Michele Bordoni: fotografo AFIJ del mese di settembre – la gallery e l’intervista

Michele Bordoni

Dopo la pausa agostana, riprende la nostra serie di interviste, con pubblicazione delle relative gallery, ai fotografi dell’Associazione Fotografi Italiani di Jazz AFIJ.
Il mese di Settembre ci porta in Lombardia, nella splendida Valtellina, in questo periodo in cui il foliage, con le sue intense e calde sfumature autunnali, si tinge di verde cinabro, ocra, marrone tennè, vermiglio, regalandoci uno scenario naturale di rara bellezza, nelle sue incantevoli foreste che sembrano uscite da una fiaba.
Qui, in un paesello di neppure cinquemila abitanti che domina la valle dell’Adda, vive il giovane fotografo Michele Bordoni, appassionato di jazz e di sport ma anche innamorato della sua terra. Ognuna di queste passioni entra prepotentemente nei suoi scatti, che catturano bellezza e restituiscono emozioni…
Michele, affascinato dalla fotografia sin da piccolo, grazie alle diapositive di montagna del padre, si avvicina all’arte fotografica solo nel 2009, anno in cui acquista la sua prima reflex.
Oltre alla musica, allo sport e al territorio, affronta nel tempo anche temi diversi quali la lotta alla violenza sulle donne e la valorizzazione del patrimonio culturale e dell’artigianato tipico, sfociati in mostre apprezzate.
Si avvicina al locale festival Ambria Jazz collaborando anche come fotografo, quindi inizia a seguire altri festival e luoghi concentrando le proprie energie nello sviluppo di progetti nell’ambito della musica jazz.
Espone in diverse località prevalentemente valtellinesi, più recentemente anche presso il Jazz Club Ferrara, che frequenta ora abitualmente.
Partecipa nel 2015 a Il jazz italiano per L’Aquila e alle due successive edizioni dedicate ad Amatrice e alle terre del sisma, contribuendo con le proprie immagini alla realizzazione delle omonime pubblicazioni. (Marina Tuni)

– Leggo sulle tue note biografiche che devi a tuo padre e alle sue diapositive di montagna l’inizio del tuo percorso di fotografo, a ventiquattro anni, nel 2009. Quali sentimenti, emozioni, slanci, propositi hanno suscitato in te, giovane uomo, quelle immagini?
«La cosa è forse un po’ strana perché vedere le diapositive su questo grande telo era sempre molto piacevole, ritrovarsi a guardarle e ascoltare quello che rappresentavano suscitava in me grande interesse, soprattutto per quello che trasmettevano.
Poi, non so per quale motivo, ma non avevo mai concretizzato questo interesse prendendo in mano lo strumento in prima persona, forse perché anche mio papà, in quel momento, non scattava più, ma questo non si potrà mai sapere…
Un altro elemento curioso è che nel mio paese si svolgeva molti anni fa un bel festival Jazz, che seguivo talvolta da spettatore, e vedere il fotografo che si muoveva tra pubblico e sotto palco mi ha sempre incuriosito molto. Quindi, oltre ai musicisti, seguivo lui con lo sguardo.
Dopo qualche anno tutto questo è divenuto una realtà con i primi concerti Rock di band locali e poi con il Jazz e la storia continua…».

– Nell’epoca della tecnologia usa e getta e della digital transformation, dove tutto è elaborato, artefatto, ricostruito, filtrato… fa quasi impressione, sicuramente stupisce, sapere che la tua principale preoccupazione non è quella di implementare continuamente la tua attrezzatura e che la tua forma di comunicazione visiva è improntata a trasmettere emozioni dirette e genuine, poco o per nulla edulcorate dai potenti strumenti della post-produzione. Ci spieghi questo tuo modo di proporti?

«L’idea di partenza è quella di riuscire a raccontare in maniera più realistica possibile gli avvenimenti, come avveniva per i fotoreporter di un tempo, quando questa professione è nata, da qui si sviluppa il lavoro.
Negli ultimi anni sicuramente ho anche investito nella dotazione tecnica, è fondamentale riuscire a tenersi aggiornati con le nuove tecnologie; tuttavia, cerco sempre di mantenere l’equilibrio tra realtà e “immaginazione”.
Negli ultimi anni trovo sempre più fotografi con grandi competenze informatiche e questo ha portato nuovi e positivi sviluppi ma a volte si spinge troppo su questo aspetto e poco su quello che è la fedeltà delle immagini e sulla capacità di un fotografo di raccontare un evento; per quella che è la mia esperienza, non è sufficiente fare dei buoni scatti ma la grande sfida e quella di riuscire a concatenarli per raccontare una storia».

– Sei un grande appassionato di jazz ma anche di sport, con le tue foto sviluppi tematiche sociali, come la lotta alla violenza di genere e, soprattutto, guardando le tue foto e le mostre che hai tenuto, appare evidente l’amore che provi per l’ambiente e la terra, la tua Valtellina in primis, e per il suo patrimonio culturale, paesaggistico e artigianale… è così? Cosa ti lega alla tua terra?

«Amo molto la mia terra ed è stato naturale una volta avuta la mia prima vera macchina fotografica raccontare i luoghi della mia vita e molto spesso sono proprio a un passo da casa, come è stato per un mulino su cui avevo “lavorato” quando ero studente e che ho voluto in seguito raccontare con la macchina fotografica; un altro esempio è la latteria dove fino a qualche anno prima la mia famiglia conferiva il latte.
Negli ultimi anni l’impegno con la musica Jazz non mi ha lasciato molto tempo per questi racconti ma vivendo la mia terra per altre mie passioni le idee sono molte e, anche se con meno frequenza, sviluppo con l’obiettivo di approfondire in futuro.
Cerco di unire le mie varie esperienze per creare un racconto personale del Jazz per come lo vivo».

– Da più parti si sostiene che la fotografia è un elemento oggettivo. A mio avviso è esattamente l’opposto dal momento che è il fotografo a scegliere i vari parametri dello scatto. Qual è la tua opinione a riguardo?
«Condivido il pensiero, la fotografia come ogni forma espressiva è soggettiva per molteplici motivi. A partire dagli strumenti che utilizziamo, ma soprattutto da dove arriviamo, il percorso che compiamo ci porta a leggere le situazioni in modi molto diversi.
Quello che fotografiamo è frutto della nostra visione delle cose, con gli occhi vediamo e con il cuore la trasformiamo in qualcosa di tangibile.
Tutto questo è un processo in continua evoluzione, via via che il tempo passa anche le nostre immagini evolvono con noi».

– Una foto ben fatta ha un’anima e soprattutto mostra l’essenza del musicista, quel filo che lo unisce al suo pubblico. Spesso, quando scrivo un articolo, una recensione, mi soffermo a pensare al peso, all’impatto che ogni singola parola potrà avere in chi mi legge… È una grossa responsabilità, non trovi? Capita anche a te di pensarlo per le fotografie che scatti?
È una costante del mio lavoro, anche per questo cerco a ogni concerto diverse prospettive per raccontare la musica e i musicisti in maniera globale, per far sì che quello che uscirà attraverso le immagini sia il più reale possibile e che racconti quello che è realmente successo, sia dal punto di vista dello spettatore in prima fila sia da quello che siede  nell’ultima.
Lo spettatore in prima fila, ad esempio, coglie di più le varie espressione sul volto dei protagonisti mentre quello in ultima potrebbe catturare meglio di la “danza” delle braccia del batterista che colpisce i piatti.
Anche per questo non amo raccontare un evento con una singola o con poche immagini, che magari mettono in luce solo il leader della formazione, il mio racconto vuole essere il più rispettoso possibile verso tutti i musicisti, che sul palco hanno la stessa dignità e importanza».

– La musica, si sa, è una fenomenale attivatrice di emozioni… anche estetiche, se vogliamo. Esiste persino una ricerca che dice che le nostre menti hanno la capacità di elaborare una sorta di libreria musicale che riesce a richiamare, attraverso una singola emozione collegata ad un brano, una multiforme combinazione di sentimenti ad esso associati. Quando scatti una fotografia, quanto la tua mente è condizionata dal fatto che ti piaccia o meno la musica dell’artista che stai fotografando e quanto ciò influisce sul risultato finale?
«Durante gli scatti la mente è condizionata inevitabilmente da molti elementi. Sicuramente uno dei più importanti è il flusso della musica che crea delle onde che noi seguiamo.
Quando si riesce a stabilire un legame umano, che viene poi alimentato dal suono, l’energia che si crea tra il palco e noi che stiamo dietro un mirino è incredibile.
Un altro elemento molto importante è il luogo che ospita il concerto. Noi in Italia siamo molto fortunati, forse i più fortunati, sempre più luoghi magnifici ospitano concerti, l’architettura la storia di quei luoghi condiziona in maniera positiva gli scatti e noi che seguiamo il Jazz siamo sicuramente privilegiati da questo punto di vista».

– Immagino che tu, come un padre nei confronti dei suoi figli, ami ogni tuo singolo scatto… tuttavia, ne ricordi qualcuno di cui sei particolarmente orgoglioso?
«Sicuramente ci sono degli scatti ai cui sono più legato di altri e questo, come già detto, dipende dall’aspetto emozionale.
Sono molti i musicisti con i quali si crea un atmosfera particolare, se devo sceglierne uno cito Hamid Drake, uno dei musicisti che a livello umano, musicale e fotografico mi ha dato fino ad oggi più. Il suo suono è il riflesso dell’amore per la musica… è la vita che mette in ogni sua esibizione. Per questo, forse, l’immagine a cui sono più legato è la sua, l’unica che ho scelto in bianco e nero per questa presentazione.
È arrivata in un momento molto importante sia della mia vita a livello personale sia nella mia attività fotografica ed è stata una spinta incredibile per il prosieguo del mio lavoro».

Paolo Fresu, Ramberto Ciammarughi, Fabrizio Bosso special guest del Norma Ensemble in concerto per la Rassegna Around Jazz al Parco Archeologico dell’Appia Antica

Cresce l’entusiasmo per la Rassegna musicale “Dal Tramonto all’Appia – Around Jazz” promossa dal Parco Archeologico dell’Appia Antica – Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo con il sostegno della Regione Lazio e la direzione artistica di Fabio Giacchetta.
Dopo il sold out e il pienone delle scorse settimane, sono molto attesi i quattro concerti di venerdì 25 e sabato 26 settembre al Casale di Santa Maria Nova nel complesso archeologico della Villa dei Quintili (in via Appia Antica 251 – Maps https://maps.app.goo.gl/XQQfntJRQ7zSpB3h6), che avranno come grandi protagonisti il noto trombettista Fabrizio Bosso ospite del Norma Ensemble e l’incredibile duo, una novità assoluta, formato celebre trombettista Paolo Fresu e da uno dei grandi geni della musica italiana, Ramberto Ciammarughi.

Venerdì 25 settembre si terrà il primo concerto della Rassegna ambientato al Casale di Santa Maria Nova nel complesso della Villa dei Quintili, con il Norma Ensemble special guest Fabrizio Bosso. L’evento originariamente era previsto presso il Mausoleo di Cecilia Metella, ma date le previsioni meteo riportanti maltempo per tutto il weekend, l’organizzazione ha predisposto una speciale copertura del sito di Santa Maria Nova che permetterà un regolare svolgimento di tutti i prossimi concerti in programma.
I due live – il primo alle ore 18.30 e la replica alle 20.30 – segnano un incontro particolarmente interessante tra uno dei più amati e importanti musicisti del panorama italiano e internazionale, Fabrizio Bosso, e il jazz dalla spiccata matrice europea del Norma Ensemble, in cui si fondono le diverse identità culturali e creative dei quattro affermati componenti: il sassofonista Marcello Allulli, il pianista Enrico Zanisi, il contrabbassista Jacopo Ferrazza e il batterista Valerio Vantaggio. Ad Around Jazz reinterpreteranno brani originali racchiusi nell’album “Revelation”, pubblicato dall’Ensemble nella primavera 2020.

Sabato 26 settembre uno degli eventi clou della manifestazione, sempre presso il Casale di Santa Maria Nova con la formula del doppio concerto alle 18.30 e alle 20.30: protagonista l’attesissimo duo del celebre trombettista Paolo Fresu – uno dei massimi esponenti del jazz nazionale e internazionale – insieme ad uno dei grandi geni della musica italiana, Ramberto Ciammarughi. Un incontro, caldeggiato dagli amanti del jazz, che fonde due raffinate anime arrivando a toccare livelli compositivi unici. Fresu ha all’attivo con una moltitudine di progetti che lo vedono impegnato in centinaia di concerti all’anno in tutto il mondo. Ha registrato oltre 450 dischi di cui circa 90 a proprio nome spesso lavorando con progetti ‘misti’ come jazz-musica etnica, world music, musica contemporanea, musica leggera, musica antica, etc, collaborando tra gli altri con M. Nyman, E. Parker, Farafina, O. Vanoni, Alice, T. Gurtu, G. Schüller, Negramaro.
Ramberto Ciammarughi è una delle personalità più creative e profonde della musica italiana. Ha collaborato con Randy Brecker, Billy Cobham, Steve Grossman, John Clark, Dee Dee Bridgewater, Vinnie Colaiuta, Jimmie Owens ed altri. Nel 2004 è presente nel quartetto di Miroslav Vitous insieme a B. Mintzer, A. Nussbaum, D. Gottlieb, M. Giammarco. Ha suonato più volte all’estero ed è un pregiato autore per radio, cinema e televisione. Molto amato come mentore e didatta, tiene da anni richiestissimi corsi e seminari in tutta Italia.
Nel live, brani originali reinterpretati con quella poesia che testimonia la fecondità e l’alto valore di questo incontro tra due grandi artisti.

Venerdì 2 ottobre dalle 19.00 protagonista il Blue Note Quartet feat. Daniele Scannapieco, con il grande e carismatico batterista Gegè Munari insieme al pianista Domenico Sanna, al trombettista Francesco Lento e al contrabbassista Vincenzo Florio. La tradizione dello swing e del bebop sono le linee guida di questo gruppo di star del jazz italiano, perfettamente condotte dal maestro di lungo corso Gegè Munari, memoria storica del jazz italiano che non poteva mancare in questa rassegna.
A seguire, una grande jam session con alcuni dei musicisti della rassegna e tanti ospiti: un evento speciale dedicato a Marco Massa, ideatore della rassegna scomparso prematuramente. Sarà una delle serate più emozionanti di “Around Jazz”, all’insegna della grande musica e dei grandi valori, per ricordarlo insieme a tutti gli amici e agli artisti che hanno avuto l’onore di conoscerlo.

Un messaggio di speranza che guarda alle sonorità del futuro nei concerti finali della Rassegna, sabato 3 ottobre: alle 18.30 spazio alla sperimentazione con il duo della cantante Alice Ricciardi e del pianista Pietro Lussu, compagni nel progetto e nella vita, con le sonorità di ricerca del loro album “Catching a Falling Star” in cui si ritrova tutta la sintonia umana e musicale della coppia di artisti. Alle 20.30 protagonista l’Hammond Trio formato da alcuni tra i più interessanti musicisti del panorama jazz italiano: l’hammondista Leonardo Corradi, il contrabbassista Luca Fattorini e il batterista Marco Valeri. Una band dal grande interplay che si fonda intorno all’intrigante sound dell’organo Hammond, terreno fertile per l’improvvisazione. La loro è una musica che vuole tracciare una strada, così come la via Appia Antica su cui si svolge la manifestazione è traccia del mondo antico, che ancora oggi ci permette di percorrere un viaggio tra memoria e presente.

L’ingresso ai concerti è acquistabile in prevendita su TICKET ITALIA (https://ticketitalia.com/concerti/around-jazz). L’organizzazione metterà comunque a disposizione un dispositivo elettronico sul luogo dell’evento per consentire un eventuale acquisto in autonomia dei biglietti fino a qualche minuto prima dell’inizio concerto. Per favorire i più giovani e gli studenti iscritti a scuole musicali il Parco Archeologico dell’Appia Antica riserva un ingresso ridotto a €6 per gli under 18 e per gli iscritti a Conservatori statali e Istituti Superiori di Studi Musicali.

Il Casale di Santa Maria Nova, sito nell’area archeologica della Villa dei Quintili in via Appia Antica 251 (Maps https://maps.app.goo.gl/XQQfntJRQ7zSpB3h6), è raggiungibile percorrendo la via Appia Antica da via Erode Attico – via di Tor Carbone in direzione GRA. L’ingresso si trova sulla sinistra dell’Appia Antica, dopo circa 500 metri dall’incrocio con via Erode Attico – via di Tor Carbone. Si segnala la presenza di tratti di basolato romano. In alternativa il Casale è raggiungibile dalla via Appia Pignatelli, prendendo la strada sterrata al civico 454.
Per chi viene dall’Appia Nuova, la strada si trova a circa 200 metri dall’incrocio con l’Appia Nuova. Per chi percorre l’Appia Pignatelli da via dell’Almone, la strada si trova subito dopo il vivaio Flower’s village. Si segnala che il fondo stradale è molto dissestato. Alla fine della strada sterrata, in prossimità del Casale, è presente un’area demaniale nella quale in occasione degli eventi sarà possibile parcheggiare il proprio automezzo, per la sola durata del concerto.

Biglietto unico €12
Ridotti €6 (under 18 e iscritti a Conservatori statali di musica e Istituti Superiori di Studi Musicali)
Carnet 5 concerti intero €50 – ridotto €25
Carnet 2 concerti per le date con due spettacoli intero €20 – ridotto €10.

L’ingresso è subordinato alla misurazione della temperatura corporea, che dovrà essere inferiore a 37.5 °C. Per accedere alle location è necessario indossare la mascherina, coprendo naso e bocca e mantenere una adeguata distanza interpersonale.

Info e contatti
www.parcoarcheologicoappiaantica.it
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Ufficio Stampa “Around Jazz”
Fiorenza Gherardi De Candei
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Ufficio comunicazione e promozione
Parco Archeologico Appia Antica
Lorenza Campanella
tel.+39 333.6157024
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Dalla scena jazz newyorkese, il nuovo album di Martin Wind “White Noise” con due icone della musica europea: Philip Catherine e Ack van Rooyen

E’ uscito il 28 agosto con l’etichetta tedesca Laika Records “White Noise” il nuovo album del contrabbassista e compositore Martin Wind.
Originario di Flensburg, in Germania, da quasi 25 anni Wind si è affermato nella scena jazz di New York, dove vive, collaborando con grandi artisti come Pat Metheny, Sting, John Scofield, Toots Thielemans, Michael e Randy Brecker, Phil Woods, Hank Jones, Michel Legrand, Clark Terry, Slide Hampton, Vanguard Jazz Orchestra. Attivo siamo come compositore che come strumentista, ha pubblicato a suo nome 11 dischi, è autore e interprete di colonne sonore di celebri film ed è docente alla Facoltà di Jazz della New York University Steinhardt e alla Hofstra University di Long Island.
Il precedente lavoro “Light Blue” (inciso con Anat Cohen, Ingrid Jensen, Maucha Adnet e Duduka DaFonseca) ha ricevuto le “four stars” su Downbeat Magazine, e Paquito D’Rivera ha definito “disgustosamente bello” il suo disco del 2014 “Turn out the Stars – music written or inspired by Bill Evans” inciso con un quartetto completato da Scott Robinson, Bill Cunliffe e Joe La Barbera, e con l’Orchestra Filarmonica Marchigiana.

Per la registrazione del suo nuovo lavoro “White Noise” – disponibile anche nei principali digital stores e su Spotify, Martin Wind ha fortemente voluto l’incontro con due icone del jazz europeo: Philip Catherine, considerato dai critici il chitarrista più autorevole d’Europa dopo John McLaughlin, e l’olandese Ack van Rooyen, il cui timbro caldo e morbido su flicorno e tromba è l’inconfondibile marchio di fabbrica.
Il concept del nuovo album segue il noto principio del “less is more”: “Il silenzio è diventato sempre più un lusso, con “White Noise” ho voluto creare un polo acustico opposto. Una sorta di oasi sonora in cui il pubblico può rilassarsi e godere la musica fino alla sua massima espressione”.

I tre musicisti sono legati da una profonda amicizia, oltre che da una lunga collaborazione.
“Per me, Philip e Ack sono tra i più grandi artisti melodici che il jazz abbia mai avuto.
Entrambi fanno davvero cantare i loro strumenti, ed è ciò che voglio dimostrare con questo album. A 17 anni, l’album “The Viking” di Philip insieme al bassista danese Niels-Henning Ørsted Pedersen è stata una rivelazione e mi ha influenzato per decenni. Lavorare con lui mi è sembrata una vera e propria “ricongiunzione”, il suo sound per me risuona davvero familiare”.
Il legame tra Wind e van Rooyen ha invece avuto origine nella Bundesjazzorchester (BuJazzO), dove si incontrarono come studente e insegnante. “Ack è ancora incredibilmente concentrato e riflessivo. In studio ogni sua singola nota è stata assolutamente perfetta. Con questo album ho voluto ricordare al pubblico la sua incredibile abilità e mostrare tutta la sua “divinità”, accanto ad una grande umiltà, dedizione alla musica e ad un raffinato senso dell’umorismo!”

La titletrack “White Noise” è stata scritta da Martin Wind per i suoi due compagni. Con raffinati effetti di riverbero e distorsione sulla sua Gibson vintage, Catherine riesce a dare a questa composizione un carattere fluttuante. Così commenta il grande chitarrista belga: “Il brano, così come l’intero album, trasmette messaggi musicali chiari: è onesto, trasparente e, grazie alla sua semplicità, molto efficace. Martin è la quintessenza del groove e dell’interplay. Trasmette una costante sensazione di vicinanza, sia a livello ritmico che melodico.”

“White Noise” è stato registrato in Belgio, a Mechelen, in una splendida atmosfera come ricorda van Rooyen: “Gli studi non sono il mio posto preferito dove esprimermi al meglio, ma grazie ad un eccellente sound engineer e al feeling che si è creato con Martin e Philip, mi sono sentito davvero a mio agio. Loro sono musicisti che non devono dimostrare più nulla, ma continuano a suonare come se dovessero.”

Oltre a standard come la meravigliosamente swing “Everything I Love” (Cole Porter) o “But Beautiful” (Jimmy van Heusen/Johnny Burke), nella tracklist del disco vi è la ballata di van Rooyen “Autumn Bugle”, così come altre due composizioni di Martin Wind: “The Dream”, dedicato al primo incontro con Pat Metheny nel 2003, dove hanno suonato per l’opening concert del festival “Jazz Baltica” di Kiel, e “A Genius and a Saint” dedicato al bassista Bob Bowen, amico e collega scomparso per un tragico incidente in bicicletta a New York City. Brani dal contenuto biografico e molto personale, che hanno affascinato sia Catherine che Van Rooyen.

In Italia Martin Wind è stato ospite di molti festival nel trio della cantante e pianista Dena DeRose, con il pianista Bill Mays, nella band di Matt Wilson “Arts & Crafts” feat. Gary Versace e Ron Miles e con i pianisti Benny Green e Rita Marcotulli, ed ha registrato due album con Massimo Morganti.
Insieme a Rita Marcotulli e Matt Wilson ha inciso un pregiato disco in vinile “The Very Thought Of You – Remembering Dewey Redman” che ha presentato alla Casa del Jazz: una produzione dall’etichetta Go4 Records nata da una idea di Ancona Jazz.
E’ attivo anche in ambito classico, collaborando con diversi artisti tra cui il violoncellista e direttore d’orchestra Mstislav Rostopowitch, il violinista Guidon Kremer e i Christoph Eschenbach, Lalo Schifrin and Valery Gergiev. Negli ultimi 5 anni ha accompagnato grandi star mondiali, tra cui James Taylor, Aretha Franklin e Reneé Fleming, sul palco del prestigioso Kennedy Center Honors Galà.

LINKS
www.martinwind.com
Teaser: http://bit.ly/TeaserWhiteNoise
Spotify https://bit.ly/SpotifyWhiteNoise
Amazon https://bit.ly/AmazonWhiteNoise
iTunes https://bit.ly/iTunesWhiteNoise
Laika Records: www.laika-records.com

CONTACTS
Ufficio Stampa Francia e Italia: Fiorenza Gherardi De Candei
info@fiorenzagherardi.com – +39.328.1743236
www.fiorenzagherardi.com

Flavio Spampinato: da Roma a Bruxelles sulle ali della musica nera

Ho appena finito di ascoltare per la quarta volta “Nascente”, un bell’album firmato dal vocalist Flavio Spampinato per l’Alfa Music. Dicevo un bell’album e questo giudizio è del tutto condiviso da Maria Pia De Vito e da David Linx, che di canto jazz capiscono qualcosina. Non a caso scrive la De Vito, riporto testualmente: “In ‘Nascente’, questo primo lavoro di Flavio Spampinato, ritrovo grazia e profondità, ricerca, tensione desiderante, gioia, nella grana della voce. C’è amore. C’è tutto quello che occorre per un viaggio lungo con la musica. Ad maiora!”.

Flavio Spampinato è seduto proprio di fronte a me in un’afosa giornata d’estate e ci apprestiamo a concretizzare un’intervista a lungo progettata. Da siciliano doc sono molto incuriosito dal cognome del mio interlocutore dal momento che Spampinato sembra venire proprio dalla mia città, Catania.
“Spampinato è un cognome cento per cento siciliano, area catanese – mi conferma il musicista – comunque sono nato a Roma e dopo ventidue anni nella Capitale mi sono trasferito a Bruxelles, con un intermezzo a Berlino”.

-Come si è avvicinato alla musica, al jazz?
“Mi sono avvicinato alla musica un po’ per caso, in casa, ma il jazz l’ho scoperto in un secondo momento, da solo. Intorno ai sedici anni ho cominciato a conoscere meglio tutto ciò che prima avveniva spontaneamente, ho osservato la mia voce prendendo lezioni di canto, dopo il liceo è stato il Conservatorio e tutto ciò che ne consegue”.

-Come mai ha scelto il canto, disciplina di solito poco frequentata specie dagli uomini?
“Una scelta totalmente corporea. Il primo strumento che abbiamo a disposizione per esprimere noi stessi è proprio la nostra voce, il canto, e l’ho sentito da subito mio”.

-C’è stato sin dall’inizio un qualche modello di riferimento?
“Vari, troppi da mettere in lista, tanti e diversi tra loro. Comunque uno dei primi che mi ha fatto innamorare della musica è stato Stevie Wonder”.

-Scelta che personalmente considero ben fatta. Quindi l’inizio è da collegare strettamente alla musica nera globalmente intesa…
“Assolutamente. Il jazz è giunto dopo, quasi come una sorta di naturale evoluzione. Così, insieme alle voci del Soul e del Blues, mi sono ritrovato ad ascoltare gli improvvisatori di jazz e le cantanti, ma non ce n’è solo uno che posso dire d’avermi particolarmente influenzato. Mi ritrovo nel canto jazz, cerco ogni giorno di ampliare un vocabolario che viaggia tra storia e contemporaneità”.

-In Conservatorio con chi ha studiato?
“A Roma ho avuto la fortuna di incrociare sin dal primo anno Maria Pia De Vito e con lei ho studiato per tre anni. Gli ultimi due, dietro suo suggerimento, ho studiato con David Linx a Bruxelles e poi mi piace citare anche Elisabetta Antonini che è stata un’altra ‘mamma musicale’ che mi ha seguito fuori dal Conservatorio”.

-Quindi, se ho capito bene, lei è andato a Bruxelles sulla scia di David Linx. Ma come le è venuto in mente?
“Mi sono innamorato di lui attraverso la sua musica e ho pensato ‘devo incontrare questa persona’. Il suo stile, la sua musica erano molto vicini a ciò che alimentava il fuoco nello studio, la frenesia di carpire i segreti dell’improvvisazione”.

-Per cui è andato a Bruxelles e qui cosa è accaduto?
“L’ho incontrato ed è stato un percorso piuttosto accidentato, pieno di alti e bassi; David è una persona ricca di ‘artisticità’ se mi passa il termine, ma anche di carattere, di esplosività, e queste non sono caratteristiche che si trovano ogni giorno. Certo, stargli dietro non è stato facilissimo ma alla fine ne sono uscito enormemente migliorato: mi ha dato tanto, tantissimo. Gli devo davvero molto”.

-Scusi la mia curiosità, ma come fa un ragazzo nato e cresciuto a Roma, artisticamente alle prime armi, ad andare in un Paese straniero e riuscire ad ambientarsi sì da farne una seconda casa? Come funziona?
“Finché si sta in una struttura, in un’accademia – e mi riferisco al Koninklijk Conservatorium di Bruxelles, dove ho studiato altri quattro anni – si ha il confort delle mura. La sfida ovviamente viene dopo, quando si esce da lì, la sfida sta nel rimanere, creare nuove basi e contorni all’interno dei quali dare un senso a ciò che si fa. Superato il primo anno, quindi anche il secondo, la strada si è fatta meno impervia. Molto mi ha aiutato il supporto della famiglia, seppur a distanza, e il Belgio stesso, che mi ha dato fiducia”.

-Quindi lei ha studiato anche al Conservatorio di Bruxelles?
“Sì, nel dipartimento fiammingo ho conseguito il mio Master, mentre in quello francofono la mia formazione all’insegnamento”.

-E la parentesi berlinese?
“È stata un’esperienza Erasmus; quello è stato forse il mio primo salto “nel vuoto”, da solo in una capitale europea, ricca di stimoli. Lì ho incontrato molti musicisti preparatissimi, tra cui la cantante Judy Niemack”.

-Torniamo a Bruxelles. Uscito dal Conservatorio come si è procurato da vivere?
“Ho cominciato ad insegnare nelle scuole di musica, a dare lezioni individuali e poi finalmente nelle Accademie di Marchienne-au-Pont, Evere, e Watermael a Bruxelles. Un concetto che noi in Italia non abbiamo, quello dell’Accademia; si tratta di una struttura statale che non è né Conservatorio né scuola di musica: è una vera e propria Accademia delle Arti dove persone di ogni età possono apprendere l’arte della scena, della danza, della musica, ogni quartiere ne ha una, ed è un gran bel modo di vivere quello di insegnare canto jazz, che è la mia specialità”.

-E le attività più propriamente artistiche?
“Mi rendo perfettamente conto che specie in questo momento sono davvero pochi quanti possono contare sui concerti per introiti sicuri. Fino a oggi ho fatto in Belgio delle esperienze che forse in Italia non avrei potuto fare e mi riferisco alla fiducia che mi hanno accordato tanti promoter, club, anche alcuni festival dove mi sono esibito. Insomma ho fatto dei bei passi avanti, come migrante”.

-Adesso parliamo di questo bel disco che ha come titolo “Nascente”. Che vuol dire?
“Questo termine ha significati diversi a seconda delle due lingue che ho scelto per l’album. Così in italiano, lo sappiamo bene, indica qualcosa che viene alla luce, che nasce, quindi l’atto delle origini, mentre in brasiliano (portoghese), indica la fonte, la sorgente della luce, di un corso d’acqua. E come primo album ho pensato potesse essere un bel titolo”.

-Come mai pur vivendo a Bruxelles lo ha registrato con una etichetta italiana, l’’Alfa Music” nello specifico?
“Perché è un disco molto legato alla cultura mediterranea e italiana, quindi casa, e anche perché, utilizzando la lingua italiana, ho pensato che un’etichetta italiana potesse essere più indicata. Ma forse era anche un’esigenza più personale: volevo ‘nascere’, discograficamente parlando, con un disco edito nel mio Paese. E devo dire che i responsabili dell’Alfa Music si sono mostrati immediatamente interessati ed io mi sono affidato a loro. Da non trascurare poi il fatto che ci sono due musicisti che vivono in Italia, parlo di Alessandro Gwis al piano e del sassofonista Javier Girotto, ai quali si aggiungono la clarinettista francese Hélène Duret e il contrabbassista brasiliano Fil Caporali. I brani sono al sessanta per cento mie composizioni e al quaranta per cento di autori brasiliani: Guinga, Milton Nascimento, Egberto Gismonti”.

-Quindi non strade particolarmente battute…
“No, non è la bossa nova, non è il samba più conosciuto, si tratta di un Brasile che non si ha molto spesso l’occasione di apprezzare. L’album è uscito nel gennaio di quest’anno e finora ha avuto un’accoglienza positiva da parte di quanti lo hanno ascoltato, in special modo critici musicali. Poi il Covid ha messo tutto in standby”.

-In Italia che tipo di progetti ha?
“Mi lasci un attimo tornare in Belgio dove, per l’inizio del 2021, ci sarà un tour che si prospetta molto interessante. In Italia sto aspettando delle conferme per una presentazione del disco nella mia amata Roma. Mi piacerebbe presentarlo alla Casa del Jazz, che per me ha segnato una svolta importante”.

Gerlando Gatto

 

Successo per la rassegna “Around Jazz” al Parco Archeologico dell’Appia Antica. Sul palco arriva il travolgente Perfect Trio di Roberto Gatto.

Successo di pubblico e grande emozione nello scenario mozzafiato del Parco Archeologico dell’Appia Antica per la Rassegna musicale “Dal Tramonto all’Appia. Around Jazz”, promossa dal Parco Archeologico dell’Appia Antica – Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo con il sostegno della Regione Lazio e la direzione artistica di Fabio Giacchetta.

Vincente la formula che unisce location uniche e suggestive con la Musica dei grandi artisti del panorama jazz nazionale e internazionale.
Le due serate, che hanno sfiorato il sold out, sono state impreziosite dalla presenza di un pubblico eterogeneo, appassionato, attento e coinvolto dall’atmosfera poetica del luogo: il Mausoleo di Cecilia Metella – Castrum Caetani e la Chiesa di San Nicola.
Ad aver inaugurato la Rassegna venerdì 11 settembre è stata una prima assoluta: il progetto “Changes” del talentuoso batterista e compositore Nicola Angelucci, accompagnato dal noto clarinettista Gabriele Mirabassi, dalla pianista, cantante e songwriter tedesca Olivia Trummer e dall’eclettico contrabbassista Luca Bulgarelli. Grande entusiasmo per i due concerto del sabato “Atomic Bass” di Giuseppe Bassi dedicato alla popolazione di Fukushima, featuring il grande sassofonista argentino Javier Girotto, e il trio del raffinato pianista Domenico Sanna che ha trasportato gli spettatori nelle atmosfere newyorkesi insieme a due fuoriclasse del jazz mondiale, Greg Hutchinson e Ameen Saleem.
Sull’onda di questo grande risultato, è attesissimo sabato 19 settembre alle ore 19 il travolgente Perfect Trio di uno dei musicisti più rappresentativi della scena italiana, il batterista e compositore Roberto Gatto, che porterà sullo stesso palco grandi energie, groove, elettronica e nuove sonorità esplorando la grande musica pop italiana e internazionale in una chiave completamente diversa e con un approccio libero da dogmi musicali, dimostrando la grandissima capacità improvvisativa e la perfezione dell’imprevisto. Da qui, “Perfect trio”. Due i compagni di palco: Alfonso Santimone, uno dei più intraprendenti e creativi musicisti in attività impegnato al pianoforte, al Fender Rhodes e ai live electronics, e Pierpaolo Ranieri, uno straordinario strumentista e attento conoscitore delle nuove tendenze. Il gruppo ha all’attivo un album dal titolo “Starship for lovers”, edito dall’etichetta Parco della Musica Records. Prevendita biglietti su https://ticketitalia.com/concerti/around-jazz
Previsto per il 18 settembre e spostato a sabato 26 settembre, nonché primo concerto al Casale di Santa Maria Nova nell’area archeologica della Villa dei Quintili è uno degli eventi clou della Rassegna, con l’inedito duo del trombettista Paolo Fresu, uno dei massimi esponenti del jazz nazionale e internazionale, e del raffinato pianista e compositore Ramberto Ciammarughi, che insieme arrivano a toccare livelli compositivi unici come uniche sono le loro due anime musicali. Questo incontro sancisce una nuova collaborazione tra due fra i migliori artisti italiani, riconosciuti a livello internazionale come grandi colonne portanti della nostra musica. Due i set: il primo alle 18.30 e la replica alle 20.30.
Tre opzioni disponibili per coloro che hanno acquistato biglietti per il concerto del 18 settembre:
– validità: i biglietti sono automaticamente validi per la data del 26 settembre, nel corrispondente orario scelto. Gli spettatori potranno presentarsi direttamente all’entrata del concerto con il vecchio biglietto acquistato, senza necessità di ulteriori comunicazioni.
– rimborso: possibilità di rimborso direttamente con Ticket Italia scrivendo alla mail info@ticketitalia.com o al tel. 0743.222889.
– cambio concerto: possibilità di cambiare il biglietto acquistato per assistere ad un altro concerto della Rassegna, compatibilmente con le disponibilità di posti, scrivendo alla mail info@ticketitalia.com o al tel. 0743.222889.
Attesissimo venerdì 25 settembre l’arrivo del celebre trombettista Fabrizio Bosso. Anche in questo caso doppio concerto al Mausoleo di Cecilia Metella – il primo alle 18.30 e la replica alle 20.30 – per un incontro particolarmente interessante tra il poliedrico e virtuoso strumentista e il jazz dalla spiccata matrice europea del Norma Ensemble, in cui si fondono le diverse identità culturali e le personalità dei quattro componenti: il sassofonista Marcello Allulli, il pianista Enrico Zanisi, il contrabbassista Jacopo Ferrazza e il batterista Valerio Vantaggio.
Venerdì 2 ottobre dalle 19.00 salirà sul palco allestito al Casale di Santa Maria Nova il Blue Note Quartet feat. Daniele Scannapieco, con il grande e carismatico batterista Gegè Munari insieme al pianista Domenico Sanna, al trombettista Francesco Lento e al contrabbassista Vincenzo Florio. La tradizione dello swing e del bebop sono le linee guida di questo gruppo di star del jazz italiano, perfettamente condotte dal maestro di lungo corso Gegè Munari, memoria storica del jazz italiano che non poteva mancare in questa rassegna.
A seguire, una grande jam session con alcuni dei musicisti della rassegna e tanti ospiti: un evento speciale dedicato a Marco Massa, ideatore della rassegna scomparso prematuramente. Sarà una delle serate più emozionanti di “Around Jazz”, all’insegna della grande musica e dei grandi valori, per ricordarlo insieme a tutti gli amici e agli artisti che hanno avuto l’onore di conoscerlo.
Un messaggio di speranza che guarda alle sonorità del futuro nel concerto finale della rassegna, sabato 3 ottobre, sul palco della Villa dei Quintili. Alle 18.30 spazio alla sperimentazione con il duo della cantante Alice Ricciardi e del pianista Pietro Lussu, compagni nel progetto e nella vita, con le sonorità di ricerca del loro album “Catching a Falling Star” in cui si ritrova tutta la sintonia umana e musicale della coppia di artisti. Alle 20.30 protagonista l’Hammond Trio formato da alcuni tra i più interessanti musicisti del panorama jazz italiano: l’hammondista Leonardo Corradi, il contrabbassista Luca Fattorini e il batterista Marco Valeri. Una band dal grande interplay che si fonda intorno all’intrigante sound dell’organo Hammond, terreno fertile per l’improvvisazione.
La loro è una musica che vuole tracciare una strada, così come la via Appia Antica su cui si svolge la manifestazione è traccia del mondo antico, che ancora oggi ci permette di percorrere un viaggio tra memoria e presente.
L’ingresso ai concerti è acquistabile esclusivamente in prevendita su TICKET ITALIA (https://ticketitalia.com/concerti/around-jazz). L’organizzazione metterà comunque a disposizione un dispositivo elettronico sul luogo dell’evento per consentire un eventuale acquisto in autonomia dei biglietti fino a qualche minuto prima dell’inizio concerto. Per favorire i più giovani e gli studenti iscritti a scuole musicali il Parco Archeologico dell’Appia Antica riserva un ingresso ridotto a €6 per gli under 18 e per gli iscritti a Conservatori statali e Istituti Superiori di Studi Musicali.
Biglietto unico €12
Ridotti €6 (under 18 e iscritti a Conservatori statali di musica e Istituti Superiori di Studi Musicali)
Carnet 10 concerti intero €90 – ridotto €50
Carnet 5 concerti intero €50 – ridotto €25
Carnet 2 concerti per le date con due spettacoli intero €20 – ridotto €10.

L’ingresso è subordinato alla misurazione della temperatura corporea, che dovrà essere inferiore a 37.5 °C. Per accedere alle location è necessario indossare la mascherina, coprendo naso e bocca e mantenere una adeguata distanza interpersonale.
Come arrivare
Mausoleo di Cecilia Metella – Castrum Caetani in via Appia Antica 161: raggiungibile in auto o con la Metro A (Arco di Travertino) e poi autobus 660 oppure 118 dal centro di Roma.
Casale di Santa Maria Nova nell’area archeologica della Villa dei Quintili in via Appia Antica 251: raggiungibile in auto o con la Metro A (Colli Albani) e poi autobus 664 oppure 118 dal centro di Roma.

Info e contatti
www.parcoarcheologicoappiaantica.it
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IG https://www.instagram.com/archeoappia/
TWITTER https://twitter.com/archeoappia

Ufficio Stampa “Around Jazz”
Fiorenza Gherardi De Candei
tel. +39 328.1743236 info@fiorenzagherardi.com

Ufficio comunicazione e promozione
Parco Archeologico Appia Antica
Lorenza Campanella
tel.+39 333.6157024
pa-appia.comunicazione@beniculturali.it

Intervista a Gerlando Gatto su JazzDaniels, il blog di Daniela Floris e Daniela Crevena

Pubblichiamo con piacere l’intervista a Gerlando Gatto, fatta da Daniela Floris e pubblicata sul suo blog Jazz Daniels, Jazz e altra Musica (Note e Immagini di Daniela Floris e Daniela Crevena), in occasione dell’uscita del libro “Il Jazz Italiano in Epoca Covid”

«Terzo libro per Gerlando Gatto, giornalista, critico musicale, e direttore del sito A Proposito di Jazz. Un nuovo libro di interviste, protagonisti i musicisti, intervistati in uno dei periodi più drammatici degli ultimi anni: il lockdown durante l’emergenza Coronavirus, che ha costretto l’Italia a fermarsi quasi completamente per quasi tre mesi. La categoria dei musicisti è stata una di quelle maggiormente colpite, una delle ultime a riprendersi, per la impossibilità non solo di organizzare concerti live, ma anche di registrare, provare, promuovere. Tutto bloccato.
Il libro, edito da GG edizioni, contiene una quarantina di interviste tra quelle precedentemente pubblicate nel sito A Proposito di Jazz, ideate dallo stesso Gatto e raccolte in parte anche da Marina Tuni, che ha collaborato alla realizzazione del libro, e dalla sottoscritta.
Qui di seguito la mia intervista a Gerlando, che ringrazio, come sempre, per la disponibilità e la stima che mi dimostra da tanto tempo.

Questo libro di interviste è molto diverso dai due precedenti. Si potrebbe dire che è quasi un’indagine, una fotografia istantanea di una realtà con cui sei costantemente in contatto, quella del mondo del Jazz italiano, in un periodo del tutto eccezionale, una pandemia mondiale. Sembra rispondere a una vera e propria esigenza giornalistica: quale?
“Partiamo da un dato di fondo che nel nostro Paese non mi sembra molto condiviso: gli artisti non servono “a farci divertire”. La loro funzione è molto ma molto più profonda. In tale contesto il jazz è la Cenerentola tra le Cenerentole e quindi da sempre gode di scarsissima attenzione. Di qui la mia idea di focalizzare l’attenzione su un comparto che al momento del lockdown stava attraversando un momento particolarmente difficile e delicato, con tanti musicisti privi di qualsivoglia mezzo di sussistenza. Ecco, volevo tracciare un quadro d’assieme di quel che stava vivendo il mondo del jazz italiano in quei terribili momenti”.

–Scegliere un format unico di domande da porre uguale è una scelta sicuramente ponderata. Ce ne spieghi il perché?
“Tu mi conosci abbastanza bene e come dimostrano anche i miei due precedenti libri io amo studiare chi mi troverò ad intervistare e preparo una serie di domande che possano far venir fuori non tanto il personaggio, l’artista quanto l’uomo, la donna che si celano dietro la maschera ufficiale. In questo caso il mio intento era completamente diverso: non mi interessava il singolo intervistato quanto un ambiente, un insieme, un milieu che potremmo identificare nel mondo del jazz italiano, senza la pretesa, ovviamente, di volerlo rappresentare nella sua globalità. Come noterai, infatti, i singoli musicisti sono introdotti semplicemente con nome, cognome e strumento senza una riga di curriculum. Quindi tutti sullo stesso piano, musicisti, jazzisti che stavano attraversando una congiuntura particolarmente pesante e non solo dal punto di vista economico”.

–Quante testimonianze sono raccolte in questo libro?
“Le testimonianze derivano dalle interviste che io, Marina Tuni e tu stessa avevamo già fatto e pubblicato sul mio blog “A proposito di jazz”. Per il libro sono stato costretto ad eliminarne alcune perché altrimenti lo stesso sarebbe stato troppo voluminoso e di conseguenza caro. Comunque, per rispondere alla tua domanda, le interviste sono 41”

–Come hai individuato le domande da porre, e dunque che tipo di domande hai posto ai musicisti intervistati?
“Questa è stata la parte più difficile del lavoro. Mi interessava scendere nello specifico, nell’intimo, ponendo domande, lo riconosco, indiscrete, crude, come quelle relative ai mezzi di sussistenza o alle eventuali compagnie durante il lockdown, ma era l’unica via da seguire per raggiungere l’obiettivo prefissato. Ho quindi cominciato ad intervistare i musicisti che mi conoscono meglio, che mi sono amici e che quindi mi riconoscono un’assoluta buona fede; viste le loro reazioni più che positive ho rivolto la mia attenzione anche ad artisti che non avevo molto frequentato e devo dire che mi è andata alla grande nel senso che nessuno si è rifiutato di rispondere alle mie domande, anzi…”.

–Il lockdown, l’emergenza, hanno significato per molti un fermo lavorativo spesso drammatico, specie per chi non aveva le spalle coperte dall’insegnamento, magari nei conservatori. Non deve essere stato facile per i musicisti parlarne. Quali sono gli stati d’animo che hai visto prevalere, quali le paure, quali le diverse modalità di raccontare una situazione così difficile?
“Come tu stessa sottolinei gli stati d’animo, con riferimento ai problemi di sussistenza, erano piuttosto diversificati. Così c’è chi, avendo alle spalle una lunga e gloriosa carriera, affrontava questi momenti con pazienza e senza alcuna preoccupazione. Per gli altri netta era la differenza tra chi poteva contare comunque su un’entrata derivante dall’insegnamento e chi no. I primi erano preoccupati ma non troppo e comunque aspettavano con ansia la ripresa delle attività. I secondi sottolineavano la necessità che qualcuno si ricordasse anche di loro, che i sussidi messi in campo dal governo non erano sufficienti. E tutto ciò si trasmetteva nelle modalità con cui raccontavano la loro situazione, modalità che transitavano dal tranquillo-paziente al moderato allarmista all’aperto S.O.S.”.

– Un giornalista di lungo corso come te ha certamente tratto delle conclusioni da questa che, anche se di lettura molto agevole, appare quasi un’inchiesta. Puoi darci una tua lettura complessiva di queste testimonianze? Quale l’impatto nel mondo del Jazz italiano, quali i tempi di reazione, quali le prospettive, secondo te, in un inverno che si preannuncia comunque difficile?
“Le conclusioni sono abbastanza semplici: il mondo del jazz italiano lamenta una sottovalutazione che si trascina oramai da anni e che riguarda non solo l’universo politico ma anche il cosiddetto mondo culturale e tutto ciò che vi gira intorno. L’impatto del virus è stato terrificante, nel senso che da molti degli intervistati non trapela alcuna nota di ottimismo, anche perché ci si rende perfettamente conto che il domani non sarà più come l’ ieri che abbiamo conosciuto. E tutti sono concordi nell’affermare che la stagione dei concerti così come l’abbiamo conosciuta è finita… almeno per un lungo lasso di tempo”.

– Prendo spunto dalle parole che estrapolo dalla bellissima prefazione del Maestro Massimo Giuseppe Bianchi: “Gerlando capisce e ama la musica, rispetta i musicisti e da loro è rispettato nonché, come da qui traspare, riconosciuto quale interlocutore credibile. Ha congegnato una griglia di domande semplice e uniforme quanto variegata al suo interno. Ha voluto, credo, fare quello che un critico non ha tempo o voglia di fare: comunicare direttamente con la persona, abbracciarla.”
Quanto è importante, alla luce di questo tuo lavoro, godere della fiducia e della stima di coloro che si decide di intervistare per ottenere un risultato come quello ottenuto in questo libro? Come si ottengono fiducia e stima? E quanto importante saper scegliere un linguaggio che sia ad un tempo agile e comprensibile ma adatto a situazioni complesse da spiegare?
“Prima di risponderti, consentimi di ringraziare dal più profondo del cuore l’amico Massimo Giuseppe Bianchi che ha scritto una prefazione per me davvero toccante. E veniamo alla tua domanda che in realtà ne contiene parecchie. La prendo quindi alla lontana e parto dal linguaggio, dalla chiarezza del linguaggio, che è sempre stato una direttrice fondamentale del mio lavoro da giornalista, Come forse ricorderai, io ho vissuto la mia carriera da ‘giornalista economico’; in tale branca essere chiari, usare le parole giuste nel contesto appropriato è assolutamente prioritario. Per ottemperare a questa sorta di obbligo assolutamente personale, quando ho cominciato a lavorare nei primissimi anni ’70 quando ancora stavo a Catania, collaborando con riviste specializzate, una volta finito un pezzo lo facevo leggere alla mia mamma, persona molto intelligente ma assolutamente priva di qualsivoglia rudimento in economia. Se lei capiva ciò che avevo scritto significava che l’articolo andava bene, altrimenti no, e lo rifacevo, Ecco mi sono portato appresso questo insegnamento per tanti anni e lo utilizzo ancora adesso che andato in pensione e lasciata da parte l’economia mi occupo solo di musica. Quindi un linguaggio piano, scevro da tecnicismi che può essere capito ance da chi non si interessa di musica. Quanto alla stima dei musicisti, oramai credo che molti di loro sappiano che mi occupo di musica non per scopo di lucro ma per passione: certo ci sono voluti anni, molti anni ma credo che alla fine sono riuscito ad acquisire la fiducia di molti artisti e per alcuni di loro credo di poter usare la parola ‘amico’. Certo non nego che con alcuni di loro ho avuto dei contrasti alle volte anche energici ma, ovviamente, non si può andare d’accordo con tutti. Comunque una cosa è certa: senza la stima e la fiducia dei jazzisti non avrei potuto porre loro domande così crude e indiscrete”.

– Per finire, c’è una frase, o un pensiero, tra tutte queste interviste, che ti ha colpito particolarmente? Ti chiedo di non fare il nome di chi l’ha formulata: ci penseranno i lettori a scoprirla.
“In tutta franchezza c’è stata un’intervista che mi ha particolarmente colpito per le manifestazioni oserei dire di affetto manifestate nei miei confronti. Per il resto ci sono state molte dichiarazioni che mi hanno impressionato o per i loro contenuti culturali o per il modo particolare di vedere e quindi affrontare il futuro. Ma farei torto a molti se dovessi citarne qualcuna”.»