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a proposito di jazz - i nostri cd

Antonio Apuzzo Strike!, “Songs of Yesterday, Today and Tomorrow” (dodicilune, Ed.355).

Da tre decenni Antonio Apuzzo – polistrumentista e compositore romano – esplora il linguaggio di Ornette Coleman. Come fece Steve Lacy con Thelonious Monk, Apuzzo è da tempo giunto ad una totale metabolizzazione della poetica di Coleman che gli consente di mettere a fuoco la sua, tanto autonoma quanto interrelata con quella dell’altista texano. E’ da notare, poi, che in Europa e negli Usa pochi sono i “discepoli” di Ornette la cui musica, a più di cinquant’anni dalle prime uscite discografiche, è spesso rimossa o sottovalutata da neofiti – e non – del jazz. Apuzzo mette in rilievo la valenza (e potenza) vocale e canora di Coleman, utilizzando veri e propri testi ora in italiano ora in inglese cantati dalla valente Costanza Alegiani, figura di compositrice e vocalist tra le più interessanti del panorama jazzistico-contemporaneo peninsulare. Purtroppo le liriche non sono inserite nel Cd ed è un peccato perché il legame simbiotico tra parole e musica in Apuzzo è forte, intenso, rivelatorio. “In un tempo lontano” e “Sounds of love, pain and fear” sono opera del leader; ad Ornette appartengono “Sadness – Long time no see” e “A Girl Named Rainbow”, mentre “Deporta il tempo nel futuro” è di Jolanda Insana, “Peel the paint” di K.Minnear/D.Shulman/P. Shulman/R.Shulman, “Eclipse” di Charles Mingus, “Lonely Woman” di Margo Gunyan e “Song of Endless Time” di Dylan Thomas. Anche l’uso intimamente sonoro delle liriche potrebbe essere un altro tratto in comune con Lacy, forse una semplice ma significativa coincidenza. Si tratta, infatti, di due artisti che hanno portato avanti con coerenza rigorosa e profonda ispirazione la propria poetica, senza cedere a nessuna tendenza esterna e seguendo un percorso di creativa trasformazione interiore a stretto contatto con il mondo nelle sue incessanti modificazioni. Personalmente – e non da oggi – ritengo Antonio Apuzzo un musicista straordinario, uno strumentista fuori dal comune su tutti i suoi strumenti (sax alto e tenore, clarinetto e clarinetto basso), un compositore innovativo che poco (o nullo spazio) ha avuto sulla scena nazionale ed europea, senza per questo rinunciare ad una produzione di alto livello e ad una significativa azione didattica, formativa, sociale (è stato tra gli animatori della Scuola Popolare di Villa Gordiani, a Roma).
“Songs of Yesterday, Today and Tomorrow” lo dimostra. Il leader utilizza un quintetto con la Alegiani, Luca Bloise (marimba e percussioni), Sandro Lalla (contrabbasso, musicista di valore da sempre al fianco di Apuzzo) e Michele Villetti (batteria e percussioni). Con un numero limitato di musicisti, la musica ha sempre uno spessore orchestrale, un’ampiezza di respiro, una polifonia di voci che integra, arricchisce, contrappunta quella del leader. Gli undici brani sono legati da brevi episodi – spesso in solo – che cuciono le stoffe di un grande arazzo di sentimenti, situazioni, riflessioni. L’elaborazione del dolore e il fluire inarrestabile del tempo non portano la musica di Apuzzo in un orizzonte nostalgico ma scrittura ed improvvisazione sono lucide e appassionate, convinte a vivere-suonare fino all’ultimo respiro, a catturare l’umanità della vita fino al grido finale, a quello “Strike!” che suona come una non consolatoria speranza. Ho sempre poco creduto alle classifiche ed ai referendum (pur partecipando da decenni alle consultazioni) ma penso che questo disco (peraltro prodotto da Antonio Apuzzo e Gabriele Rampino) sia uno dei più significativi dell’anno, se si considera il jazz come una musica non consolatoria ma di passione e avanguardia, non nel senso retorico ma come capacità di leggere il presente, guardare al futuro con le radici ben piantate nel passato.

Mauro Ottolini & Sousaphonix, “Buster Kluster” (Azzurra Music DPB 1032).

Questo è un album altamente “sinergico” che esalta gli incroci e le intersezioni tra linguaggi, l’arte e la produzione culturale. L’omaggio rigoroso alla figura di Buster Keaton, alle musiche dei suoi film e all’epoca in cui visse l’attore-regista principe del muto è stato registrato dal vivo all’auditorium Rai di Torino nel 2014 e prodotto dall’etichetta di Ottolini in collaborazione con il Torino Jazz Festival (il cui direttore artistico è Stefano Zenni, valente musicologo e storico del jazz nonché appassionato ed erudito cinefilo). Il TJF, nella sua multiforme programmazione, ha una sezione dedicata a cinema e jazz, due arti “popolari e colte” che hanno vissuto (e caratterizzato) in parallelo e con fitti e fecondi incroci la storia degli Usa nel secolo scorso. In quest’ambito, Zenni ha commissionato a Mauro Ottolini ed al suo tentetto Sousaphonix una nuova colonna sonora per “Seven Chances”, capolavoro del muto realizzato da Buster Keaton nel 1925. “Questo film, tra i suoi più radicali ed iperbolici, richiede – precisa il direttore del TJF nelle note di copertina – un trattamento particolare: procede senza tregua a velocità mozzafiato, è costruito in un crescendo paradossale di situazioni comico-drammatiche, e però al tempo stesso gioca di cesello sulle singole inquadrature, su ogni minima gag e dettaglio drammaturgico. Inoltre il folle, infernale meccanismo della storia trascende il periodo storico e rende il film sempre vivo, attuale e molto, molto divertente” (la pellicola con la nuova colonna sonora è visibile in Internet: https://vimeo.com/167765192).
Ottolini e la sua fedele band (Vanessa Tagliabue, Vincenzo Vasi, Roberto De Nittis, Enrico Terragnoli, Guido Bombardieri, Paolo Degiuli, Dan Kinzelman, Paolo Botti, Danilo Gallo e Zeno De Rossi) uniscono ad una ferrea competenza per il jazz delle origini una padronanza originale di altri linguaggi jazzistici, specialmente delle avanguardie: i Sousaphonix, guidati dal trombonista e dalla vocalist Tagliabue, sono stati peraltro già autori di escursioni storico-immaginarie di grande respiro e fantasia. Nei diciassette brani per “Seven Chances” utilizzano tre nuove composizioni (“Waltz for Mary”, “Crisis Program”, “Seven Chances”) montandole con ragtime, blues, canzoni degli anni Dieci, Venti e Trenta (tra jazz e musica leggera), in un fitto gioco fra filologia ed apertura improvvisativa. Fred Rose, W.C.Handy, Irving Berlin, Victor Young, Alberta Nichols tra i compositori prescelti , uniti a Scott Joplin (una poco nota canzone del 1907, “When Your Hair Is Like the Snow”) e allo sconosciuto songbook di Kjeld Bonfils, uno dei padri del jazz danese. Il risultato rispecchia in pieno la pellicola di Keaton e la copertina che ritrae il comico ed il trombonista a fianco, accomunati da un enigmatico sorriso, ben sintetizza questa risonorizzazione di grande qualità e godibilità: una sorta di documentario sonoro dentro il primo trentennio del Novecento, con tutti gli aromi ed i colori musicali di un”epoca fitta di sperimentalismi e di creazione di nuovi linguaggi, rivolti ad un vasto pubblico. Polifonie, intrecci timbrici, voci e megafoni, ottoni e corde, strumenti giocattolo e theremin disegnano un panorama sonoro di vasta policromia “sentimentale” tipicamente keatoniana.

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