Carla Bley : ottant’anni e non sentirli

Carla Bley

Le ricorrenze anagrafiche forniscono talvolta l’occasione per illuminare la parabola artistica di un(a) jazzista. Nel caso della pianista, tastierista, compositrice, arrangiatrice e band-leader di Oakland ci si accorge che la sua carriera – iniziata nel 1959 – non è ancora finita, anche se molti frutti sono maturati dai semi che ha saputo coltivare. Per evitare un semplice riassunto della vita e delle opere, proverei a parlare di quest’eclettica e singolare artista seguendo – dopo una breve introduzione – un ipotetico programma radiofonico con l’ascolto (purtroppo immaginario ma facilmente realizzabile, anche attraverso la rete web) di sue composizioni, differenti per organico e data d’esecuzione.
Piena di mille impegni la sua vicenda fin dall’inizio: arrangiamenti per cantanti folk, lavori nei piano-bar, venditrice di sigarette nei jazz club, costumista in teatro, compositrice, cantante, tastierista… Trasferitasi a New York dalla natìa California, incontra il pianista Paul Bley che ventunenne sposa, incrementando il lavoro di scrittura: i suoi brani iniziano a piacere a musicisti di valore come Art Farmer, Jimmy Giuffre e George Russell. La musica diverrà il suo unico lavoro dal 1964, quando aderirà al Jazz Composer’s Guild creato dal visionario trombettista e compositore Bill Dixon. Insieme ad un altro trombettista – Michael Mantler – diventa codirettrice della Jazz Composer’s Orchestra Association, l’anomala big-band autogestita dai musicisti della fervente scena d’avanguardia newyorkese. E’ in questa temperie artistica “alternativa”, dove il free incontra la musica europea ed in cui i jazzisti più creativi incrociano i propri linguaggi, che si collocano l’esistenza e l’opera di Carla Bley. La jazzista sposa Mantler in seconde nozze e si getta nel magmatico progetto di “Escaletor Over the Hill” (1968-1972).
“Hotel Ouverture” da “Escaletor Over the Hill” (JCOA Records, 1971). E’ il fiammante prologo di un’opera su testo di Paul Hines, musica della Bley, coordinamento e produzione di Mantler. Tre album per una ciclopica esecuzione registrata in varie sedute tra il 1968 ed il ’71. Un orchestra di diciassette elementi (da Jimmy Lyons ad Enrico Rava) si muove su scuri fondali, illuminati da due strumenti che saranno basilari nella poetica della compositrice: il trombone (Roswell Rudd) ed il sax tenore (Gato Barbieri). Altre parti solistiche sono per l’aspro clarinetto di Perry Robinson e per il plastico contrabbasso di Charlie Haden. Preludio dagli accenti ora epici ora strazianti di un’opera complessa e visionaria anche per il rapporto tra testo e musica.
“Liberation Music Orchestra” (Impulse, 1969). Tra Haden e la Bley c’era già una forte empatia sonoro-politica. Nella foto con striscione rosso che campeggia sulla copertina dell’album i due sorreggono, da lati opposti, quella sorta di coraggiosa bandiera. Gli arrangiamenti sono dell’artista di Oakland come tutti i brani che connettono le riletture da pagine della guerra civile in Spagna e le composizioni del contrabbassista e di Ornette Coleman. Nell’orchestra spiccano Barbieri e Rudd, Dewey Redman, Don Cherry e Sam Brown: una vera “all stars” del free unita da un impegno politico nettissimo e sincero (siamo nel 1969). E’ il primo di una lunga serie di album della Liberation Music Orchestra di fatto codiretta con Charlie Haden, formazione a cui Carla Bley darà costantemente, e creativamente, il suo apporto: tra i più recenti “Dream Keeper” (1994, Polydor) e “Not in Our Name” (2005, Universal France) in cui l’artista è anche direttrice. Perché l’orchestra era e sarà la sua dimensione preferita ed il suo vero strumento.
“Ad Infinitum” da “Dinner Music” (Watt, 1976). L’etichetta nasce nel 1973 perché la Bley e Mantler vogliono documentare la propria musica in totale libertà. Il brano ha un semplice tema e vede l’artista all’organo – sua grande passione alla testa di un tentetto ricco soprattutto di ottoni (elemento che la avvicina a Gil Evans) e con due chitarre. Su un lungo pedale c’è vasto spazio per il trombone di Roswell Rudd in una temperie sonora a cavallo tra jazz e progressive rock, una “terra di mezzo” molto frequentata negli anni ’70 (del resto la Bley nel 1974-’75 suona con il gruppo del bassista inglese Jack Bruce, conosciuto ai tempi di “Escletor…”).
“Musique Mecanique III” da “Musique Mecanique” (Watt, 1978). Solo un paio d’anni separano le due partiture ma qui la big-and di tredici elementi (tra cui la figlia Karen al glockenspiel e Steve Swalow al basso elettrico che diventerà il compagno musicale ed esistenziale della sua vita) evoca altri mondi sonori. Ci sono riferimenti all’Europa e il brano alterna un tema onirico e inquieto (con sfumature circensi) a sezioni in cui l’organico si impunta come se la puntina di un giradischi non andasse avanti, con uno straordinario effetto straniante. Tromba, trombone (Rudd), corno (John Clark) e tuba (Bo Stewart) appaiono fondamentali nella policromia dell’orchestra, come l’organo suonato con originalità dalla leader. (altro…)

I nostri libri

Enzo Boddi – “Uri Caine – Musica in tempo reale” – Sinfonica Jazz, pgg.241, 
€ 20

Uri CaineEccellente lavoro questo del musicologo fiorentino Enzo Boddi che dedica le sue attenzioni ad una delle personalità più sfaccettate e poliedriche che il mondo musicale ci abbia offerto negli ultimi decenni: Uri Caine. L’artista è ben noto al pubblico italiano sia per le numerose apparizioni in festival e concerti sia per le collaborazioni con musicisti italiani. Di qui un ulteriore motivo per leggere con curiosità ed interesse le oltre duecento pagine del libro.
E devo dire che la lettura viene ampiamente ripagata: Uri Caine è lumeggiato in tutti i suoi aspetti, a partire dalla Philadelphia anni ‘50, fino alle opere più recenti, a disegnare un mosaico complesso di cui le varie influenze cui Caine è stato sottoposto e le molteplici direzioni che la sua arte ha seguito nel corso degli anni rappresentano gli imprescindibili tasselli.
Ecco quindi i primi forti legami con Don Byron e Dave Douglas, l’importanza del piano-trio, il fattore soul nella sua musica .. per approdare ad un primo e importante punto fermo: la forza delle radici ebraiche che diventano fonte di ispirazione.
Raggiunta questa consapevolezza, Caine si muove su altri fronti: sperimenta con la canzone pop, sperimenta con alcuni grandi della musica classica quali Bach, Beethoven, Mozart, Schumann, Mahler, Verdi, si inoltra nei sentieri tortuosi della musica contemporanea…mantenendo comunque intatta la sua cifra stilistica. 
Boddi ci guida con mano sicura in questo zig zagare tra stili, epoche, suggestioni pure assai diversi e lontani tra di loro evidenziando quel filo rosso che lega il tutto e che è rappresentato dall’arte di Caine. Questo perché l’autore, nella sua analisi, non segue tanto un percorso cronologico quanto una via che si snoda attraverso i differenti contenuti della musica di Caine.
Il volume è inoltre scritto in maniera semplice ma non banale ed è corredato da discografia e biografia.

Peter Erskine – “No Beethoven – La mia vita dentro e fuori i Weather Report” – Arcana Jazz pgg.305 più un’appendice fotografica – € 25,00

No BeethovenI Weather Report non esistono più da tempo, Joe Zawinul è venuto meno nel 2007 eppure questi musicisti continuano a calamitare l’attenzione degli appassionati. Di recente vi abbiamo presentato quella splendida realizzazione della Legacy contenente inediti del gruppo. Adesso è la volta dell’autobiografia di Peter Erskine che, guarda caso, è anche l’estensore delle note che accompagnano la citata raccolta discografica. E la cosa non stupisce più di tanto ove si tenga presente da un lato la straordinaria carriera artistica di Erskine, batterista giustamente annoverato tra i più grandi di sempre, musicista e compositore di rilievo che ha collaborato con artisti di estrazione pure assai diversa quali, tanto per fare qualche nome Stan Kenton, Maynard Ferguson, Michael Brecker, Joni Mitchell, gli Steely Dan, Elvis Costello, Pat Metheny, dall’altro il ruolo che il batterista ha giocato all’interno del gruppo fondato da Joe Zawinul e Wayne Shorter. Un ruolo che andava ben al di là del semplice partner per assurgere a quello di vera e propria colonna portante della migliore edizione del gruppo, vale a dire quella con Wayne Shorter, Joe Zawinul e Jaco Pastorius; Erskine rivive quel periodo  che va dal 1978 al 1986, con cinque album, tutti di straordinario livello. Ma, come racconta lo stesso Erskine, c’è un prima e un dopo Weather Report. Ecco quindi i 63 capitoli in cui è diviso il volume, veri e propri frammenti di vita vissuta in cui l’artista esprime le proprie opinioni circa gli accadimenti della vita quotidiana di un musicista e quindi, tanto per fare qualche esempio, i rapporti con l’industria discografica, la musica per il cinema, le registrazioni ECM, i voli in Giappone e via di questo passo in una galleria affascinante di fatti e personaggi. Il racconto non si sviluppa, tuttavia, su un canovaccio temporale ma trova il suo preciso punto di riferimento nei Weather Report, ossia nel periodo che precede la sua entrata nel gruppo, negli anni vissuti assieme e nell’imperituro ricordo che accompagna il batterista dopo essere uscito dal gruppo. Non a caso l’autobiografia si chiude con una toccante “Ultima lettera di Joe” in cui il tastierista austriaco ringrazia Peter per la sua amicizia e soprattutto ricorda il grande amore che per tanti anni lo ha legato alla sua Maxine, “il centro del suo universo”.
Il volume è corredato da due appendici: la prima dedicata alle «persone che appaiono in questo libro, ma che non hanno avuto spazio sufficiente, oppure le persone che mancano del tutto dalla narrazione» (p.245); la seconda a cinquanta album, compresi tra il 1974 e il 2010 e selezionati da una discografia di seicento, «che per qualche motivo meritano una discussione separata» (p.279). (altro…)

Chiude la stagione Candiani Groove, con quattro concerti

CANDIANI GROOVE GIUGNO 2016

Giovedì 9 giugno, ore 21.00

New Landscapes
Not just a soundscape
Silvia Rinaldi (violino barocco)
Luca Chiavinato (liuto barocco, oud)
Francesco Ganassin (clarinetto basso)

Daniele Vianello Quartet
Lunaria
Stefano Gajon (clarinetto)
Dario Zennaro (chitarra elettrica)
Daniele Vianello (contrabbasso)
Davide Michieletto (batteria)

Giovedì 16 giugno, ore 21.00

Venice Connection Quartet
Acrilico
Tommaso Troncon (sax tenore e soprano)
Paolo Garbin (pianoforte)
Vincenzo della Malva (contrabbasso)
Enrico Smiderle (batteria)

Claudio Cojaniz
Stride vol. 1 e vol. 2
Claudio Cojaniz (pianoforte)

ingresso : intero € 5
ridotto speciale per giovani fino ai 29 anni € 3

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