A Istanbul l’evento clou della Seconda Giornata Internazionale del Jazz

Abullah Ibrahim

Abullah Ibrahim

Come già  annunciato, il 30 aprile si svolge la Seconda Giornata Internazionale del Jazz indetta dall’UNESCO.

Lo scorso anno l’evento clou era stato a New Orleans con l’esibizione di una fantastica “All Stars”. Quest’anno, all’attenzione del mondo del jazz  Istanbul dove si terrà il concerto principale presentato dall’Unesco, dalla Repubblica di Turchia e dal Thelonious Monk Institute of Jazz. La giornata inizierà con un concerto di giovani studenti diretti da due vere e proprie icone del jazz, quali Vayne Shorter e Herbie Hancock, quest’ultimo anche nella veste di “ambasciatore” Unesco.

La sera tutti all’ Aya Irini (la chiesa utilizzata come centro culturale nei giardini di Topkapı); articolato e di estremo interesse il cartellone proposto: in particolare saranno ascoltati (anche  in diretta web) i pianisti John Beasley, George Duke, Robert Glasper, Abdullah Ibrahim, Keiko Matsui e Eddie Palmieri; i vocalist Al Jarreau, Milton Nascimento e Dianne Reeves; i trombettisti Hugh Masekela, Imer Demirer e Christian Scott; i bassisti James Genus, Marcus Miller e Ben Williams; i percussionisti Terri Lyne Carrington, Vinnie Colaiuta e Pedro Martinez; i clarinettisti Anat Cohen e Hüsnü Şenlendirici ; i chitarristi Bilal Karaman, John McLaughlin, Lee Ritenour e Joe Louis Walker; i sassofonisti Dale Barlow, Igor Butman, Jimmy Heath, Wayne Shorter e Liu Yuan; il violinista Jean-Luc Ponty e molti altri ancora.

Oltre al concerto di Istanbul, sono previsti eventi in una trentina di nazioni tra cui Argentina, Australia, Corea, Francia, Messico, Danimarca, India e Gabon…e naturalmente il nostro Paese e quindi anche Roma. In particolare, nella Capitale l’etichetta Tosky Records sceglie l’ AlexanderPlatz per la presentazione ufficiale di “For Life”, nuova release che sancisce l’esordio discografico del talentuoso contrabbassista Dario Germani. Sul palco, la formazione in trio pianoless con cui Dario Germani ha inciso il disco: Stefano Preziosi, sassofonista poliedrico (sax contralto) con cui collabora da anni e Luigi Del Prete, batterista di grande personalità. Ospite della serata, il celebre musicista e compositore Giovanni Tommaso.

Rosario Giuliani ha invece scelto la Casa del Jazz per presentare il suo ultimo disco; Rosario sarà accompagnato dai musicisti con cui ha inciso “Images” eccezion fatta per John Patitucci sostituito sul palco romano da Darryl Hall;  per il resto ci sono, quindi, Joe Locke al vibrafono, Joe La Barbera alla batteria e Roberto Tarenzi al pianoforte. Ne scaturisce così una musica riflessiva e al tempo stesso futuristica, melanconica e solare, capace di esplorare con grandissimo virtuosismo territori idiomatici toccanti e poco conosciuti.

All’Auditorium Parco della Musica Enzo Pietropaoli, Battista Lena, Fulvio Sigurtà presentano l’ultima fatica discografica “La Notte”. È un trio senza batteria: una tromba, una chitarra e un contrabbasso. Viene subito in mente l’ultimo Chet Baker. Una dimensione cameristica, intima. L’incontro è nato intorno a una registrazione per l’etichetta discografica Fonè che ha voluto fissare questo trio come fosse una formazione di musica classica. In teatro a Volterra direttamente su due tracce, senza missaggi, riverberi o manipolazioni di qualsiasi tipo. La scelta di non usare l’elettronica, di suonare unplugged riporta a un rapporto diretto con gli strumenti e quindi con la nostra essenza semplice di musicisti. Il repertorio è eclettico con una prevalenza di brani originali, interpretazioni da Bill Evans a Cole Porter fino a riletture di contemporanei come Rufus Wainwright.

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Per combattere l’ignoranza estendere l’educazione musicale

Non vedo “Amici e, forse, questo non mi autorizzerebbe ad intervenire  a proposito del corsivo che il direttore Gerlando Gatto ha scritto in merito al “duello” tra Gino Paoli e Fabri Fibra. Per essere più preciso, riesco solo a vedere frammenti di “Amici” perché non ne condivido la filosofia e, soprattutto, vedo gli effetti negativi che ha a livello degli adolescenti e postadolescenti. Da sempre chi scrive lavora nella scuola pubblica (come insegnante di Italiano, Storia-Cittadinanza e Geografia) e si occupa di critica musicale e di storia del jazz. Il mio punto di vista, il mio osservatorio scolastico mi fa toccare con mano come i mass-media (da “Amici” alle radio commerciali)  non contribuiscano ad educare alla musica, piuttosto si adoperino a snaturarla in intrattenimento e, soprattutto, ad alimentare un ‘finto’ scontro generazionale. Il figlio  dodicenne di un amico, tempo fa, mi parlava di Fabri Fibra come fosse un eroe trasgressivo della sua generazione: non sapeva nulla, ovviamente, del rap e della sua storia ma si è dimostrato sinceramente interessato. Nella mia scuola un bravo collega suda sette camice per far capire agli allievi/e undicenni di un coro che cantare insieme non è una diminuzione del proprio “io” ma uno strumento di socializzazione e crescita, sia personale che collettiva.

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I nostri CD. Jazz e Cuba… in Italia

Alfonso Deidda & Cuban Stories “Nuevas Huellas” (dodicilune).

alfonsoUn progetto che coniuga il jazz con la musica cubana non è una novità, visto che si deve risalire al bebop, a Dizzy Gillespie e Chano Pozo (1947), per trovare l’inizio di una lunga storia. Nelle sue tante pagine si trovano, tra le altre, la collaborazione dell’altosassofonista Steve Coleman con gli AfroCuba de Matanzas (1996) e l’operazione ‘postmoderna’  del chitarrista  Marc Ribot con i Cubanos Postizos (1998).

In “Nuevas Huellas” il plurisassofonista e flautista Alfonso Deidda compone nove dei dieci brani per un organico (i Cuban Stories) formato da Alessandro La Corte e Julian Olivier Mazzariello (piano, piano elettrico, tastiere), Antonio De Luise (contrabbasso e basso elettrico), Gerardo Palumbo (percussioni: congas, bongos, timbales, batà), Gaetano Fasano (batteria).  Si parte da una solida conoscenza della musica cubana come dimostra senza discussione “AfroCuban Stories” (composta dal leader insieme al percussionista-ospite Giovanni Imparato) la cui prima parte è basata su motivi e testi tradizionali yoruba; il brano poi si sviluppa intrecciando vocalità e ritmi  con temi e soli strumentali intrisi di jazz ma ben radicati nella filosofia sonora di Cuba, nella sua componente religiosa e più intimamente africana.

Altrove il linguaggio si fa maggiormente contemporaneo come nello scattante “..Y Tu?” senza perdere in intensità ed evitando patinature e virtuosismi che, spesso, affliggono il latin-jazz. Nell’album, invece, ispirazione e scrittura, coralità e solismo jazzistico, poliritmie e sonorità cubane trovano un equilibrio eccellente. Il merito è senz’altro di Deidda e dei musicisti intimamente coinvolti in un progetto che mantiene sempre la propria originalità. In “Nuevas Huellas” c’è spazio per sonorità elettriche esaltate dal ritmo; “Tu retrato” ha l’atmosfera della ballad mentre “Epigraph” suggella l’album con una pagina pensosa, eseguita al baritono dal leader. Trovare un angolo di una Cuba viva (e non cartolinesca) in provincia di Salerno, dove è stato registrato il Cd, è una delle tante, positive sorprese del jazz italiano.

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Perché ci occupiamo anche di “Amici”

Un’ acuta osservatrice e lettrice di “A proposito di Jazz”, Silvia Bielli, ci ha dolcemente rimproverati per il fatto che di tanto in tanto ci occupiamo anche di “Amici” il talent show di “Canale 5” condotto da Maria De Filippi. “Perché – scrive non senza ragione Silvia –  dedicare spazio ad una trasmissione come “Amici”? Dov’è il jazz, dove il talento, dove la cultura, alta o bassa che sia …. ?

Silvia merita una risposta un minimo articolata anche perché non è la sola ad avermi fatto nel tempo questa domanda.

Il perché ho scelto, dopo accurata riflessione, di occuparmi anche di “Amici” ahime’ è semplice molto semplice: i talent show hanno purtroppo oramai una grande importanza sulla musica italiana tout court: come abbiamo visto, i vincitori spesso vengono rilanciati con clamore sulla rassegna sanremese e in genere vengono imposti dalle case discografiche su un mercato composto in genere da giovani e giovanissimi. Così, fatalmente, dopo qualche anno di effimera gloria, questi giovani cantanti, presentati invariabilmente come stelle di primaria grandezza (mentre in realtà non lo sono) tramontano e quasi non se ne sente più parlare. L’unico genuino talento scaturito da “Amici” è a nostro avviso Karima, una vocalist che non a caso ha ottenuto espliciti riconoscimenti da parte di Burt Bacharach ma che purtroppo stenta ad ottenere i successi che merita anche perche’ mal gestita.

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Episodio 2. Intervista con Max De Aloe e Marcella Carboni

Max De Aloe - Marcella Carboni (Foto Daniela Crevena)

Visto il riscontro positivissimo ottenuto dal 1° episodio del nostro Podcast, ecco la seconda puntata: un’interessante e divertente intervista realizzata da Daniela Floris a Max De Aloe e Marcella Carboni prima del loro concerto all’Alexanderplatz di Roma.

L’inusuale duo armonica a bocca – arpa si è raccontato in modo ironico e naturale per noi di A Proposito di Jazz.

Buon ascolto, e non dimenticate di lasciare i vostri commenti!

 

http://archive.org/download/Episodio2MaxDeAloeMarcellaCarboni/Episodio%202%20-%20Max%20De%20Aloe%20-%20Marcella%20Carboni.mp3

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I nostri CD. Pieranunzi tra i grandi del jazz internazionale

Enrico Pieranunzi with Marc Johnson e Paul Motian – “Live at the Village Vanguard” – CAMJ 7857-2

live at village

Al Village Vanguard di NY, tempio del Jazz, per la prima volta un artista italiano registra dal vivo un cd: Enrico Pieranunzi è anche l’ unico jazzista italiano ad essere salito su quel palco. Siamo nel luglio del 2010 e con lui ci sono due terzi del trio di Bill Evans, Paul Motian e Marc Johnson. Nelle liner notes lo stesso Pieranunzi ci spiega che questo altro non è che un sogno. Una grande emozione, immediatamente palpabile: energia, atmosfere emotive cangi

anti, è musica che sembra quasi “impellente”. Un trio eccezionale che da subito rivela la coesione che si crea quando il Jazz è quello vero.

Ma ascoltando con attenzione emerge anche altro in questo “Live at Village Vanguard” . E’ un concerto live che rivela due Pieranunzi coesistenti , ben distinti ma mai contrastanti, piuttosto complementari, come due facce della stessa medaglia. Uno è il più lirico, quello dei brani originali, spesso imperniati su affascinanti cromatismi, modulazioni inaspettate, loop armonici, melodie mediterranee stemperante da armonie sospese. L’ altro è il Pieranunzi jazzistico “americano” e “nero”, persino. Tutto il cd alterna questi due lati artistici di un pianista che della versatilità ha fatto uno dei suoi lati più affascinanti. E così si parte con un brano di Monk , “I mean You”, in cui c’è swing da vendere, in cui Monk è linfa vitale e non certo esercitazione di stile. Tanto che Paul Motian e Marc Johnson emergono in tutta la loro personalità. Subito dopo due brani di tutt’ altro genere: vedi “Pensive fragments”, dolce, introspettivo, rarefazione ritmica ed armonica. Paul Motian sussurra trovate geniali, Johnson allunga note profonde e vibranti. Segue “My funny Valentine”: comincia dalla quinta battuta, inizialmente reiterata nelle prime due note. Nei primi tratti quasi ombrosa, su un ostinato della mano sinistra.

Poi entra nel Jazz dall’ andamento swingante. Si ascolta il dialogo privilegiato di Pieranunzi con Paul Motian che ricama sui piatti sonorità sempre diverse da quelle che ci si aspettano, essenziale ed intenso, espressivo.

Poi si torna a fluttuare con una composizione di Pieranunzi, l’ onirico Fellini’s waltz: accordi diminuiti, modulazioni affascinanti. Nostalgico ed intenso. E’ il ricordo del Fellini più surreale. Il solo di Johnson è un racconto nel racconto, comincia, si sviluppa e finisce con una tale dolcezza nell’ andamento che lo segui lasciandoti trasportare senza ragionarci su.
Segue Subconscius Lee, di Konitz: dinamismo, energia, swing, tecnica, idee continue armoniche e ritmiche. Si approda poi ad Unless They love You: la ballad, il dolore placato, l’ intensità , l’ affresco di base disegnato dagli accordi dolci della mano sinistra e i racconti Jazzistici della mano destra. E forse non a caso il cd termina con “La dolce vita”. Perché questo brano è la sintesi di tutto ciò che è avvenuto finora: un’ intro costruita su cromatismi su accordi sospesi che confondono il tema di Nino Rota, cristallino e riconoscibile, ma che fluttua su un andamento armonico volatile ed affascinante. Ma poi esplode anche in dissonanze jazzistiche ed accenti ritmici ben definiti, ancora nello swing passando persino per Scarlatti, grande amore di Pieranunzi. E voi vagherete tra lirismo e swing ( quello con i piedi ben saldi per terra), senza mai riuscire ad appoggiarvi i inerti su una o l’ altra etmosfera: tanto da rimanere sempre emotivamente e beneficamente tesi su ciò che accade o sta per accadere.

Il Jazz italiano che approda al Village Vanguard, grazie ad Enrico Pieranunzi è questo: e non si può che esserne orgogliosi. Che se ne parli, perché il Jazz che esportiamo è un fiore all’ occhiello di tutti.

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