Concluso il Festival di Ruvo di Puglia

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Pino Minafra

Pino Minafra

Un sito on-line deve parte del suo interesse alla velocità con cui (rispetto a quotidiani e periodici) può render conto di concerti e rassegne. Ho seguito la sezione conclusiva del “Talos Festival 2012” a Ruvo di Puglia (14-16 settembre) e ne parlo solo oggi.

Ha senso? Ritengo di sì (e ringrazio il direttore di “A proposito di jazz” Gerlando Gatto per la sua paziente ospitalità) perché la manifestazione, in realtà, si è conclusa il 28 settembre al teatro Petruzzelli di Bari. Qui l’Italian Instabile Orchestra è stata invitata al quarto di secolo dell’Europe Jazz Network: sotto la direzione di Giancarlo Schiaffini la formazione ha, tra l’altro, eseguito una suite costruita con venticinque brani da un minuto commissionati da E.J.N. ad altrettanti compositori del vecchio continente. La mia risposta affermativa deriva, inoltre, dal fatto che, oltre la cronaca, sia possibile parlare del “Talos Festival” in un senso più ampio, quasi come una parabola delle vicende della cultura e della musica nell’Italia odierna.

La filosofia di un festival
Una mongolfiera colorata che si perde nel cielo stellato di Ruvo di Puglia, i rituali fuochi d’artificio e la balcanica Boban i Marko Markovic Orkestar sul palcoscenico a trascinare il pubblico che gremiva piazzetta Le Monache. Così si è concluso – prima del recital del 28 – il Talos Festival 2012 (7-16 settembre): ventimila presenze complessive ed epilogo festoso per una rassegna che – tornata alla direzione artistica dell’ideatore Pino Minafra – ha cercato di coniugare tradizione e ricerca, la realtà diffusa delle numerosissime bande pugliesi con le molteplici contaminazioni possibili.

Nato nel 1993, il festival ereditava facendola propria la filosofia di quello di Noci: Pino Minafra credeva (e crede) in un jazz che sia europeo nel senso di un’indipendenza dai modelli stilistici americani storicamente maturata attraverso l’esperienza del free jazz del nuovo e vecchio continente. In parallelo la radice vivente e presente delle bande pugliesi (con i loro organici e repertori, fitti di trascrizioni operistiche e di brani legati a doppio filo alla settimana santa) ha costituito per il trombettista e compositore motivo di ispirazione e progetto che lo hanno visto guidare la banda di Ruvo di Puglia in registrazioni e tournée di respiro europeo e di estremo interesse. Nonostante la forza di queste idee, ed il riscontro di pubblico e critica, il “Talos Festival” è stato per un periodo sottratto al suo ideatore e snaturato, quindi dal 2008 ha cessato di esistere.

La ripresa del 2012 (ribadita dal sottotitolo “La melodia la ricerca la follia”) scaturisce sia dalla volontà delle amministrazioni locali (soprattutto del Comune) sia dalla progettuale determinazione di Minafra che dal rinnovato contesto regionale con il sistema musicale Puglia Sounds ed il coordinamento Apulia Network Jazz. Puntare sulla banda quale asse sonoro e filosofico del Talos si rivela, quindi, la consapevole prosecuzione di un progetto teso a valorizzare questo organico nella sua dimensione identitaria e concertistica, depositaria di una lunga tradizione ma aperta ad un rinnovamento generazionale, di repertorio e linguaggio.

Le bande: fossili sonori o laboratori musicali?
Domenica 16 settembre, nello spazio raccolto quanto luminoso del chiostro del Convento dei Domenicani, si è tenuto il convegno “La Banda: un patrimonio da salvare”. Doveva essere presentato il volume “La tradizione bandistica a Ruvo di Puglia” (Papageno edizioni) di Vincenzo Anselmi e Cinzia Berardi ma il testo non era disponibile; si è però messo a fuoco un fenomeno che, al di fuori della Puglia, è poco conosciuto nelle sue dimensioni reali. Alla presenza di Minafra, del giornalista Ugo Sbisà – che ha fatto da moderatore – e di numerosi esponenti delle amministrazioni locali nonché di operatori culturali ha avuto luogo una discussione animata ed appassionata che ruotava attorno a cifre importanti: duecento bande operanti nella regione, ottomila musicisti. Il “patrimonio da salvare”, però, non può essere museizzato ma ha necessità di capitalizzare (archiviandolo) il proprio repertorio e di rinnovarlo, di continuare ad attirare i giovani ed a svolgere una funzione di istruzione musicale e pratica democratica, di collante sociale. Per far questo è necessario, forse, uscire da logiche superate e da assistenzialismi impossibili (per i tempi che corrono): molti presenti hanno ribadito che la Puglia sonora non è solo pizzica e taranta e che è praticabile creare lavoro anche attorno alle bande. Archivi, fondazioni, nuove regole per la partecipazione a feste e sagre, scuole civiche di musica… Tante le idee e le proposte che necessitano di sponde politiche e culturali, nella consapevolezza che la Puglia ha una ricchezza sonora unica rispetto a molte regioni italiane, ricchezza che non va sciupata ma i cui problemi necessitano di soluzioni, come quella di una fondazione ipotizzata da tempo per la Banda di Ruvo di Puglia.

Una risposta concreta su come si possa fare musica dell’oggi attraverso un organico tradizionale l’ha fornita, con artistica concretezza, l’anteprima della rassegna (7-12 settembre). Essa ha infatti proposto bande di paese (Concerto Bandistico “Basilio Giandonato” di Ruvo di Puglia, diretto da Rocco Di Rella; Complesso Bandistico Atellano, guidata da Pasquale Di Muro; Banda di Castellana Grotte, diretta da Mario Conte, ospite il tubista Domenico Zizzi), scolastiche (Orchestra della Scuola Media “Monterisi” di Bisceglie; Action band del Liceo Scientifico “Tedone” di Ruvo di Puglia) professionali (Improbabilband, nata attorno all’università di Bari; Bandervish costituita dal gruppo Radiodervish più la Banda “G.Verdi” di Sannicandro di Bari; Municipale Balcanica) con ospiti ben qualificati come Roberto Ottaviano, Carlo Actis Dato (che ha suonato anche in solo, il 9/9), Livio Minafra, Admir Shkurtaj (esibitosi in trio nel progetto “Gestures adn Zoom” il 14/9), Michel Godard.

Eventi serali, tra Palasport, pioggia e piazzette
Il 14 sera sono arrivato a Ruvo di Puglia da Roma con il pullman, un lungo viaggio iniziato con il sole e finito con un anticipo di autunno che ha convinto gli organizzatori a spostare i concerti al chiuso. Passare dall’atmosfera sonnolenta e un po’ ovattata dell’automezzo al Palasport della cittadina pugliese, pieno sino all’inverosimile e rimbombante di voci e suoni, è stato un piacevole trauma. Qui – dopo il tamburello solo di Carlo Rizzo che non ho potuto sentire – il pubblico è stato quasi travolto da La Banda di Ruvo di Puglia che Minafra ha portato in mezza Europa, da Londra a Saalfelden. Il magnifico organico si è ascoltato in brani di repertorio e originali con ospiti e direttori diversi. Michele Di Puppo ha guidato la Banda in pagine classiche ed operistiche che ne hanno messo in luce la potenza e la duttilità sonora, la cura esecutiva come la forza espressiva (ad esempio il bis da “Il Barbiere di Siviglia” con l’aria di Figaro). Bruno Tommaso ha magnificamente diretto i primi due movimenti di una suite scritta espressamente da Willem Breuker per la Banda: musica dai vividi colori, turbinosa ed espressionista in cui la massa d’urto dell’orchestra ha duettato con la tuba improvvisante di Michel Godard. A Pino Minafra il timone per gli abissi e le vette di “Terronia. Madonna Nera”, partitura materica e dolente, drammatica ed ironica (con le Faraualla guidate da Gabriella Schiavone). Livio Minafra ha alternato fisarmonica e direzione per “Aurel”, dedicata ad un ragazzo immigrato albanese e gravida di inflessioni etniche. Gran finale con “Profuno di Violetta” di e con Gianluigi trovesi (clarinetti e sax alto) con la direzione impeccabile di Bruno Tommaso che ha condotto il II bis, una brillante fantasia di motivi di Nino Rota. Una festa e la dimostrazione che i “fantasmi” (in quanto non riconosciuti dal potere politico e, spesso, dalle istituzioni culturali) delle bande sanno concretizzarsi in corpose, magnifiche realtà sonore.

Il 15 sera, dopo una giornata di tempo alterno, si è deciso di rischiare il ritorno nella ‘storica’ piazzetta delle Monache, luogo centrale nella topografia e nella vita di Ruvo di Puglia nonché del Talos Festival. Pubblico numerosissimo proveniente anche da Bari ma la musica ha dovuto davvero lottare con il maltempo. Il contrabbassista francese, di origini catalane, Renaud Garcia-Fons ha condotto il pubblico – nonostante i crescenti rovesci d’acqua – in un viaggio nel mondo disegnato con il suo strumento a cinque corde e un po’ d’elettronica: Mediterraneo, Africa, Oriente, una narrazione fatta attraverso stili e linguaggi padroneggiati con maestria tanto che Garcia-Fons appare una riuscita fusione tra Paganini, Giovanni Sollima e John Patitucci. La pioggia a scroscio ha messo in forse il concerto dell’attesa Orchestra di Piazza Vittorio. Almeno la metà del pubblico è rimasta ed è stata ricompensata dal concerto, ripreso verso le 23, in cui i musicisti dell’Orchestra romana (almeno come luogo di origine) immigrati da tante parti del mondo (dal NordAfrica all’India, dal centro e SudAmerica all’Italia) hanno saputo integrare linguaggi e culture, far ballare un pubblico infreddolito quanto partecipe.

Finite le nubi, il 16 sera piazzetta delle Monache è stata letteralmente invasa dal pubblico, dagli abitanti di Ruvo ma anche da appassionati provenienti da altri Comuni, a testimonianza della riuscita della presente edizione del “Talos Festival” ma anche dei frutti di una ‘semina culturale’ iniziata nel 1993, come esplicitato dagli interventi di un ino Minafra visibilmente soddisfatto e degli amministratori locali.

In primo piano il quartetto vocale Faraualla, nato nel 1995 e guidato da Gabriella Schiavone. Emozionante e coinvolgente il nuovo progetto del quartetto vocale che rende musica, ritmo e trance i formulari popolari di guarigione. Vestite di bianco, presenti in scena anche teatralmente, le Faraualla hanno intrecciato le loro magnifiche voci agli strumenti, alla batteria e all’elettronica di Cesare Pastanella, Pippo D’Ambrosio ed Angelo Pantaleo. Le antiche parole, frutto di una sapienza antica e tutta femminile, ha ripreso vita in una veste nuova quanto adatta, contemporanea ed arcana al contempo. Bis con una versione in dialetto di un pezzo delle Zap Mama e grande comunicativa del quartetto vocale. La comunicativa non è certo mancata alla Orkestar Rom di Boban I Marko Markovic, una comunicativa un po’ ruffiana e formalizzata. Il gioco tra le tube incalzanti e le trombe, spesso in sezione, dal melos e dal fraseggio balcanico e mediorientale costitusce la chiave timbrica del gruppo, unita agli accelerandi e decelerandi scanditi dalle percussioni. Con questa formula si va dal repertorio tradizionale a Michael Jackson ed è facile coinvolgere il pubblico – specie quando ci sta – in un gioco palco platea eccitato e divertente, adatto a concludere la vincente kermesse del “Talos Festival”, sotto un cielo finalmente stellato.

Altri luoghi, altri concerti, altre mostre
La rassegna di Ruvo di Puglia ha, peraltro, ospitato altri organici, mostre e masterclass. Alla scuola media Carducci / Giovanni XXIII (nel pomeriggio del 15/9) è stata davvero mozzafiato l’ora di performance di Keith & Julie Tippetts, tra piano (ampiamente usato nelle cordiera), voce e percussioni in grado di generare atmosfere cangianti e profonde. L’unico brano eseguito si è configurato come una piccola, policroma suite fatta di accordi sospesi, glissati della voce (assoluto il controllo della Tippetts), arpeggi velocissimi e scarti ritmici, carillon e sussurri. I due musicisti inglesi hanno la capacità di scavare dentro sé stessi e dentro l’inconscio sonoro e memoriale degli spettatori, di guidarli per mano verso orizzonti infiniti e profondità interiori. Sciamanici.

Il tubista francese Michel Godard è stato, con ogni probabilità, il personaggio più presente nelle diverse situazioni del festival, facendo propria la sfida dei Minafra. Il 16 settembre pomeriggio si è esibito alla Cantina Grifo luogo di alta suggestione, anche etilica) con il percussionista Pino Basile e il polistrumentista Giacomo desiante, per l’occasione alla fisarmonica: un dialogo basato su canti di Gravina di Puglia, su ritmi di taranta, su brani di Richard Galliano (il brasiliano “Sertao”) e dello stesso Godard, sempre in grado di unire l’improvvisazione jazz a musica etnica ed antica, “colta” e “popolare”. Poco più tardi il bianco cortile del Chiostro dei Domincani si è animato con il riuscito saggio della Yamaha Tuba Master Class: l’orgnico prevedeva tre tube, un trombone, una tromba, due clarinetti, contrabbasso e batteria più lo stesso Godard che ha anche suonato il serpentone. Nel gruppo si è brillantemente distinto il trombettista / flicornista Dario Savino D’Orono che è apparso solista ricco di personalità e maturo.
Il chiostro per tutta la durata del festival è stato arricchito da pregevoli mostre: una raccolta di opere del M° Domenico Cantatore; “Taloscatti” di Diego Amenduni che documenta varie edizioni della rassegna; “Bande, fuochi e luci” di Raffaele Puce che focalizza tre aspetti peculiari della ritualità festiva pugliese; “TaloSguardi” della pittrice Enza Maestria che coniuga le suggestioni ed i volti del jazz con una vocazione onirica e surrealista.

Il futuro possibile in una cittadina dove l’arte e la vita respirano assieme
Ruvo di Puglia è un posto straordinario dove il senso di comunità e l’amore per l’arte si respirano nelle vie e nelle piazze. Non un paradiso (visto con gli occhi del cittadino) ma una comunità che ha storia e memoria. Il museo archeologico Jatta (dove è esposto il vaso con la morte del gigante di bronzo Talos, che dà il nome alla rassegna), la maestosa e ieratica Cattedrale romanica, la policroma Chiesa del Purgatorio e le numerose altre (S.Cleto, S.Rocco, S.Domenico, S.Michele Arcangelo, S.Giacomo, i Cappuccini) i palazzi (Avitaja, Caputi, Spada) che impreziosiscono il bianco centro storico danno vita ad un tessuto urbano ricco e particolare risalente al VI-VII secolo avanti Cristo.

Il Talos Festival ha saputo, come nelle edizioni passate (quelle sotto la direzione artistica di Pino Minafra), valorizzare i luoghi della bella cittadina e risvegliare un sogno fattosi coscienza collettiva che le attuali amministrazioni hanno dichiarata intenzione, nonostante la crisi, di sostenere in futuro.

Un ricordo, per concludere
Al festival “Talos” ero stato l’ultima volta nel settembre 2004. Quell’edizione si concluse con un concerto meraviglioso che vide insieme Keith Tippett (nella veste anche di direttore), Julie Tippetts, il batterista sudafricano Louis Moholo, l’orchestra Canto Generàl arricchita dalle Faraualla. Il memorabile concerto del 4 settembre in piazzetta delle Monache offrì brani di Tippett e dei musicisti sudfricani e fu un recital emozionato ed emozionate, carico di passione e tensione. E’ diventato un album – “Viva La Black Live At Ruvo” per l’etichetta inglese Ogun – e mi fu chiesto di scrivere le note di copertina. La richiesta mi onorò e mi onora, anche per l’amore che nutro per il jazz sudafricano la cui storia, intrisa di gioia e dolore, è davvero una pagina straordinaria della musica del Novecento.

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