Emma Salokoski Amo la musica finlandese

 

Emma, come è affettuosamente chiamata in Finlandia Emma Salokoski (Helsinki 1976), è artista poco conosciuta nel resto dell’Europa ma amatissima nel suo Paese e in tutta la Scandinavia. Artista versatile, affronta con estrema disinvoltura un repertorio assai vasto che va dal jazz alla bossa nova, dal pop alle canzoni per bambini.

Il tutto porto attraverso un linguaggio semplice ma non banale sorretto da approfonditi studi che l’hanno qualificata, altresì, come eccellente didatta nel campo della tecnica vocale. E dato che il pubblico italiano poco la conosce, vale la pena spendere qualche parola sulla sua formazione artistica. Emma studia viola ‘classica’ dagli undici ai diciotto anni dopo di ché si trasferisce in Svezia per studiare teatro musicale ed in effetti le sue prima esperienze professionali le fa proprio in questo tipo di spettacolo. Tornata in patria, studia canto jazz e nel 1999 fonda il gruppo ‘Quintessence’ che debutta, discograficamente parlando, nel 2001 con l’EP ‘White Light”, seguito l’anno dopo da un vero LP ‘Talk Less Listen More’ per la Texicalli Records. In questo stesso periodo Emma costituisce un proprio trio che, tempo dopo, diventa quintetto; il successo arriva nel 2005 con la pubblicazione dell’album ‘Kaksi Mannerta’ che entra tra i ‘Top Five’ degli album finlandesi. Non a caso sempre nel 2005 la Salokoski vince il premio come Miglior Artista Donna dell’anno nell’ambito degli Emma Awards (Ethnic Multicultural Media Awards). Nel 2015 è pubblicato un ulteriore album, “Kiellettyjä Asioita” In questi ultimi anni, Emma ha vieppiù rafforzato il ruolo di primaria protagonista della scena musicale finlandese al di là di qualsivoglia etichetta, come lei stessa conferma nel corso dell’intervista che qui di seguito pubblichiamo.

 

-La sua arte canora si estrinseca su vari terreni, anche assai diversificati tra di loro. Sostanzialmente lei si considera una vocalist jazz?

“E’ difficile rispondere a questa domanda perché io stessa ho sempre cercato di non restringere la mia musica nell’ambito di una casella ben precisa. Nella mia vita artistica ho sempre cantato un sacco di cose, dalle canzoni per bambini alla bossa nova, dal pop  al jazz influenzato dalla folk music. Ad esempio anche quando sono stata invitata a Festival di Jazz, come il Kaamos Jazz Festival,  ho presentato un programma molto più vicino alla musica cantautorale piuttosto che al jazz ed è quindi curioso il fatto che mi chiamino in questi festival, probabilmente perché il mio genere è troppo difficile da definire per i finlandesi. Tanto difficile che normalmente mi considerano cantante jazz anche se non lo sono in senso stretto”.

 

-Lei ha viaggiato molto nel corso della sua carriera. Quanto ha influito tutto ciò sulla sua musica?

“Si ho viaggiato molto ma in questi ultimi tempi meno di prima anche perché, nella mia carriera, ho sempre privilegiato la musica finlandese. Il mio pubblico è soprattutto finlandese. Però sono apprezzata anche in Giappone. Mio marito, Olavi Louhivuori, è un batterista jazz che dovrebbe essere conosciuto anche dal pubblico italiano in quanto sta lavorando con Claudio Filippini (in effetti molti gli album pubblicati in Italia in cui figura questo eccellente batterista n.d.r.); ebbene quando lui ha effettuato una tournée in Giappone per suonare il suo jazz mi ha raccontato di aver ascoltato la mia musica, in finlandese, in qualche bar, ristorante non ricordo con esattezza dove. Credo sia stato divertente ascoltare una bossa nova tradotta in finlandese in un bar del Giappone. Quindi evidentemente c’è una parte di pubblico a cui piace la mia musica anche lì. Comunque al momento non intendo andare all’estero”.

 

-Lei è nello stesso tempo vocalist, compositrice, attrice. In quali panni si sente più a suo agio?

“Io ho iniziato la mia carriera nel musical, dopo di che ho avuto piccoli ruoli in alcuni film. E per diversi anni non ho più recitato. Adesso sto scrivendo musica per un teatro musicale e per un coro che dirigo. Comunque per rispondere alla sua domanda, mi piace fare di tutto, mi piace diversificare il mio lavoro, mi piace essere cantante, compositrice, attrice quando ci riesco. Sono quel tipo di persona che non ama fare una sola cosa, che non vuole annoiarsi con ciò che fa. Ogni tanto ho bisogno di rinfrescare le mie idee; probabilmente imparerei di più se facessi le cose più a lungo, se dedicassi più tempo ad una cosa sola ma, come già detto, mi piace variare, è nella mia indole.  Quando ho iniziato a occuparmi di musica, dapprima sono stata presa dalla bossa nova, quindi dalla musica folkloristica finlandese dopo di ché ho inciso il mio primo disco jazz in svedese. Adesso sono impegnata a scrivere le mie canzoni e a dirigere un coro, attività che mi appassiona e che mi è indispensabile per la mia creatività”

 

-Come avviene il suo processo compositivo?

“In realtà mai mi sono considerata una compositrice a tutto tondo. E’ vero, ho cominciato a scrivere canzoni: ho avuto, altresì, modo di scrivere una nuova musica per il coro ma ancora non ho piena fiducia di poter scrivere una canzone completamente da sola, parole e musica. Così c’è qualcuno che mi aiuta per la progressione degli accordi o per disegnare la linea melodica, anche perché quando faccio da sola commetto ancora qualche errore.  Sto approfondendo il tema della composizione. Comunque, a questo punto della mia vita, realmente non m’importa tanto se le mie canzoni suonano un po’ impacciate, scrivo con lo stesso spirito di un bambino.  Io sono solo una principiante nel campo della composizione”.

 

-Lei è anche una quotata didatta. Cosa può dirci circa questa attività?

“Io resto soprattutto una cantante, ma insegnare può essere molto interessante e anche divertente. E’ interessante sottolineare come, adesso che io insegno, riesco a capire molto meglio ciò che i miei maestri volevano comunicarmi, trasmettermi. Ho sempre cercato, quando insegno, di instaurare un clima gioioso, di divertimento: non c’è alcun bisogno, per studiare canto, di essere musoni e seriosi. Ciò non significa che si debba essere tutti d’accordo; ci sono vari modi di fare bene le cose: alle volte si instaurano delle discussioni anche accese e a me piace creare una sorta di ponte tra le varie posizioni sì da giungere ad un punto di sintesi”.

 

-E’ possibile in Finlandia vivere dignitosamente cantando qualcosa di diverso dalla pop-music?

“E’ molto, molto difficile. Io sono stata molto fortunata in quanto ho potuto fare una carriera rapida e fruttuosa, ho incontrato i musicisti giusti con cui collaborare, ho potuto varare dei progetti che hanno interessato un buon numero di persone. Come dicevo è molto difficile; io ci sono riuscita ma sono stata fortunata. Ci sono molti miei colleghi, talentuosi, che purtroppo non hanno avuto la stessa fortuna. ”.

 

-Ha un sogno musicale?

“Ho un sacco di sogni ma ho un po’ di paura a disegnare in modo chiaro un quadro dei miei desideri in quanto se elaboro un’idea ben precisa, allora devo assolutamente raggiungerla. So che a molte gente piace avere sempre un obiettivo preciso da raggiungere. A me no, perché se mi pongo un obiettivo e non lo raggiungo ci resto molto male, se invece lo raggiungo può anche darsi che si riveli diverso da come me l’aspettavo. Per il momento cerco di restare concentrata su ciò che faccio e resto ovviamente aperta a qualsivoglia ispirazione”.

 

 

 

OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL – edizione 38 – La terza giornata

SABATO 24 MARZO, TERZA GIORNATA

La conclusione dell’ Open Papyrus Jazz Festival è affidata al duo Stefano Benni e Umberto Petrin con il loro recital per voce recitante e pianoforte, Misterioso, e alla Lydian Sound Orchestra di Riccardo Brazzale con un progetto creato per il 50′ anniversario della morte di Martin Luther King. Due spettacoli consecutivi al Teatro Giacosa, preceduti dalla presentazione del libro Grande Musica Nera – storia dell’ Art Ensemble of Chicago, in cui il curatore Claudio Sessa ha non solo raccontato il suo lavoro ma instaurato un fecondo dibattito anche con il direttore artistico Massimo Barbiero e con i presenti in sala. Non si pensi che il dibattere su un libro alle 18 di un sabato sia così scontato.

Ma andiamo a parlare dei due eventi che hanno concluso questa 38esima edizione.

Per mia scelta i commenti sui concerti saranno, per tutte e tre le serate, divisi in due parti, delle quali la seconda è intitolata ” L’impatto su chi vi scrive” ed è il mio commento personalissimo e dichiaratamente non ammantato di alcuna pretesa obiettività. A prescindere dalla competenza, la musica impatta diversamente a seconda della personalità, della formazione, dei gusti di ognuno.

Teatro Giacosa, ore 21: 30

Stefano Benni e Umberto Petrin
Misterioso
Stefano Benni: voce e recitazione
Umberto Petrin: pianoforte

Uno spettacolo voce recitante e pianoforte su Thelonius Monk, genio un po’ maledetto, figura iconica del Jazz che in un Festival dedicato all’ Elogio della Follia di certo è presenza congrua, nel racconto surreale ma nemmeno troppo di Stefano Benni. Un Monk evocato con parole di volta in volta sanguigne, o rassegnate, o solitarie, o guerresche, o logiche o illogiche, un Monk che parla in prima persona e un Benni trasfigurato in lui. Ma anche una Billie Holiday descritta in maniera potente per chi forse mai ne ha sentito il nome, più familiare per chi il Jazz lo segue. Umberto Petrin, pianista con una poderosa esperienza di interazione con letteratura e poesia, racconta con il suo pianoforte lo stesso Monk di Benni, che prende così forma nella sua duplicità di uomo tormentato e di musicista.

L’impatto su chi vi scrive

Un recital suggestivo, che è volato in un attimo. Intenso l’intreccio dei due lati di Monk – l’uomo (letto da Stefano Benni) e il musicista (suonato da Umberto Petrin). Per chi è immerso nel mondo del Jazz non si tratta tanto di scoprire l’uomo, il musicista, il personaggio (le frasi, le intemperanze, gli episodi raccontati dalle parole di certo non usuali di Benni e dalla bella musica di Petrin non sono nuovi per chi conosce Monk), ma di respirare l’atmosfera della sua vita, del suo sentire, del suo modo di essere.
Per chi invece è un neofita la lettura avrà una potenza diversa che non potrà che portare alla necessità di sapere e ascoltare di più.

Teatro Giacosa, ore 22:30

Orchestra
We insist
Ricordo di Luther King
nel 50° anno della morte
diretta da Riccardo Brazzale
Vivian Grillo: voce
Robert Bonisolo: sax tenore, alto e soprano
Rossano Emili: sax baritono, clarinetto e clarinetto basso
Gianluca Carollo: tromba, flicorno, pocket
Mauro Negri: clarinetto e sax alto
Roberto Rossi: trombone
Glauco Benedetti: tuba
Paolo Birro: piano
Marc Abrams: basso
Mauro Beggio: batteria
e con la partecipazione del
Broken Sword Vocal Ensemble
“Un sogno è sempre a suo modo follia, più quel sogno è grande più deve essere folle, e di certo verrà percepito come tale da propri contemporanei” Così il direttore artistico Massimo Barbiero spiega la sua scelta di inserire questa particolare Big Band nel programma il cui tema è come sappiamo l’ Elogio della Follia.  Il sogno è quello del leader del Movimento per i diritti civili Martin Luther King, del quale quest’anno ricorre il 50° della morte.
Brani intensi, coinvolgenti, tratti dal repertorio di Abbey Lincoln e Max Roach (molto bella Lonesome Lover, ma anche When Malindi Sings), Ornette Coleman (Lonely Woman), e brani originali dello stesso Brazzale (Un capanno di montagna in mezzo al mare) .
Arrangiamenti pensati in chiave black, swinganti, potenti, cuciti su una sezione fiati coesa e trascinante. Una voce femminile duttile e potente, protagonista di molti brani con incursioni nel rap, quella di Vivian Grillo. A contrasto le voci liriche del quartetto vocale Broken Sword Vocal Ensemble e anche un’esibizione da solista del soprano Sara Gramola.

 

Vivian Grillo

Paolo Birro

Sara Gramola

 

                                                               L’impatto su chi vi scrive

Un concerto – spettacolo, molto adatto a chiudere festosamente un Festival (li avevamo incontrati in una situazione simile nel 2016 ad Alba Jazz): è un Jazz d’impegno per la tematica proposta ma allo stesso tempo vigoroso e sgargiante. Vivian Grillo, voce solista, ha potenza e presenza scenica, regge molto bene l’impatto dei volumi notevoli dell’ orchestra, non esita a recitare quando serve e ad esibirsi in sequenze adrenaliniche di rap. Interessante la presenza di un ensemble vocale lirico. Il repertorio presentato si rivela scelta vincente, per l’intensità di brani (vedi Freedom Day) che già di per sé sono una garanzia .

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Per chi ce l’ha fatta, il Festival si è concluso a tarda notte al Caffè del Teatro con Traditional T.S. Jazz Band: Fulvio Chiara: cornet, Roberto Beggio: clarinet, Didier Yon: trombone, Marco Levi: banjo, Valerio Chiovarelli: bass tuba, Marco Pangallo: washboard/bass drum.

 

Yotam Ben-Or, l’armonica che fa impazzire New York raddoppia all’Elegance

“Sitting on a cloud” è l’album di debutto del compositore ed armonicista belga-israeliano Yotam Ben-Or. Racchiude musica composta negli ultimi quattro anni ed esprime le esperienze umane ed artistiche maturate da Yotam durante la sua recente esperienza newyorkese. Il quartetto di Yotam si è esibito recentemente al prestigioso Dizzy’s Club Coca-Cola di NY, culmine di due anni di concerti che hanno portato il gruppo ad approfondire la conoscenza delle composizioni di Yotam, permettendo così alla musica di raggiungere un alto livello di espressività e virtuosismo. Vincitore di full scholarship per la New School for Jazz and Contemporary Music, Yotam si trasferisce a New York nel 2014. Durante questi tre anni si è affermato come uno dei migliori armonicisti in circolazione, collaborando con artisti ed istituzioni di livello internazionale e suonando su prestigiosi palchi come Rockwood Music Hall, Cornelia Street Cafe e molti altri. Il 2018 è l’anno del disco di esordio da leader, “Sitting on a cloud” e’ il trampolino di lancio, la prima prova da solista di un musicista appena ventenne considerato uno dei giovani talenti emergenti del jazz internazionale.
Sul palco Yotam Ben-Or (armonica), Gabriel Chakarji (piano), Alon Near (contrabbasso) e Francesco De Rubeis (batteria).

Giovedì 5 e venerdì 6 aprile
Ore 21.30
Elegance Cafè Jazz Club
Via Francesco Carletti, 5 – Roma
Euro 18 (concerto e prima consumazione)
Infoline + 39 06 57284458

OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL edizione 38, la seconda giornata

VENERDI’ 23 MARZO, SECONDA GIORNATA

La seconda giornata di Open Papyrus Jazz Festival è tradizionalmente quella più corposa e ricca di eventi, che anche quest’anno si sono svolti nella Sala Santa Marta, per la prima parte, e poi al Teatro Giacosa.

Già molta gente in Sala per la presentazione del libro Il Michelone, Nuovo dizionario del jazz. 1200 dischi jazz in 100 anni di Guido Michelone. Le recensioni dell’autore di 1200 dischi di Jazz usciti in 100 anni, che diventa un nuovo dizionario del Jazz. Il pubblico non si è sottratto al fitto dibattito che ne è conseguito.

Alle 19, dopo l’ Aperitivo – Degustazione Consorzio Vini Canavese comincia il concerto di Oba Mundo Project.

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Per mia scelta i commenti sui concerti saranno, per tutte e tre le serate, divisi in due parti, delle quali la seconda è intitolata ” L’impatto su chi vi scrive” ed è il mio commento personalissimo e dichiaratamente non ammantato di alcuna pretesa obiettività. A prescindere dalla competenza, la musica impatta diversamente a seconda della personalità, della formazione, dei gusti di ognuno.

Foto di Carlo Mogavero

Sala Santa Marta, ore 19
Oba Mundo Project
Loris Deval: chitarra classica
Anais Drago: violino
Viden Spassov: contrabbasso
Gilson Silveirapercussioni

Quattro musicisti ineccepibilmente bravi, un progetto nuovo non nell’intento (non è certo la prima volta né sarà l’ultima che si decide di reinterpretare temi famosi da film), ma nuovo nella resa. La presenza di Gilson Silveira indica già che i brani passano per una rilettura in termini ritmici ma anche timbrici e armonici “latin” (ma non manca l’Ucraina e la musica balcanica).
Non è certo un latin da cartolina: suonano benissimo questi tre ragazzi.
Gilson Silveira non è un ragazzo e quasi li tiene a battesimo, lui che è un poeta delle percussioni.
Suonano benissimo, gli Oba Mundo, con la cura di chi la musica l’ha non solo studiata ma  fatta propria e metabolizzata, e di chi il proprio strumento lo padroneggia tecnicamente in maniera perfetta e si può dunque permettere di farne praticamente tutto. Gli assoli della Drago sono ineccepibili e straripanti di energia, il contrabbasso di Spassov è intenso, granitico, offre continui spunti al quartetto non limitandosi all’ accompagnare, la chitarra di Deval è cangiante, i suoi fraseggi connotati da una inesauribile vena creativa. Silveira è una fonte continua di suoni, battiti messi in relazione tra loro con maestria.
I brani abbracciano una bella fetta della storia del grande cinema (da La vita è bella, all’ Orfeo Negro, a Mediterraneo).
La parte tematica è lo spunto per dare il via alla bravura indiscutibile di un quartetto di musicisti fantasiosi e preparati. Le dinamiche sono raffinate, l’interplay impeccabile e la verve improvvisativa notevolissima. Non capita spesso di poter ascoltare ad un festival giovani artisti talentuosi, che cominciano a farsi conoscere al di là delle loro realtà locale. Non capita nemmeno spesso di vedere un musicista affermato mescolarsi così beneficamente e generosamente a musicisti nuovi e dar loro appoggio, fantasia, che sottolineino il loro innegabile estro.


L’impatto su chi vi scrive

Un concerto scoppiettante, pieno di energia, divertente, costruito su musiche molto amate e giustamente molto applaudito.
Il limite del progetto l’ho trovato un po’ nell’applicare, a prescindere, una veste predeterminata  a temi molto diversi tra loro. La Canzone di Geppetto dal film televisivo di Comencini, per fare un esempio, mi è apparsa un po’ più travisata che riletta, mentre se ne sarebbe potuto fare un lavoro bellissimo di interpretazione interiore anche estrema, volendo. I temi vengono utilizzati essenzialmente come mero spunto per le evoluzioni virtuosistiche che seguono. Tra i due estremi della cover e del tema usa e getta preso solo per la sua struttura e poi  ingabbiato in una veste jazzistica preformata ed infilata a qualsiasi costo, c’è tutto un mondo espressivo che può essere infinitamente fecondo. Non a caso, una volta dimenticatami del suddetto tema, ho molto apprezzato le improvvisazioni e le belle introduzioni, che ne erano completamente avulse.
I ragazzi sono più che pronti, io credo, a scrivere e, se lo stanno già facendo, promuovere musica propria,  o a interpretare quella preesistente evitando di decidere “a tavolino” in che modo interpretarla. Lasciandosi andare piuttosto al loro flusso creativo interiore, che è lì che si affaccia prepotentemente e si percepisce vedendoli ed ascoltandoli suonare. Che queste considerazioni li incoraggino perché sono davvero molto bravi.

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Teatro Giacosa, ore 21:30

Helga Plankensteiner and Plankton

 

Helga Plankensteiner: baritone sax, clarinet, voice
Michael Lösch: hammond organ, piano
Enrico Terragnoli: guitar, banjo

Il primo dei concerti al Teatro Giacosa è anche il più interessante e stralunato di tutto il festival, in linea con il tema “Elogio della Follia” voluto dal direttore artistico Massimo Barbiero. Un sestetto dalla poderosa sezione fiati, ma anche con una sezione ritmica in grado di  cambiare registro con disinvoltura e di certo non in maniera didascalica. Helga Plankensteiner ne è la leader, e l’ideatrice, dalla personalità dirompente: eclettica suonatrice di sax baritono, clarinetto e corde vocali, suona per un’ora ed oltre musica originale, in tutti i sensi, intrecciando generi musicali in maniera così creativa che ogni genere viene trasfigurato anche quando sembrerebbe essere replicato fedelmente. Il batterio della creatività si impadronisce del Blues, o dello Swing, o di qualsiasi altra suggestione, modificandoli quasi geneticamente.
Questo è possibile con improvvisi cambi di rotta, di dinamiche, ma anche con una attento studio delle timbriche, appaiando le voci in maniera sempre diversa e quasi sempre a contrasto- il sax baritono con l’hammond, i fiati con il banjo, la voce con la tromba. Ma anche alternando unisoni possenti a improvvisi assottigliamenti che precedono la deflagrazione totale di tutto il sestetto. Matthias Schriefl e Gerhard Gschlössl alle trombe e al trombone sono il controcoro e l’alter ego imprescindibile della Plankensteiner. Enrico Terragnoli è infaticabile e prezioso con i suoi Banjo che ammorbidiscono e armonizzano le digressioni dei fiati. Nelide Bandello lavora come uno strumento armonico oltre che come generatore di battiti. Michael Lösch con l’hammond o con il pianoforte delinea e asseconda l’atmosfera dei brani introducendo anche una bella dose di rigore che, dato il clima sul palco, rende ancora più bizzarro il risultato finale.









L’impatto su chi vi scrive

E’ quel concerto che in un Festival, in mezzo ad altre proposte, mi aspetterei sempre di vedere: nomi meno di richiamo e un palcoscenico che permetta loro di farsi conoscere un po’ di più.
Musica divertente, diversa da quella che si incontra nei circuiti soliti, eppure con un livello di complessità notevole. Giocosa, circense, teatrale, stramba, intensa, energica, totalmente originale, con ampi stralci di improvvisazione che non si limita però ad assoli che si alternano ordinatamente, ma che esplode in momenti anche collettivi imponenti, di cui l’impatto è notevole. Ma anche apprezzabili “cornici” di musica scritta che contrasta mirabilmente con le parti più libere. Un concerto curioso e attraente.

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Teatro Giacosa, ore 22:30
Enrico Rava New 4ET

Enrico Rava: flicorno
Francesco Ponticelli: contrabbasso
Enrico Morello: batteria

Il concerto di Enrico Rava in quartetto è l’evento del Festival, il nome celebre capace di attrarre anche il pubblico meno avvezzo al Jazz. Ed Enrico Rava non delude nemmeno stavolta.
Solo brani originali: “Inutile che ve li annunci, sono tutti brani originali”, dice lui stesso.
Brani originali, e il timbro inconfondibile del flicorno di Rava, i suoi fraseggi essenziali (in quanto a “numero di note” usate) e anche in virtù di ciò ricchi per intensità, dinamiche, efficacia espressiva. Con il suo trio Rava  si mette continuamente in gioco: dialoga moltissimo con Diodati, quasi un alter-ego elettrico, lascia molto spazio a chitarra, contrabbasso, batteria lasciando che si apra una finestra su un gruppo di per sé notevolmente interessante: un concerto nel concerto, in pratica. La batteria di Morello passa agevolmente dal soffio alla potenza massima,  sempre modulata da un controllo totale che ne rende intellegibile ogni istante di ogni successione ritmica, anche la più ardita. Il contrabbasso di Ponticelli è in continua proficua interazione ritmico – armonica con chitarra e batteria. Diodati è un chitarrista dalla personalità musicale ben spiccata, che padroneggia il suo strumento non smettendo mai di sperimentare.










L’impatto su chi vi scrive

Non si può che dire bene di un concerto come questo. Mai nulla di musicalmente scontato. Un musicista pressoché leggendario, che da sempre continua a rimettersi in gioco con musicisti nuovi – giovani – o semplicemente diversi da altri con cui ha interagito in precedenza. Il suo carisma e la sua personalità artistica ne escono sempre rafforzati. Il tre giovani artisti sul palco con lui sono tre talenti del Jazz oramai giustamente affermati,con un loro linguaggio ben riconoscibile e una creatività in continuo divenire. Il dialogo tra i quattro è fitto, è un dialogo tra pari.
In alcuni momenti ho personalmente percepito un certo sbilanciamento tra quella sintesi (intensa) di Rava di cui parlavo sopra, spesso incentrata sul suono in sé,  e la musicalità traboccante di note e battiti del trio con lui sul palco. Quasi certamente questa dualità è cercata e voluta,  e sono consapevole dunque che il contrasto che io sento in alcuni casi come sporadico squilibrio potrebbe per altri rappresentare il valore aggiunto del progetto.

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La nottata è andata avanti fino a notte inoltrata al Caffè del Teatro con i bravi, giovani  e infaticabili The Essence 4tet ( Sara Kari: sax, Emanuele Sartoris: pianoforte, Antonio Stizzoli: batteria e Dario Scopesi: contrabbasso) che hanno animato la nottata con il loro Jazz vitale ed energico

OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL – edizione 38 – La prima giornata


Le foto sono di Carlo Mogavero

 

Elogio della follia era il tema di questo trentottesimo Open Papyrus Jazz Festival che si è svolto ad Ivrea. E la follia è certamente quella di chi ancora si ostina (per fortuna) ad organizzare festival , per di più multiculturali. “Ma è di quello che si ha bisogno per sopravvivere, di una sana follia perché solo quella ci rende liberi. Liberi di danzare sino alla fine perché quel senso di libertà diventa irrinunciabile, nonostante il prezzo che si dovrà pagare.” Uno di questi folli (il virgolettato è suo) è appunto il direttore artistico Massimo Barbiero, che ha al suo seguito (per fortuna) anche un bel numero di folli volontari, giovanissimi, che si fanno in quattro perché tutto vada come deve andare.
E’ così che Open Papyrus è arrivato alla 38sima edizione, che si è svolta come sempre tra musica, presentazioni di libri, spettacoli di danza, degustazioni di vini del territorio, e anche una mostra di pittura presso Sala S.Marta e Caffè del Teatro, a cura di ARTE IN FUGA e GoArtFactory.

Non sono stata purtroppo presente all’ anteprima di sabato 17 marzo, svoltasi con Enten Eller ed il progetto Minotaurus, al museo Garda: un progetto per quattro musicisti e quattro danzatrici
Alberto Mandarini: tromba
Maurizio Brunod: chitarra
Giovanni Maier: contrabbasso
Massimo Barbiero: batteria
Dance: Giulia Ceolin, Roberta Tirassa, Sara Peters , Tommaso Serratore

Sono arrivata ad Ivrea giovedì 22 marzo, primo giorno effettivo di Festival.
I concerti si sono svolti nella bella sala Santa Marta, chiesa sconsacrata ma consacrata alle arti proprio per merito di questo festival, e nel bellissimo Teatro Giacosa. I dopo concerti notturni per la prima volta nel grande spazio del Caffè del Teatro, fino a tarda notte.
Ivrea dunque non è solo Carnevale, oramai da 38 anni.

E allora cominciamo con questo Elogio alla follia, reso ancora più folle dalle imperdibili presentazioni di Daniele Lucca, altro volto imprescindibile del festival, che fluttua tra seria professionalità e guizzi improvvisi di ironia accompagnando il pubblico da un evento all’ altro come un amico intelligente.

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Per mia scelta i commenti sui concerti saranno, per tutte e tre le serate, divisi in due parti, delle quali la seconda è intitolata ” L’impatto su chi vi scrive” ed è il mio commento personalissimo e dichiaratamente non ammantato di alcuna pretesa obiettività. A prescindere dalla competenza, la musica impatta diversamente a seconda della personalità, della formazione, dei gusti di ognuno.

PRIMA SERATA, GIOVEDI’ 22 MARZO 2018

Sala Santa Marta, ore 21:30

Cominoli, De Aloe, Zanchi

Max De Aloe fisarmonica e armonica cromatica
Lorenzo Cominoli, chitarra
Attilio Zanchi, contrabbasso

Il tenero ricordo in musica dell’indimenticato Garrison Fewell, chitarrista e didatta scomparso nel 2015, amatissimo anche dai colleghi musicisti tutti, in un progetto che comprende suoi brani e brani originali.
I brani si susseguono fluidi, i temi sono semplici, esposti alternativamente da De Aloe, Zanchi o Cominoli, i timbri cambiano essenzialmente per l’avvicendarsi di fisarmonica e armoniche cromatiche. Gli assoli, gli scambi, le improvvisazioni sono garbate, in sequenza, lineari, senza sussulti. “A reason to believe” di Attilio Zanchi gode di una introduzione appassionata di fisarmonica. La loop station espande e reitera creando atmosfere sospese ma sempre morbide e lineari.

 

L’impatto su chi vi scrive:

Un jazz easy listening, ottimamente curato, dalla struttura lineare. Un progetto alla base del quale si percepisce, un fondante, sincero trasporto emotivo verso un musicista stimato come pochi altri non solo dal pubblico ma anche nel suo stesso ambiente.

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Sala Santa Marta, ore 22:30

Tre coreografie sulle musiche dal cd di Barbiero, Savoldelli, Zorzi

Coreografie
Francesca Galardi, Cristina Ruberto, Giulia Ceolin

Danzano:
Erika Ricci accompagnata da Eleonora Buratti, Paola Risoli, Anna Calamita di Tria, Elisa Parla, Miriam Buffa, Luciana Trimarchi, Valentina Corrado, Teresa Pedrotta, Demetra Birtone.
Cecilia Boldrin, Alice Mistretta, Alina Mistretta, Arianna Mistretta, Valentina Papaccio, Sara Ugorese, Ilaria Vitale.
Beatrice Benetazzo.

Parlare di danza non è facile per chi, come chi vi scrive, non ne ha la minima competenza. Ho visto l’intento (riuscito), complessivamente,  di rappresentare il male del vivere in un’epoca sorda, cieca, muta, inerme di fronte ai reali bisogni di esseri umani oramai ineluttabilmente inglobati in un prefigurato, angosciante, appiattente conformismo, guidato da meccanismi per nulla in sintonia con una vita libera e felice, un modus vivendi che ci viene imposto dall’alto e che, anche nell’attimo in cui si tenti di distinguersi, implacabilmente ci ottunde, ci soffoca, ci rende irrimediabilmente schiavi, conformi e dunque manipolabili.
Volti angosciati, movimenti distonici, scatti tonici clonici espressivi di fastidio e disagio, bocche spalancate in urli silenziosi, serpeggiare e brulicare di corpi tendenti progressivamente ad una crescente inumanità e che tendono, dopo tanto soffrire, ad una inevitabile fissità dello sguardo: movenze espressive eseguite alla perfezione da tutte le brave ballerine sul palco. Che però, per ringraziare i sentiti applausi del pubblico hanno finalmente sorriso.


L’impatto su chi vi scrive

Ballerine bravissime e intense, coreografie espressivamente molto efficaci.

Il Giacomo Toni Trio in concerto allo Zingarò Jazz Club di Faenza

La stagione dello Zingarò Jazz Club prosegue, mercoledì 4 aprile 2018, con il concerto del Giacomo Toni Trio, formato dal cantante e musicista Giacomo Toni insieme a Roberto Villa al contrabbasso e a Marco Frattini alla batteria. La serata è ad ingresso libero con inizio alle 22.

Giacomo Toni è pianista, autore e compositore. La sua musica spazia dal piano punk al jazz, dal pop-rock alla canzone d’autore. Chi segue i suoi concerti, consoce il suo utilizzo paradossale del lessico e i suoi monologhi improvvisati che legano un brano all’altro.

Il suo ultimo lavoro si intitola Nafta è stato pubblicato nello scorso ottobre per Brutture Moderne. Maturate con la band durante i live e i viaggi in furgone, le canzoni del disco somigliano ai paesaggi agrodolci e ai personaggi stralunati e imprevedibili, presenti nei territori della provincia. Girone dopo girone, si affronta l’emarginazione, la solitudine, la velocità, la prostituzione, il lavoro, l’insolenza, l’eroina, la polizia, fino alla chiusura, in piano e voce, dove si ritorna al suono classico e si parla, appunto, di assenza di amore, che metaforicamente è applicabile anche alla società, al pericolo del disinteressamento sociale, del nichilismo individualista, che probabilmente oggi riguarda un po’ tutti. Un album sporco, grezzo, verace: nessun suono di plastica, ma suoni di trivelle e rombi di marmitte. Una serie di storie che raccontano le vicissitudini di diversi personaggi che si possono incontrare in qualsiasi provincia italiana.

Nell’ultimo decennio, Giacomo Toni si è imposto nel panorama indipendente come cantautore contemporaneo. Le sue canzoni sono a tratti serie e a tratti comiche, ma più spesso serie e comiche insieme. Dietro la scorza strafottente, Toni è tra quelli ancora abili e attenti a giocare con le parole: le sceglie con cura sorprendente, le tratta come se fossero uno strumento musicale. Una maturità nell’approccio stilistico che sapranno accontentare tanto gli intenditori e appassionati del genere quanto i fruitori più liberi, arrivati ad incontrare le sue canzoni in modo casuale e fortuito.

Ha frequentato il Conservatorio Maderna di Cesena per poi dedicarsi allo studio del linguaggio jazz. Nel corso degli anni è stato invitato alle rassegne più prestigiose della nuova musica italiana, come tra gli altri il Premio Tenco e il Pistoia Blues, ed è stato il vincitore di Hitweek nel 2013.

Mercoledì 11 aprile 2018, torna il tradizionale appuntamento dedicato agli Allievi della Scuola Sarti: lo Zingarò Jazz Club offre la sua ribalta ai talenti più interessanti del territorio e guarda a quelli che saranno i protagonisti della nostra scena jazzistica nelle prossime stagioni.

Lo Zingarò Jazz Club è a Faenza in Via Campidori, 11.