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Stefano Zenni –Storia del jazz. Una prospettiva globale – Stampa Alternativa/Nuovi equilibri – pgg.602 – euro 25

Storia jazzQuando è uscito (nel marzo 2012) “Storia del Jazz. Una prospettiva globale” del musicologo Stefano Zenni, per Stampa Alternativa/Nuovi equilibri (costo euro 25, disponibile su Amazon al prezzo scontato di euro 21,25) lo scenario era quello di un rinnovato interesse per le vicende della musica afroamericana. Tale interesse è testimoniato da altre operazioni editoriali come l’uscita, fine 2011, della “Nuova storia del jazz” dello storico e critico inglese Alyn Shipton per Einaudi (edizione originale 2007, traduzione e curatela di Vincenzo Martorella, autore di un brillante, inedito saggio su un secolo di jazz italiano e di un utile Glossario), la redazione in corso di un testo di taglio storico dell’ex-direttore di “Musica Jazz” Claudio Sessa (II parte di una trilogia di studi iniziata con “Le età del jazz. I contemporanei”, 2009, il Saggiatore) e la traduzione ancora in opera della History of Jazz dello statunitense Ted Gioia (I ed. 1997, Oxford University Press; ultima ristampa 2011).

Dopo un anno il testo di Zenni – già alla seconda tiratura – si è dimostrato operazione culturale ed editoriale felice, sia perché fornisce strumenti critici aggiornatissimi sia perché coinvolge i jazzfan come gli studenti dei numerosi corsi di storia della musica afroamericana in vari conservatori. Posso affermare per esperienza diretta (essendo docente a contratto di “Storia del Jazz” presso il conservatorio L. Refice di Frosinone) che chi ha usato il libro di Stefano Zenni come manuale ha ampliato di molto la propria visione della musica afroamericana, eliminando la patina degli stereotipi mitologici e vivificando la materia con molte nuove informazioni e dimensioni critiche. Nei conservatori (come nel pubblico comune) “La storia del Jazz. Una prospettiva globale” prende il posto della narrazione – formidabile ma inevitabilmente datata – del volume scritto da Arrigo Polillo nel 1975, in un contesto completamente differente dove quel testo agì peraltro in modo eccellente.

Certo il favore e l’interesse per l’opera di Zenni scaturisce anche dalla sua pluridecennale attività didattica (in questo senso il testo nasce, si verifica e sperimenta sul campo), ai numerosi suoi volumi editi su Louis Armstrong, Herbie Hancock, Charles Mingus e, soprattutto, all’innovativo “I segreti del jazz. Una guida all’ascolto” (Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri, 2007) a cui il nuovo volume rimanda per gli approfondimenti analitici e di linguaggio, essendone una sorta di ampio complemento storico.

“Storia del jazz” è la prima sintesi storica “di vasto respiro realizzata da un autore italiano dai tempi del fondamentale Jazz di Arrigo Polillo” (p.9). Oggi i tempi sono cambiati ma sono figli di quel mutamento degli anni ’70 che il volume di Polillo, in un certo senso, testimoniava. Basta scorrere l’articolazione della materia nel testo di Zenni (XVII capitoli, un preludio ed una coda, da “Bamboula! Schiavi africani, musiche americane” a “Sonic Genome. Percorsi contemporanei”) per rendersi, tuttavia, conto del taglio innovativo in cui ci si sbarazza di un diffuso storicismo evoluzionista e della successione per decenni e/o stili a vantaggio di percorsi più complessi e sincronici. La lettura di un qualsiasi capitolo mostra con chiarezza, inoltre, quanto di nuovo ci sia – a livello di contenuti e di metodi – in “Storia del Jazz. Un approccio globale”. Le novità, riscontrabili ovunque (anche nell’apparato spesso inedito di mappe concettuali e geo-sonore), sono lucidamente messe a fuoco dall’autore nel denso “Preludio” dato che “l’intero impianto metodologico è come sotteso alla narrazione, in modo da non interferire con essa” (p.9).

Gli elementi di novità riguardano i numerosi dati, finora non conosciuti, che vengono resi disponibili (soprattutto nello studio delle origini); qua e là si fa, in effetti giustizia di errori storici ormai entrati nella vulgata jazzistica. Inoltre ci si avvale di approfondimenti in ambiti sinora inesplorati (ad esempio il mosaico degli stili che costituiva “la musica degli schiavi”). Altro settore ricco di novità che Zenni utilizza è quello dello studio della musica a stampa (soprattutto per gli anni ’10 e ’20). Linfa vitale hanno portato la storiografia del jazz, la nuova storia culturale, del costume e della critica, in particolare per le connessioni tra sviluppi musicali e forze economiche, sociali e politiche. “Per quanto ci è dato sapere – precisa l’autore – la nostra è la prima storia generale del jazz in grado di accogliere nella narrazione queste nuove conoscenze. L’economia dello spettacolo, le regole del diritto d’autore, i meccanismi di diffusione della musica, il rapporto tra luoghi dell’intrattenimento e forme musicali, il delicato intreccio tra musica e politica (…), il potere dell’industria discografica, la creatività e lo spirito imprenditoriale dei produttori” (p.10). Straordinarie, ad esempio, le parti in cui si parla in modo del tutto inedito del rapporto tra musica jazz e danza (l’influenza nello stile solistico di Louis Armstrong da parte del tip tap, il complesso legame tra lindy hop con le sue figurazioni acrobatiche e lo Swing…). Con questo taglio (e queste informazioni) i lettori leggono una storia che è libera dalle nebbie dell’aneddotica e della “mitologia” del jazz e più vicina alla realtà di una musica che è vissuta al crocevia tra arte e intrattenimento, creazione e spettacolo, in tutta la sua straordinaria vitalità e materialità fatta di locali, pubblici, paghe, tour.

In termini di storia del repertorio accurata ed esauriente è la selezione ragionata di capolavori a cui si riferisce il testo. Vi si parla di improvvisatori e compositori mettendo in luce una verità: “il jazz è anche una musica di grandi compositori (…) e in certi casi (Miles Davis) bisogna anche ripensare il concetto di compositore e improvvisatore” (p.11) Si accennava in precedenza alla prospettiva di tipo sincronico che esalta la ricchezza verticale degli eventi e si rifà alla teoria del tempo storico-artistico di George Kubler.

C’è ancora un elemento fondamentale nel testo di Zenni che ne agevola il continuativo successo editoriale, anche alla luce delle profonde trasformazioni intervenute nei trentasette anni che lo separano da “Jazz” di Arrigo Polillo. Il considerare la storia da una prospettiva globale che ha reso “naturale raccontare i percorsi musicali adottando una prospettiva geografica e i criteri delle teoria delle migrazioni, intese a ogni livello” (p.12) con il supporto di cartine e mappe spesso inedite. Ma accogliere la prospettiva globale vuol dire anche sovvertire uno dei capisaldi della storiografia del jazz, quello che vede un centro legittimo, gli Stati Uniti, le cui influenze raggiungono il resto del mondo che imita e adatta (visione pienamente sposata da Polillo). Facendo riferimenti a Stephen Jay Gould, Niles Eldredge, E.Taylor Atkins e Lawrence Gushee, Stefano Zenni teorizza e, soprattutto, prova a raccontarci una storia globale del jazz che “non solo deve rendere conto delle realtà locali autonome, ma può connettere influenze e movimenti che si intrecciano e sviluppano a prescindere dal jazz statunitense”. La lettura del capitolo XIV “Globe Unity. Il jazz dall’Africa all’Europa” è ampiamente illuminante in questo senso, lettura che – come in tutto il testo – si avvantaggia della prosa limpida, del chiaro argomentare e dell’eccellente capacità di sintesi dell’autore che in poco più di cinquecento pagine riesce a inquadrare un fenomeno di enorme trasversalità e centralità nella cultura del Novecento quale il jazz, a cavallo tra tre continenti e a diffusione planetaria.

L’opera è così un significativo punto d’arrivo per il lavoro del musicologo che mette a disposizione di tutti i lettori, gli appassionati, gli studenti quanto elaborato in anni di docenza e ricerche, unendo la passione ed il rigore, la lucidità intellettuale e il metodo.

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