Massimo Urbani rivive a Monte Mario

Per la seconda volta il quartiere di Monte Mario ha ospitato un festival jazz dedicato a Massimo Urbani, che tra piazza Guadalupe e S.Maria della Pietà è precocemente cresciuto. Si tratta di una “vittoria” per gli organizzatori, l’Associazione Culturale Scuola di Musica L’Esacordo, animata da Giuseppe Salerno, più una serie di artisti legati alla figura di “Max”: il fratello sassofonista Maurizio, il percussionista ed amico Ivano Nardi, lo zio Luciano Urbani, fotografo e batterista, il “maestro” Tony Formichella. Come nella precedente edizione, “Il Jazz di Monte Mario” ha avuto l’appoggio del XIV municipio, spostandosi però dalla centrale piazza Guadalupe in via Cesare Castiglioni, dove c’è una vasta area più adatta per vari motivi logistici.
Qui dal 9 all’11 settembre si è tenuta la manifestazione che, nonostante qualche temporale, è riuscita ad offrire iniziative e concerti, coinvolgendo un buon numero di spettatori. C’è stato spazio, infatti, per i gruppi nati all’interno della scuola di musica (Esacordo Percussions, Esacordo Jazz Ensemble), per una mostra fotografica (con scatti noti o inediti del grande sassofonista, una microstoria del jazz italiano dagli anni ’70 ai ’90), per l’animazione dedicata ai bambini, per la proiezione di filmati (tra cui il documentario “Massimo Urbani nella fabbrica abbandonata” di Paolo Colangeli) e la presentazione di due libri. Il primo è la riedizione de “L’avanguardia è nei sentimenti “ di Carola De Scipio (edizioni Arcana), uscita nel 2014 con sostanziosi arricchimenti sia nelle interviste che negli apparati (come una preziosa discografia con rimandi a YouTube). Il secondo testo è, invece, “Go Max Go” di Paola Musa (Arkadia) edito nel febbraio 2016: definito “romanzo musicale”, è in realtà una riuscita sceneggiatura della vita di Urbani, fitta di dialoghi, ricca di “quadri” storici, scritta con stile e profondità sulla base delle testimonianze dirette di tanti musicisti. Alle presentazioni sono intervenuti vari jazzisti tra cui Eugenio Colombo, Maurizio Urbani e Ivano Nardi.
Molti gli artisti ed i gruppi che hanno partecipato a ”Il Jazz di Monte Mario” ma non c’è stata la possibilità di seguirli tutti. È il caso quantomeno di citarli, dato che la loro presenza è stata spesso contrassegnata da legami affettivi e sonori con l’indimenticabile “Max”: Tears Trio (Giuseppe Sorrentino, Stefano Napoli, Sasà De Seta), duo Donatella Luttazzi / Riccardo Biseo, Trio Fuorimisura (Alessandro Salis, Francesco Mazzeo, Alessandro Gwis), Antonio Faraò trio (con Dario Rosciglione e Roberto Pistolesi), Maurizio Urbani Septet “I remember Max” (oltre al leader, Mauro Verrone, Claudio Corvini, Mario Corvini, Ettore Gentile, Massimo Moriconi, Giampaolo Ascolese), Roberto Gatto trio “Mr. Jones” (con Carlo Conti e Francesco Puglisi). (47)
Pieno di pathos, imprevedibile nei suoi svolgimenti, avventuroso e rischioso come la musica di Massimo Urbani il set dell’Ivano Nardi Trio + 2: il percussionista-batterista con Eugenio Colombo (sax soprano e flauto basso), Roberto Bellatalla (contrabbasso), Carola De Scipio e Cristina Di Patrizio (letture e voce). Seppur limitato nel tempo (a causa dei ritardi dovuti alla pioggia), il concerto si è snodato in un unico flusso sonoro, costruito dai cinque artisti con un interplay empatetico che ha fuso le differenti individualità. Eugenio Colombo ha utilizzato il soprano in un’impressionante varietà di timbri e registri, da un suono pieno e tagliente (evocante, a tratti, Steve Lacy) ad uno nasale simile all’oboe, dall’andamento del fraseggio danzante e sciamanico all’effetto ipnotico del fiato continuo. Il flauto basso è stato, altresì, usato per note vellutate come per bordoni ottenuti utilizzando lo strumento a mo’ di didgeridoo. Bellatalla ha sfoggiato l’attenta sensibilità di un autentico “militante” del free, a lungo coltivata nei gruppi Viva-La-Black di Louis Moholo ed in mille altre esperienze. Il contrabbasso nelle sue mani è diventato violoncello, si è disteso nei suoni gravi o acuti prodotti con l’arco, ha viaggiato in un pizzicato saturo di swing. Di Ivano Nardi si conosce l’arte percussiva “poetica”, il suo lavoro di sottrazione e di enfasi, la capacità di dare spessore emotivo ad ogni intervento sullo strumento. Carola De Scipio ha estratto brevi frammenti dalle testimonianze su “Max”, privilegiando i primi anni della carriera, il senso dell’ironia, la particolare concezione dello spazio-tempo; Cristina Di Patrizio ha letto-recitato-cantato una poesia di David S.Ware intrisa di spiritualità. La messa a fuoco dei singoli performer non rende quanto espresso nel recital, nato dall’intreccio e dal dialogo che l’Ivano Nardi Trio + 2 ha creato, in un clima di dolente e misteriosa attesa, di forte tensione, di rapimento narrativo.
Il trio del chitarrista (e didatta) Matteo Brandani ha visto al basso Antonio Rubino ed alla batteria Simone Quarantini. Funky, rock-blues, jazz elettrico sono emersi nel linguaggio della formazione, dal suono “aggressivo” e personale mentre il leader – diplomato in jazz a S.Cecilia, con esperienze formative e concertistiche negli Usa – ha mostrato un fraseggio non derivativo ispirato a John Scofield.
Molto applaudito il Formichella / Arduini quintet (con l’originale Enzo Pecchenedda alla chitarra, il propulsivo Mauro Nota al contrabbasso e l’energico Lucio Turco alla batteria), dato che Tony Formichella è solista e compositore di qualità – oltreché da decenni una presenza carismatica a Monte Mario e nella scena romana – e Stefano Arduini uno degli apprezzati docenti di sassofono dell’Esacordo (insieme a Mauro Massei). Nel loro set si sono ascoltate composizioni di Formichella (come la ballad “You and Me”) e standard quali “All the Things You Are”, giocate sull’alternanza/compresenza dei sax tenori dei due leader, aromatizzate dall’accompagnamento e dagli interventi solistici di Pecchenedda. (altro…)

I NOSTRI CD. Novità dall’Italia e dall’estero

a proposito di jazz - i nostri cd

Matteo Addabbo – “Bugiardi nati” – abeat 550
bugiardi-natiAtmosfere d’antan ma assolutamente gradevoli quelle ricreate dal trio composto da Matteo Addabbo all’organo Hammond, melodica e voce, Andrea Mucciarelli alle chitarre elettrica e acustica, Andrea Beninanti alla batteria e al violoncello con la vocalist Giulia Galliani ospite d’onore nel solo brano “Sempre le solite frasi”. Il gruppo si misura su un repertorio di dieci pezzi tutti originali composti dallo stesso Addabbo eccezion fatta per “Remember Sammy Jankis” e “Un altro principio” firmati da Andrea Mucciarelli. Come accennato, il clima che si respira è quello che caratterizzava l’opera di celebri organisti americani quali Jack McDuff , Larry Young e ovviamente Jimmy Smith. Quindi un ‘soul’ a tratti trascinante in cui l’organo Hammond si carica sulle spalle la parte della tastiera e del basso. A questo punto sorge spontanea una domanda: ha ancora senso proporre una musica del genere? So bene di attirarmi le critiche dei “modernisti” a tutti i costi ma la mia risposta è SI’ a patto che siano rispettate alcune condizioni: l’onestà intellettuale di chi questa musica propone e la volontà di introdurre un quid di personale. Nell’album in oggetto queste due condizioni mi sembrano rispettate: in particolare, per quanto concerne gli elementi di originalità, gli stessi vanno ritrovati nel fatto che nello stile, nelle composizioni di Addabbo si notano riferimenti sia ad organisti più moderni sia a quella ricerca melodica che da sempre caratterizza la musica made in Italy.

Luca Aquino & Jordanian National Orchestra – “Petra” – Talal Abu-Ghazaleh International Records
petraCapita raramente… ma capita che un album si qualifichi non solo per il suo contenuto musicale ma anche e soprattutto per i suoi significati che vanno ben al di là del fatto squisitamente musicale. E’ il caso di questo “Petra” prodotto dalla Talal Abu-Ghazaleh International Records, una nuovissima etichetta fondata con lo scopo di sviluppare e sostenere l’industria musicale in Giordania e presentato il 23 luglio, insieme all’Orchestra Nazionale Giordana, diretta da Sergio Casale, nel sito archeologico di Petra. Il progetto è promosso dalla campagna globale UNESCO #Unite4Heritage e i ricavati della sua vendita andranno al sito Unesco di Petra e alla JOrchestra.‬‬ E non credo ci sia bisogno di ulteriori parole per sottolineare l’importanza di una iniziativa del genere. Dal punto di vista squisitamente artistico, si tratta di un’ulteriore prova di grande maturità del trombettista Luca Aquino sempre alla ricerca di situazioni e soluzioni che possano dar risalto alla propria musica. Di qui la scelta di ‘Piccola Petra’, parte del Parco Archeologico di Petra, quale sito ove effettuare una registrazione. E i risultati sono sorprendenti: il potenziale acustico del sito si rivela davvero superbo fornendo alla tromba del leader tutta una serie di riverberi che conferiscono all’ensemble una ineguagliabile peculiarità. Anche perché nella musica proposta da Aquino e compagni si mescolano, in un unicum di grande originalità, echi provenienti da varie realtà: l’organico comprende il trio italiano composto da Luca Aquino (tromba e musiche), Carmine Ioanna (fisarmonica), Sergio Casale (flauto e arrangiamenti), i musicisti dell’ensemble della Jordanian National Orchestra, la violinista tedesca Anna Maria Matuszczak, il contrabbassista siriano Bassem Al Jaber, il percussionista Brad Broomfield di New Orleans, il violista armeno Vardan Petrosyan e l’oboista rumeno Laurentiu Baciu. In programma nove brani tutti scritti dallo stesso Luca Aquino con l’eccezione di “Smile” di Charlie Chaplin la cui interpretazione è forse una delle pagine più belle dell’intero album.

Rino Arbore – “The Roots of Unity” – Dodicilune 345
the-roots-of-unityIn questo nuovo progetto discografico, il compositore e chitarrista pugliese Rino Arbore è affiancato da Mike Rubini (sax e flauti), Pippo D’Ambrosio (batteria e percussioni) e da Michel Godard (tuba e serpentone). L’album indaga sul concetto di unità prendendo spunto dalla “coincidenza” iconografica della madonna addolorata con la donna musulmana. In senso musicale, la sovrapposizione di queste due immagini porta, secondo Arbore, all’identificazione di un linguaggio che muovendo dalle tradizioni popolari si muove verso un futuro incerto che comunque tende ad unificare le influenze della religiosità araba e bizantina presenti in Puglia con la religiosità e i riti di matrice cattolica. Di qui una musica di certo non semplice, che nulla concede al facile ascolto, con sonorità alle volte stranianti prodotte da un organico inusuale data la copresenza di chitarra, tuba e serpentone. Le composizioni, tutte di Rino Arbore, prendono spunto dalla tradizione popolare ma vengono elaborate in modo tale che, come accennato, il risultato finale, oramai lontano dal jazz, si avvicina molto da un canto alla musica da camera dall’altro a quella che comunemente si definisce ‘libera improvvisazione’, nonostante la presenza di strutture alle volte ben definite. Si ascolti, al riguardo, “Mother (Addolorata)”, un brano complesso, caratterizzato dalle libere improvvisazioni di Rubini, del leader e soprattutto di Godard che alla tuba riveste il duplice ruolo di solista e poi di strumento ritmico insieme alla batteria di D’Ambrosio . Ed in effetti in tutto l’album appare particolarmente significativo il contributo di Michel Godard , da anni tra i più importanti ed attenti studiosi dei rapporti tra musica popolare e improvvisazione jazzistica. Ciò, ovviamente, senza alcunché togliere agli altri musicisti con Rubini che si conferma uno degli “altisti” più originali del panorama sassofonistico non solo italiano (lo si ascolti specialmente in “Flowers (to Ornette Coleman)” e Arbore la cui chitarra costituisce il vero e proprio collante dell’intero album.

Jesper Bodilsen – Acouspace Plus – “TID” – Family Music Production 201601
acouspace-plusPer questo album di debutto di “Acouspace Plus” il contrabbassista danese Jesper Bodilsen ha chiamato a collaborare due sassofonisti, Claus Waidtløw e Joakim Milder, e Spejderrobot all’elettronica. Una tantum particolarmente significativi sia il nome del gruppo sia il titolo dell’album: in effetti lo Spazio-Acustico collocato nel Tid (Tempo) è forse la chiave di lettura più appropriata per gustare la musica di Bodilsen e compagni. Una musica in cui l’elettronica gioca sì un ruolo importante ma non di primissimo piano: è lì, in sottofondo, a costruire, un tappeto su cui si inseriscono gli interventi degli altri tre che in uno spazio acustico costruiscono linee improvvisate che non disdegnano una certa cantabilità. Il tutto esaltato da un sound particolare determinato dall’originalità dell’organico, senza pianoforte e batteria. Così Bodilsen ha modo di evidenziare la sua sapienza strumentale che gli consente di legare il tutto senza far rimpiangere l’assenza di strumenti armonici e percussivi non rinunciando, per questo, a interventi solistici. Le atmosfere sono spesso rarefatte, alle volte oniriche, influenzate da una certa malinconia sin dal brano di apertura, “Snowland” in cui si apprezza, tra l’altro, il sound pieno, corposo, chiaro del contrabbasso di Bodilsen mentre i due sassofoni iniziano quel dialogo che sarà costante per tutta la durata dell’album. A chiudere una riproposizione di “Blue Monk” che riesce a dire qualcosa di nuovo e personale su un brano che è stato interpretato davvero centinaia di volte.

Till Brönner – “The Good Life” – Okeh 88875187202
the-good-lifeAmate un tipo di jazz di non difficile lettura, che non sperimenti alcunché ma che si proponga con una serie di standard ottimamente eseguiti? Se la risposta è affermativa, questo è un album imperdibile. Vi si ascolta colui che a ben ragione è il musicista jazz tedesco più noto in Europa. Trombettista dalla raffinata tecnica e dal suono particolarmente coinvolgente, nonché vocalist di rara sensibilità, Till Brönner ha vinto il prestigioso premio tedesco Echo Jazz ed è stato nominato svariate volte per i Grammy. In questa sua fatica discografica si presenta alla testa di un quintetto completato da John Clayton al contrabbasso, Anthony Wilson alla chitarra, Larry Goldings al piano e Jeff Hamilton alla batteria a costituire una sezione ritmica da sogno. In repertorio due sue composizioni originali – “Her Smile” e “The Good Life” – e ben undici gemme del songbook americano, brani celebri portati al successo da artisti del calibro di Frank Sinatra, Nat King Cole, Billie Holiday. Brönner non ha paura di confrontarsi con simili modelli e sciorina tutte le sue capacità sia di arrangiatore sia di esecutore. Riascoltiamo così, ad esempio, “Sweet Lorraine”, “For all we know”, “Love Is Here To Stay”, “I Loves You Porgy” , “I’m Confessin’ that I Love You” in versioni che, nulla perdendo dell’originario fascino, trovano nuova linfa nelle eleganti e sofisticate interpretazioni di Brönner che, con questo album, si iscrive definitivamente nella grande tradizione dei cantanti-strumentisti, alla Nat King Cole tanto per intenderci.

Santi Costanzo – “Deeprint” – Improvvisatore Involontario 048
deeprintcopertina-1E’ una sorta di miracolo che una terra come la Sicilia in cui le opportunità di lavoro non abbondano (per usare un eufemismo) continuino a germogliare tanti artisti talentuosi anche nel campo del jazz. A questa nutrita schiera si iscrive di diritto il catanese Santi Costanzo al suo album di debutto. Alla testa di un quartetto del tutto inusuale con Alessandro Borgia alla batteria, Carlo Cattano alto flauto e sax baritono e Fabio Tiralongo flauto, sax soprano e tenore, Costanzo – alla chitarra elettrica – ci presenta otto sue composizioni innervate da un linguaggio che nulla concede al facile ascolto. Siamo in territorio “free” o se preferite di composizione estemporanea in cui l’artista ha modo di evidenziare la sua conoscenza dell’universo musicale globalmente inteso, con assonanze non secondarie con la musica classica contemporanea. Affascinante il sound che Costanzo è riuscito a creare con un organico contrassegnato dall’assenza del contrabbasso per cui molta responsabilità è ricaduta sulle spalle dei due ‘fiatisti’ e dello stesso leader che si è assunto l’ingrato compito, oltre che di compositore dell’intero repertorio, di ricondurre ad unità quelle varie influenze cui prima si faceva riferimento. Altra notazione tutt’altro che secondaria: pur dopo diversi ascolti è difficile distinguere tra improvvisazione e parte scritta e questo va a tutto merito di chi queste pagine ha scritto e arrangiato.

Miles Davis – “Miles Ahead – Original Motion Picture Soundtrack” – Columbia 88985306672
miles-aheadEcco uno di quegli album che non esiterei a definire imperdibile: contiene, infatti, la colonna sonora del film “Miles Ahead” del 2015 diretto da Don Cheadl che narra la vita di Miles Davis. Il film è uscito nella sale statunitensi nell’aprile scorso ottenendo riscontri piuttosto positivi. Comunque, al di là delle valutazioni che si possono esprimere sul film, la colonna sonora è semplicemente superba non fosse altro che per la presenza di molti brani incisi dallo stesso Davis, brani che nel film rispettano un ordine cronologico, cosa che nel CD non avviene. Le 24 tracce documentano l’ arte di Miles dal 1953 al 1981 con 11 titoli, con l’aggiunta di otto brevi parti recitate da Don Cheadle che ricrea la voce rauca di Davis e cinque titoli di Glasper con ospiti tra gli altri Herbie Hancock, Wayne Shorter, Esperanza Spalding, Antonio Sanchez… Così, mentre il film si apre con “Prelude (Part 2)” dall’ album Agharta del 1975, la prima traccia del CD è “Miles Ahead” inciso nel 1953 con John Lewis (p), Percy Heath (cb), Max Roach (d), dopo di che si affrontano i vari periodi della vita di Miles contrassegnati da diversi episodi musicali, tra cui “So What” da “Kind of Blue” del 1959, “Nefertiti” dall’album omonimo del 1967 che rappresenta l’ultima fatica del quintetto acustico di Miles prima della “svolta elettrica”, “Frelop Brun” da “Filles de Kilimanjaro” ambedue del 1968, “Duran” e “Go Ahead John” da “The complete Jack Johnson Sessions” del 1970. Le composizioni di Robert Glasper nulla tolgono all’omogeneità dell’album … anche perché in questo periodo Glasper sta molto studiando la musica di Davis tanto da registrare un album a lui dedicato e di cui parliamo in questa stessa rubrica.

Miles Davis & Robert Glasper–“Everything’s Beautiful” – Columbia 88875157812
everythings-beautiful-glasperIl titolo del disco, così come scritto, potrebbe trarre in inganno qualche lettore più giovane: in realtà l’album contiene composizioni di Davis ma non da lui interpretate, anche se quello del trombettista resta l’universo di riferimento. Da tenere presente che l’album esce subito dopo il successo del film Miles Ahead della cui colonna sonora parliamo in precedenza. Qual è, dunque, il senso dell’operazione portata a compimento da Robert Glasper pianista che ben conosce la storia del jazz? A nostro avviso quello di realizzare una produzione che potesse accontentare allo stesso tempo gli appassionati del jazz e il pubblico più giovane. Obiettivo raggiunto solo a metà. In effetti la musica di Davis resta un capolavoro così come è stata scritta e certe rivisitazioni, per quanto cerchino di introdurvi elementi di novità, mai raggiungono la bellezza dell’originale. E questo album non fa eccezione. Invece, per quanto concerne i gusti del pubblico giovane, siamo sicuri che Glasper avrà fatto centro anche perché è stato capace di radunare alcuni degli idoli della moderna musica nera (che come ben sappiamo è ben diversa dal jazz propriamente detto); abbiamo quindi l’opportunità di ascoltare, tra gli altri, Bilal, Illa J, Erikah Badu, gli australiani Hiatus Kaiyote, Stevie Wonder… accanto ad alcuni campionamenti del Miles periodo Columbia e di Joe Zawinu. L’esito del tutto è un album sicuramente ben studiato, ben ‘suonato’, sotto certi aspetti accattivante ma, ovviamente, ben distante dall’originale. (altro…)