabbasso e basso di Ameen Saleem, grande talento per anni nel quintetto di Roy Hargrove.

La commissione artistica del Milestone, composta da Gianni Azzali, Angelo Bardini e Monica Agosti, ha così voluto proporre al pubblico una programmazione che spazia per stili e per intenzione, che possa stuzzicare curiosità e interesse e che offrirà di certo la possibilità di ampliare i propri orizzonti musicali, per tutti coloro che non si vogliono fermare alle solite note ma amano continuare a crescere.

A partire dall’inaugurazione del 5 ottobre sarà già possibile all’ingresso fare la tessera 2020 del Piacenza Jazz Club che raffigurerà il padre del movimento free jazz Ornette Coleman nell’anniversario dei novant’anni dalla sua nascita.

Per maggiori informazioni si consiglia di visitare il sito www.piacenzajazzclub.it e seguire le sue pagine social su facebook, twitter e instagram.

Rita Marcotulli riceve dal Presidente Mattarella l’onorificenza di Ufficiale della Repubblica Italiana

E’ una delle artiste italiane più illustri, e per i suoi innumerevoli meriti in ambito musicale il Presidente Sergio Mattarella le ha conferito l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana: è Rita Marcotulli, pianista e compositrice di grande talento ed eleganza. Prima donna ad aver vinto un David di Donatello per la miglior colonna sonora (nel 2011, per “Basilicata coast to coast”), annovera tra gli altri suoi riconoscimenti il Ciak d’oro, il Nastro d’Argento e le due vittorie al Top Jazz della rivista Musica Jazz prima come miglior talento emergente e poi come miglior talento italiano.
Già ufficializzata, la prestigiosa nomina di Ufficiale della Repubblica Italiana sarà ulteriormente suggellata il 1 giugno al Quirinale con la sua partecipazione al ricevimento per la Festa della Repubblica.
Nel corso della sua carriera Rita Marcotulli è riuscita ad affermare il suo stile raffinato in numerosi progetti e generi musicali che l’hanno portata ad esibirsi in tutto il mondo con grandi artisti e nelle location più importanti a livello internazionale.
Memorabili i suoi concerti con Pino Daniele (è suo il pianoforte e alcuni arrangiamenti dell’album “Non calpestare i fiori nel deserto” vincitore di 8 dischi di platino e della Targa Tenco), Ambrogio Sparagna, la sua esibizione al Festival di Sanremo 1996 con Pat Metheny, il tour mondiale come membro del gruppo del celebre batterista statunitense Billy Cobham, la sua sapiente rilettura dei Pink Floyd con un grande ensemble tra cui Raiz Fausto Mesolella, il live multimediale dedicato a Caravaggio presentato nel 2018 al Festival Umbria Jazz.
Nel 2013, è stata chiamata come membro della Giuria di qualità per la 63esima edizione del Festival di Sanremo.
In ambito jazz spiccano i progetti e le performance con Enrico Rava, Michel Portal, Javier Girotto, Jon Christensen, Palle Danielsson, Peter Erskine, Joe Henderson, Helène La Barrière, Joe Lovano, Kenny Wheeler, Norma Winston, Luciano Biondini, Charlie Mariano, Marilyn Mazur, Sal Nistico, Maria Pia De Vito. Per oltre 15 anni è stata membro del gruppo del sassofonista statunitense Dewey Redman – padre del noto sassofonista Joshua Redman – suonando in tutta Europa e in Sud America.
Tra le sue recenti collaborazioni troviamo Max Gazzè, Gino Paoli, Peppe Servillo, Noa, Massimo Ranieri, Claudio Baglioni e John De Leo. In ambito teatrale e cinematografico: Lella Costa, Chiara Caselli, Stefano Benni, Rocco Papaleo (per cui ha scritto le colonne sonore di “Basilicata coast to coast” e “Una piccola impresa meridionale”), Fabrizio Gifuni, Sonia Bergamasco, Gabriele Lavia, Paolo Briguglia, Daniele Formica, Michele Placido.

Nella sua discografia, oltre 25 album tra cui “Woman Next Door – Omaggio Truffaut”, che nel 1998 il magazine inglese The Guardian ha nominato miglior disco dell’anno, e l’ultimo di Giorgio Gaber “Io non mi sento italiano”.
L’ultimo, appena uscito, è il live “Yin e Yang” (ed. Cam Jazz) in duo con il batterista e vocalist messicano Israel Varela, che a sua volta annovera collaborazioni con Pat Metheny, Charlie Haden, Bireli lagrene, Diego Amador, Bob Mintzer, Mike Stern, Yo Yo Ma, Jorge Pardo. Per questo nuovo progetto, Rita Marcotulli sarà impegnata nei prossimi mesi in tour con un eccellente quartetto europeo formato dal noto bassista Michel Benita, il sassofonista britannico Andy Sheppard (vincitore di numerosi British Jazz Awards) e lo stesso Varela.

CONTATTI
Ufficio Stampa: Fiorenza Gherardi De Candei
Tel. 328.1743236 Email info@fiorenzagherardi.com