Carlos Kleiber su Deutsche Grammophon
Chi si avventura nel mondo della musica classica capisce ben presto che l’oggetto della propria passione è diviso.
Senza scomodare Kant e le differenze tra l’oggetto in sé (fenomeno) e l’oggetto percepito (noùmeno) non vi è dubbio che si possano amare contemporaneamente, e stereoscopicamente, sia la musica che l’interpretazione. Le quali cose se risultano perfettamente separabili e delineate nel nostro cervello, lo sono assai meno al nostro orecchio, incapace di scindere le note dalle scelte. Amiamo di più Rubinstein, il pianismo cavalleresco di Rubinstein, o l’immagine della Polacca op. 53 di Chopin evocata dalle sue dita? Quando ci trastulliamo, assorti in magici pensieri, all’ascolto dello “Schiaccianoci” di Ciakovsky, è il suono dei Berliner Philarmoniker che in primis ci seduce, o la musica lussureggiante del compositore russo?
Il cervello non avrebbe esitazioni, direbbe la musica. Il cuore, forse, esiterebbe.
Quando dirige Kleiber ci conquista, anzitutto, Kleiber stesso: il suo fuoco, la perfezione…soltanto quando gli occhi si siano abituati alla luce di questo sole abbagliante, si rivela alla mente la musica.
In questo cofanetto troviamo tutte le registrazioni effettuate per la sua etichetta, la Deutsche Grammophon, celebre marchio che egli contribuì non poco a fare grande.Nelle sue esecuzioni non trova spazio l’oscuro, l’indistinto: tutto prende forma in piena chiarezza e nulla è meno che perfetto. Ogni interpretazione è l’illusione di un tempio greco che riemerge dal passato non solo incarnando il messaggio dell’autore ma traducendone la forza nel presente.
Si ascolti l’inizio della Traviata, un portento di modernità timbrica; come Kleiber riesca a rigenerare tutta la sua misteriosa, minacciosa ‘allure’, ripulendolo dai cascami sentimentali(sti) per restituirlo allo spleen originario. O la poesia romantica del canto finale del Freischütz, con il suo carattere così distinto, definibile.
Nelle interpretazioni di questo sommo direttore la perfezione non è, come spesso accade, qualcosa di algido, vampirizzato, ma consiste in un paesaggio che circonfonde e circoscrive la musica conferendole passione.
Schivo, amante del vivere nascosto, convinto di essere la reincarnazione del cane di Emily Dickinson, egli fu aporìa vivente: riuscì nell’intento (unico) di farci amare, parimenti, le opere che dirigeva e quelle che non avrebbe mai diretto, facendocele, queste ultime, immaginare e rimpiangere.
Fu votato, in un sondaggio, quale direttore più amato dal pubblico, sopravanzando persino Herbert von Karajan, colui cioè che lo star-system lo aveva praticamente inventato; eppure Carlos Kleiber non fu mai ‘star’, anche se – persino più di Karajan – diede vita a una nuova religione estetica. Casomai un’anti-star, fieramente quanto inconsapevolmente anticonformista.
Nella strana epoca che viviamo, misera e opulenta, dove il denaro detta legge e la musica è divenuta competizione, l’irriducibile serenità del suo messaggio ancora sconvolge. Svjatoslav Richter lo definì una volta “Titano insicuro” poiché, come tutti i veri artisti, perennemente insoddisfatto di sé, ma in queste registrazioni di insicurezza non vi è traccia; si apprezza al contrario su quale piano elevatissimo egli abbia saputo proiettare la propria visione.
In questo stupendo cofanetto si possono riascoltare alcune Sinfonie di Schubert e di Beethoven, una mitica “Quarta” di Brahms, la “Traviata” di Verdi (con la meravigliosa Ileana Cotrubas e Domingo) il “Freischütz” di Carl Maria von Weber, il “Tristano e Isotta” di Wagner e il “Fledermaus” di Strauss.
Se non li conoscete, questi dischi diventeranno i vostri più fedeli compagni, ciascuno di essi una finestra per far entrare nelle nostre case la luce di un grande scandagliatore di abissi sonori, sempre, per quanto umanamente possibile, all’altezza dei testi che interpretava.