Comacchio e Lidi in Jazz 2016

Comacchio e le sue valli, la rigogliosa pineta, il lungo litorale e la visionaria architettura della Casa Museo Remo Brindisi costituiscono lo straordinario proscenio di “Comacchio e Lidi in Jazz”, rassegna concertistica itinerante organizzata dall’Associazione Culturale Jazz Life con il sostegno di Comune di Comacchio e Camera di Commercio di Ferrara.
Giunta quest’anno alla seconda edizione, la kermesse – inclusa nell’ampio contenitore di eventi firmato “Aspettando la Sagra dell’Anguilla” – condurrà, a partire da sabato 25 giugno, alla scoperta del territorio comacchiese attraverso un articolato mosaico musicale. Sette gli appuntamenti per sette differenti location che, da Gorino Ferrarese, ripercorreranno i Sette Lidi fino a Spina.
Si parte quindi (sabato 25 giugno ore 19.00) con “Un Po di jazz al tramonto con la Rosa delle Sabbie”: escursione a bordo della Motonave Principessa che approderà al Faro di Gorino, passando per la romantica Isola dell’Amore. Ammirando tenui nuances crepuscolari fuse alle note del Jazzlife Trio formato da Livia Boattini alla voce, Alessandro Scala al sassofono e Luca di Luzio alla chitarra, sarà possibile gustare il goloso aperitivo realizzato in collaborazione con Tenuta Garusola – Cooperativa Giulio Bellini e Strada dei Vini e dei Sapori della Provincia di Ferrara. Attraverso un’originale miscela fatta di blues, soul, funky e naturalmente jazz, il trio affronta brani di maestri assoluti quali Irving Berlin, Duke Ellington, George Gershwin e Richard Rodgers, che rivivono animati da moderne sonorità, laddove il virtuosismo viene meno per lasciare spazio a toccanti vibrazioni (per informazioni e prenotazioni 339 6274052 – 340 8844687).
Giovedì 7 luglio (ore 20.30), la rassegna tocca l’antica Magnavacca (Porto Garibaldi) dove il ristorante “Quelli di Flip” ospiterà il quartetto capitanato dal sassofonista romagnolo Alessandro Scala. Atmosfere vintage, che riconducono alle mitiche incisioni Blue Note anni ’60, rivivono nel repertorio che alterna celebri standard a composizioni originali. Personalità eclettica, Scala ama spaziare tra diversi generi musicali che vanno dal jazz alla bossa nova, dal funk al blues con grinta e creatività. Presenza stabile nei migliori jazz club e rassegne nazionali, Scala vanta collaborazioni con artisti quali Flavio Boltro, Marilyn Mazur, Fabrizio Bosso, Mario Biondi e Ares Tavolazzi tra gli altri. Il Ristorante propone un menù di pesce a tema accompagnato dai “Vini delle Sabbie” del Bosco Eliceo. È consigliata la prenotazione al 346 7289388.
Dopo Porto Garibaldi è la volta del Lido di Volano con Pineta in Jazz dove, in occasione del Santo Patrono dei Forestali, si terrà – martedì 12 luglio alle ore 21.00 alla Chiesa di S. Giovanni Gualberto – il concerto dei Quarti di luna, quartetto classico formato da Domenico Banzola e Mariangela Brignani al flauto traverso, Consuelo Castellari al violino e Lucia Ragazzini al pianoforte. La formazione ripercorrerà alcune pagine musicali del ’900, da Piazzolla a Morricone e ai Beatles, attraverso arditi arrangiamenti originali che non disdegnano contaminazioni pop-rock. A partire dalle ore 20.00 sarà possibile degustare una selezione di vini scelti dalla Strada dei Vini e dei Sapori della Provincia di Ferrara. (Ingresso libero. Per informazioni 335 1340537).
Il Lido delle Nazioni, invece, rende omaggio (martedì 26 luglio alle ore 21 in Lungomare Italia) all’Italia della Dolce Vita e al grande cinema con l’emozionante concerto di Monia Angeli, con cui la storia della canzone italiana rivivrà attraverso brani indimenticabili come “Malafemmena” e “Roma non far la stupida stasera”.
Per l’occasione, la jazz singer sarà accompagnata da Stefano Nanni al pianoforte, Giorgio Fabbri al contrabbasso e Gianluca Nanni alla batteria. Talento precoce, Monia Angeli inizia a cantare professionalmente all’età di 17 anni calcando numerosi palchi del Belpaese. Il carattere eclettico la conduce ben presto a spaziare e ad esplorare, oltre al canto, i territori del musical e della composizione dopo aver studiato pianoforte e sassofono.
Venerdì 5 agosto (ore 20.30) si torna a Porto Garibaldi, al Ristorante Cantinon al Mare – Bagno Apollo 72, per lasciarsi trasportare dal trascinante groove dei Duck Juice, jazz-funk band formata da Gian Piero Benedetti (sassofono), Luca Chiari (chitarra) Lorenzo Locorotondo (tastiere), Emanuele Locorotondo (batteria) e Guglielmo Campi (percussioni), che presenterà l’omonimo album di debutto. Per l’occasione lo chef propone un menù degustazione a base di carne alla griglia accompagnata da vino Fortana. È consigliata la prenotazione allo 0533 311458.
La notte di San Lorenzo (mercoledì 10 agosto, alle ore 20.00), potremo puntare il naso all’insù e godere della magia delle stelle cadenti tra i rigogliosi vigneti del Bosco Eliceo, in compagnia di un buon calice di “vini delle sabbie” e delle note del Luca di Luzio Blue(s) Room Trio. La formazione, guidata dall’apprezzato chitarrista pugliese e completata da Sam Gambarini all’organo Hammond e Max Ferri alla batteria, trae ispirazione dal sound dei mitici organ trio anni ’60 corroborato da protagonisti quali Grant Green, Kenny Burrell, Jimmy Smith e Jack McDuff. Il repertorio alternerà brani della tradizione afroamericana a pezzi contemporanei sapientemente arrangiati dall’estro del band leader (ingresso libero. Per informazioni 335 1340537).
L’articolata rassegna chiude in bellezza – venerdì 19 agosto, alle ore 21.00 – con il quintetto capitanato dalla talentuosa Livia Boattini, nel suggestivo giardino della Casa Museo Remo Brindisi al Lido di Spina.
Nel ripercorrere alcuni salienti capitoli della storia della musica afroamericana, la vocalist sarà accompagnata da Luca Quadrelli al sassofono, Luca di Luzio alla chitarra, Onorino Tiburzi al contrabbasso e Max Ferri alla batteria.
Livia Boattini (Faenza, 1989) si avvicina al canto esplorando in primis il panorama della musica leggera e pop, per poi laurearsi in Canto Jazz al Conservatorio “A. Buzzolla” di Adria, con una tesi dedicata alla figura Billie Holiday curata da Marta Raviglia e Ada Montellanico. Successivamente, partecipa a numerosi workshop tenuti da artisti del calibro di Antonio Sanchez e Marco Tamburini. Il suo esordio discografico risale al 2010 con “Respiro e Aspiro” per Edizioni Settenote (ingresso libero. Per informazioni 335 1340537).

(altro…)

PercFest a Laigueglia: la serata finale

Il Percfest si conclude con un’altra bella serata di musica. Certo la piazza è meno affollata dei giorni precedenti, ma la gente rimasta a Laigueglia sfida imperturbabile il tempo incerto (ma alla fine pioverà solo qualche goccia) e prende posto non appena le sedie vengono sistemate davanti al palco.
Non si può certo dire che Rosario Bonaccorso non abbia fatto le sue scelte da direttore artistico in maniera monocorde: in programma c’è un Trio interessante di un giovane pianista il cui nome sta girando sempre più insistentemente, Dario Carnovale, e a seguire il concerto di una cantante “storica” che ha una serie di collaborazioni al suo attivo da lasciare a bocca aperta: Rachel Gould, in quartetto insieme al chitarrista Luigi Tessarollo.

Ma prima si esibiscono le giovani cantanti premiate al termine della Masterclass di Danila Satragno: il PercFest è anche promozione di cultura e di giovani talenti.

Comincia il bel Trio di Dario Carnovale, alle 21:30


Dario Carnovale, pianoforte
Lorenzo Conte, contrabbasso
Alfred Kramer, batteria

E’ un bel pianista Dario Carnovale, che ascolto per la prima volta qui a Laigueglia. Appena comincia a suonare penso che probabilmente, dalle evoluzioni sulla tastiera dalla travolgente pienezza di suoni durante il primo brano, abbia amato o ascoltato o suonato anche musica classica, o colta, come vogliamo definirla. La conferma la dà lo stesso Carnovale dichiarando il suo amore per Hindemith mentre dichiara il titolo della sua compositione “Interpolation”, termine in musica strettamente connesso all’improvvisare, non a caso.
Dunque Carnovale è un pianista colto, eppure molto diretto emozionalmente: bellissima la sua interpretazione di “I’ll Close my eyes”, tutta giocata su volumi al minimo ma con un’intensità particolarmente vibrante, con l’indugiare anche su delicate domande-risposte tra la mano sinistra e la destra, che danno vita a momenti di indiscutibile lirismo. Così come è d’impatto il contrario di questo, quando suona in modo potente, percussivo, percorrendo improvvisi silenzi contraddetti dopo un attimo dal fragore di corse sulla tastiera, ottave parallele, arpeggi adrenalinici. O ancora nelle atmosfere sospese in cui la bella batteria di Kramer tiene il tempo destrutturandolo, così come fa anche il contrabbasso del bravo Lorenzo Conte. Entrambi sono capaci di cambiare registro e di creare un tessuto adeguato alle diverse possibilità espressive di Carnovali, che di idee ne ha da vendere.  Molti, e meritatissimi, gli applausi!

E’ il momento del cambio palco: invece di attendere a vuoto, Gilson Silveira al birimbao e Marco Fadda con uno dei suoi mille tamburi  ci regalano un poetico, dolce, profondo ed intenso omaggio al grande Nanà Vasconcelos, poeta della musica brasiliana scomparso quest’anno. Suoni di una bellezza struggente.

GilsonFadda

Gilson Silveira e Marco Fadda – Foto Carlo Mogavero

Ore 2230

Rachel Gould Luigi Tessarollo quartet


Rachel Gould, vocals
Luigi Tessarollo, chitarra elettrica
Aldo Zunino, contrabbasso
Adam Pache, batteria

Si finisce in bellezza con la voce densa, graffiante, profonda ed intensa di una interprete con un curriculum di tutto rispetto: in effetti Rachel Gould vanta collaborazioni con Jazzisti stellari, uno per tutti,  Chet Baker. E ad ascoltarla cantare si capisce perché: una voce che in alcuni momenti ricorda le asperità timbriche di colleghe nere come Carmen McRae, un fraseggio incisivo poggiato non tanto su una estensione vocale estrema ma su raffinatezze dinamiche, di accenti, di inflessione.
Il concerto è  veramente di ottimo livello: sono belli gli scambi con Luigi Tessarollo, chitarrista dall’estro improvvisativo notevole, swingante, e che non a caso firma insieme a Rachel Gould il quartetto. Due protagonisti alla pari, che cantano le proprie storie ognuno con il suo strumento (gli assoli di  chitarra sono piccoli gioielli come lo sono gli scat vocali) e che si avvalgono dell’apporto fondamentale di Zunino e Pache. “Skylark” è costruita con un taglio ritmico ed un arrangiamento inusuali e accattivante; “Zanzibar” è un latin contagioso in cui il groove è costruito con fluida energia da Pache, in perfetta sintonia con Zunino. D’ altronde se si decide di seguire gli intrecci della chitarra sull’andamento del contrabbasso di Zunino si scopre quanto nulla sia affidato al caso anche nei momenti più liberi.

Sale Rosario Bonaccorso sul palco chiamando come è tradizione tutti gli artisti presenti in quel momento a Laigueglia, e intona la canzone finale seguita da tutto il pubblico : è un momento emozionante che nessuno qui al PercFest si vuole perdere, perché segna la conclusione di un Festival ma anche l’inizio del prossimo che verrà l’anno dopo. Il pensiero va a Naco, ma con quella musica che sale dolce nell’ aria di questa sera di fine giugno ognuno sorride a qualcuno che con lui sta suonando o ballando o chiacchierando, chi lo sa!


All’anno prossimo, mi auguro, di nuovo a Laigueglia. La vostra inviata vi saluta! Grazie ancora di cuore a Carlo Mogavero per le sue belle foto che sono state una parte importante di questi reportage quasi in tempo reale. W il Jazz!

Germano Mazzocchetti: non dimentico il mio amore per il jazz

 

L’abruzzese Germano Mazzocchetti nasce come fisarmonicista, ma ben presto si qualifica come uno dei migliori ed apprezzati compositori di musica ‘applicata’, cioè di musica al servizio di film, spettacoli, fiction. Il punto di svolta nel 1978 quando incontra a Roma il regista Antonio Calenda, con il quale inizia una lunga e proficua collaborazione.
Ma Germano non abbandona il suo antico amore per il jazz e così nei primi anni duemila costituisce un ensemble con cui si esibisce in concerto e realizza tre album : “Di mezzo il mare” (con la Egea Orchestra), “Testasghemba” e adesso “Asap” per la Incipit alla testa di un gruppo comprendente Francesco Marini sax soprano e clarinetti, Paola Emanuele viola, Marco Acquarelli chitarra, Luca Pirozzi contrabbasso, Emanuele Smimmo batteria e Sergio Quarta percussioni. Lo abbiamo intervistato proprio pochi giorni dopo l’uscita di “Asap”.

-Cominciamo da un fatto che mi sta molto a cuore e che credo stia molto a cuore anche a te: dopo tanti anni, finalmente, pare che la fisarmonica stia ottenendo i giusti riconoscimenti anche nel mondo del jazz. Oramai ascoltiamo spesso questo strumento in funzione solistica e non solo come semplice elemento timbrico e coloristico. Quali fattori a tuo avviso hanno determinato questo risultato?
“Per capire cosa è successo forse è bene partire da ciò che negli anni ’70 chiamavamo ‘folk revival’ e che poi si è ampliato e sviluppato in quel fenomeno dalle molte facce che va sotto il nome di ‘world music’. Nonostante le molte ambiguità ed equivoci, la riscoperta delle musiche tradizionali, delle “radici” come si usa dire, è stato ed è un fenomeno di enorme importanza che ha cambiato il panorama della musica a livello globale. E la fisarmonica. da emblema della musica e delle culture un tempo subalterne, vive oggi una sua seconda giovinezza, anche in ragione della sua diffusione a macchia d’olio che fa di essa uno strumento capace di parlare mille lingue, oggi folklorico e domani sperimentale. Numerosi sono i Paesi, come il nostro ad esempio, dove la fisarmonica ha radici profonde, ma lo stesso vale per i Paesi balcanici e per molte altre aree, dalla Francia ai Paesi nordici, per non parlare degli Stati Uniti dove ci sono fior di fisarmonicisti”.

-Anche tu hai riscoperto questo strumento?
“Direi proprio di no nel senso che io questo strumento l’ho sempre suonato. Ho studiato la fisarmonica sin da piccolo anche perché nel mio paese l’unica scuola di musica era una scuola di fisarmonica. Non è stata una scelta, ma è stato grazie ad essa che ho fatto il mio primo – prezioso direi oggi, a distanza – apprendistato musicale. Negli anni successivi l’ho un po’ messa da parte perché quando ho cominciato a scrivere musica per il teatro e per il cinema, la fisarmonica la utilizzavo solo se mi serviva quel colore. Nel caso la suonavo io stesso, ma la cosa si limitava a qualche turno in sala di registrazione e basta. Tuttavia, qualche anno fa, nel 2004 mi è venuto in mente di formare un gruppo. È stato una specie di “richiamo della foresta” o meglio un “richiamo della performance”: la voglia non più solo di riempire fogli di carta da musica, ma di stare su un palcoscenico e di suonare. In un certo senso, un tornare alle radici. La base di partenza erano certi brani che avevo scritto in precedenza e che ben si prestavano alle idee che avevo in testa. Così sono nati due album, “Testasghemba” uscito per l’Egea e ora “Asap” per Incipit. Insomma ho ricominciato a suonare con una certa frequenza, ritrovando anche il gusto antico per il mio primo strumento. C’è comunque da sottolineare che in Italia c’erano già e ci sono tutt’ora ottimi musicisti che alla fisarmonica hanno dato contributi di straordinario valore: penso ad Antonello Salis, a Simone Zanchini, Luciano Biondini, Renzo Ruggieri: artisti di grandissima levatura e che, indipendentemente dalle etichette che gli si voglion dare, hanno prodotto musica di livello”.

-Tornando all’affermazione della fisarmonica, che importanza ha avuto il successo planetario di un musicista come Astor Piazzolla?
“Enorme. Il ruolo di Piazzolla in quel movimento di riscoperta e di rinnovamento delle tradizioni è cruciale. E forse lo è anche nel panorama complessivo della musica del secondo Novecento. Eppure non è tutto oro quel che luccica. Piazzolla ha portato all’attenzione di un pubblico vastissimo uno strumento come il bandoneon che pur essendo diverso dalla fisarmonica fa comunque parte della stessa famiglia. Il problema sorge semmai con i tanti, tantissimi ‘piazzolliani’, che al suo seguito sono sorti come i funghi: a poco a poco tutti hanno cominciato a fare Piazzolla; alle volte avendo motivo per farlo, molte altre volte no, limitandosi a volgarizzare certi stilemi in una ricetta troppo facile. Al di là di Piazzolla ci sono comunque molti altri musicisti che hanno contribuito al rilancio della fisarmonica. Nell’ambito della fisarmonica jazz non c’è dubbio alcuno che l’artista più rappresentativo sia Richard Galliano. Ma non si può certo dimenticare Guy Klucevsek, il fisarmonicista newyorkese che qualche anno fa pubblicò per la ‘Intuition Music’ un album meraviglioso per sole fisarmoniche, intitolato Accordion Tribe, assieme a Bratko Bibic (slovacco) , Lars Hollmer (svedese), Maria Kalaniemi (finlandese) e Otto Lechner (austriaco). Un disco straordinario, che prendendo le mosse dalla musica etnica balcanica, travalicava davvero ogni confine geografico o di genere”.

-Veniamo adesso al tuo ultimo album che come dicevamo si chiama ‘Asap’. Questo titolo è un acronimo, vero?
“Sì , è l’acronimo di As Soon As Possible, il titolo di un pezzo che poi ho scelto come titolo dell’intero CD. Amo i titoli brevi e facilmente memorizzabili e questo titolo mi sembrava molto adatto. Il brano in questione in effetti è parecchio veloce, di qui il titolo, anche se ad essere pedanti si dovrebbe dire “As Fast As Possible”. Ma a parte il fatto che l’acronimo corrispondente non si usa, mi piace il concetto, lo slancio, la voglia che racchiude: vediamoci, facciamo, partiamo il più presto possibile. Asap, appunto”.

-E’ solo un concetto squisitamente musicale o c’è ancora qualcos’altro?
“Il significato è che oggi si corre molto, troppo; c’è una corsa affannosa spesso senza sapere verso dove. Mi piaceva l’idea di sottolineare questo aspetto così aderente ai tempi che stiamo vivendo, cercando di volgerlo però in senso positivo”.

-Ho ascoltato con attenzione questo tuo pregevole lavoro e mi pare che sia quello più vicino al linguaggio jazzistico. Condividi questa opinione?
“Beh, se lo dici tu…A dire il vero non era questo il mio intento quando ho scritto i pezzi, anche se devo riconoscere che “Asap” è diverso dall’album precedente. “Testasghemba” era molto più vicino alla musica mediterranea, balcanica. Se questo invece risulta più jazzistico la cosa non mi dispiace affatto, in quanto, come ben sai, il jazz è stato e rimane il mio primo amore. Forse nella piena – o forse già tarda – maturità, anche senza volere vado recuperando gli amori e le esperienze dei miei primi anni”.

-Quindi quando facevi il disco non pensavi ad un linguaggio jazzistico. Allora a cosa pensavi?
“Io avevo pronti alcuni brani che intendevo arrangiare ed eseguire con questo gruppo. In essi c’era un po’ la prosecuzione di ciò che avevo fatto in precedenza, per cui in realtà non sapevo ancora bene dove sarei andato a parare. Però erano composizioni pensate per questo tipo di ensemble, formato anche da strumenti atipici, ad esempio la viola. Alla fisarmonica e alla viola – strumenti certo non connaturati al linguaggio jazzistico – si affiancano altri cinque strumenti che invece fanno parte a pieno titolo della più genuina tradizione jazzistica. A parte forse certe esperienze “third stream”, non credo che la viola, come strumento solista, sia stato usato in ensemble jazzistici o para-jazzistici. Il violoncello sì, il violino ovviamente anche ma la viola non mi pare proprio. Per rispondere alla tua domanda, pensavo, sì, che i brani fossero adatti a questo organico e che il risultato sarebbe stato la logica conseguenza di queste premesse”. (altro…)

PercFest di Laigueglia: la terza serata e Billy Cobham

La terza serata vede la piazza di Laigueglia gremita di gente già molto prima del concerto. E’ sabato sera, l’aria è dolce, i ragazzi della Escola de Samba passano per le vie portando in giro i loro ritmi festosi. Davanti all’ Albatros, il locale dove si svolgono le Jam Session notturne è stata allestita una passerella dove si svolge la sfilata di moda delle stiliste Flavia Bonaccorso e Manuela Guasco (Flauel).
Magliette e abiti. Le magliette indossate dai musicisti presenti oggi al PercFest. Chi sono? Tutti! Ellade Bandini, Nicola Angelucci, Bebo Ferra, Francesco Gimignani, Tullio De Piscopo, Alessio Menconi, Gilson Silveira, Francesco Lento, Rosario Bonaccorso e … Billy Cobham! Che percorre la passerella giocando, facendosi ammirare, voltandosi su se stesso con la sua maglietta rosso fuoco: il più fotografato di tutti, naturalmente, ride e scherza tra due ali di pubblico praticamente incredule, compresa la sottoscritta .

I concerti cominciano in anticipo: la partita la si gioca sempre con il maltempo. E’ prevista pioggia in nottata, ma vi faccio lo spoiler subito: vince Rosario Bonaccorso 3 a 0, perché comincia a piovere solo dopo l’ultima nota del secondo concerto (e comunque la musica continua all’ Albatros).

Alle 21:30 comincia il concerto di Andrea Pozza e Scott Hamilton in duo.

Andrea Pozza, pianoforte

Scott Hamilton, sax tenore

Un tuffo ristoratore nel mainstream più elegante, questo concerto di Scott Hamilton e di Andrea Pozza: ogni tanto è bello ritrovare suoni e atmosfere rassicuranti, un timbro caldo di sax tenore e un pianoforte che costruisce lo sfondo armonico ritmico per esaltarne i fraseggi.
E’ un Jazz tranquillo, scorrevole, fatto di esposizione del tema, sviluppo, assoli, scambi ogni quattro battute in forma di domanda – risposta, di feeling e grande interplay.
Andrea Pozza suona garantendo linee di basso fondanti, accordi corposi presentati anche in modo percussivo quando serve l’apporto ritmico che darebbe la batteria: ma non si esime da improvvisazioni gradevoli e divertenti.
“You’ve changed” è accarezzata dal sound inconfondibile del sax di Hamilton , che trasforma un tema melodico in una sorta di racconto emotivo affascinante e che provoca il pericoloso effetto collaterale che canteresti insieme a lui, disturbando il vicino che ascolta accanto a te: tanto più che lo faresti accompagnata da un pianoforte che sa bene come va trattata una ballad, in questo tipo di Jazz.
Il Blues non fa eccezione ed è trascinante come deve essere un Blues, decretando il successo di un duo pregevole, che la piazza dimostra con grande, grande calore.

 

Ore 22:30 Billy Cobham & Italian All Star

Dado Moroni, pianoforte
Francesco Lento, tromba
Francesco Gimignani, sax
Alessio Menconi, chitarra
Rosario Bonaccorso, contrabbasso
Giorgio Palombino, percussioni

Presenta: Tullio De Piscopo

Il concerto viene introdotto dal grande Tullio De Piscopo, batterista a dir poco epico, non solo in Italia, che intrattiene il pubblico giocando con il suo stile inconfondibile e presentando uno ad uno i musicisti di questo eccezionale settetto guidati da un gigante del Jazz nero americano, Billy Cobham.
Il palco si popola velocemente e la musica esplode all’istante.
Billy Cobham aveva aperto la prima edizione del Festival, vent’anni fa: Rosario Bonaccorso ha voluto fortemente ricostituire la Band di allora, che vedeva insieme lo stesso Rosario, Cobham, Moroni e Menconi. Ed è riuscito nell’impresa regalando più di un’ora di un Jazz traboccante di energia, groove, sonorità possenti e assoli incredibili.
Non è la prima volta che ascolto e guardo Cobham dal vivo: ma ero sempre capitata ai concerti in cui il suo drumset era fantasmagorico, sovradimensionato, con cento tamburi cento ride cento elementi e mille accessori.
Ieri sera a Laigueglia ho assistito al concerto di Cobham in versione “side man” nonostante fosse il leader della formazione: una formazione di star, musicisti e solisti bravissimi, che hanno creato un palco da brivido. E Cobham anche in questa versione (che non posso definire minimal, perché Cobham per fortuna è sempre Cobham) mi è piaciuto moltissimo.
Un drumming potente ed esplosivo, lo sappiamo tutti, che ha però la capacità di armonizzarsi con il contesto: e, reciprocamente, la sicurezza di musicisti capaci di rapportarsi ad una personalità musicale deflagrante come quella di Cobham, batterista che ha fatto e fa la storia del Jazz americano, no, anzi, mondiale.
Un timing entusiasmante, più che perfetto sovrumano: inarrestabile sia nelle parti libere che negli accompagnamenti, così come negli obbligati. Gli assoli di Cobham non ve li devo descrivere io: sono momenti da cardiopalma, raffiche infinite sul rullante, evoluzioni impressionanti su tamburi e piatti, sequenze di battiti ripetuti fino a quando l’orecchio quasi si abitua, ed è lì che parte l’improvviso cambio sonoro che ti fa sussultare. Ogni assolo è improvvisazione pura ma non è mai casuale: Cobham nella testa ha un percorso ben preciso, e dunque costruisce fraseggi musicali compiuti, non certo bordate a destra e a manca per dimostrare quanto può essere veloce e potente un batterista.
Dado Moroni è il pianista splendido che chi ama il Jazz conosce bene: il suo stile ricco di pathos è quello che ci vuole in un’occasione come questa. E Rosario Bonaccorso tira fuori dal suo contrabbasso la solidità ed il suono necessari a contribuire alla massa sonora importante per trovare la sintonia con la batteria.
La sezione fiati ha dato un apporto ottimo: il sempre più bravo trombettista Francesco Lento, solo apparentemente intimidito da un sound così pieno, e il giovane sassofonista Francesco Gimignani hanno strappato molti applausi con il loro rigore ma anche con le loro improvvisazioni ed i loro scambi. Alessio Menconi è apparso elemento fondamentale nella costruzione del tessuto sonoro ma anche negli assoli che si sono stagliati nettamente sulla imponente mole di suoni in cui si inserivano. E Giorgio Palombino non ha fatto che esaltare, con le sue percussioni, l’atmosfera esuberante e gioiosa che ci si aspettava da un settetto simile e che puntualmente si è avverata.
Vi avevo dato già un accenno di spoiler, ed ora vi svelo esattamente l’accaduto : appena l’ultima nota si è librata nell’aria si è materializzato acquazzone pazzesco. Il tempo si è sicuramente adeguato al timing sovrumano di Cobham… sovrumano come l’intuito incredibile di Rosario Bonaccorso, che ha anticipato il concerto del numero di minuti esatti per evitare il disastro. Quanti saranno stati? 19? 13? 17? 23? Non si sa. Secondo me, un numero primo: una magia!

 

PercFest di Laigueglia: la seconda serata di grande Jazz

Le raffiche di vento che imperversavano ieri sera su Laigueglia non hanno fatto che diffondere ancora meglio la musica che Rosario Bonaccorso ha scelto per la sua seconda serata di questo PercFest arrivato al suo ventennale. E il pubblico non si è fatto per nulla intimidire: tanta gente, vestita “a cipolla” (raccogliendo il suggerimento lanciato sui social dello stesso direttore artistico), piazza gremita, poco più in là delle 21:30 il Jazz ha preso il via con un trio eccezionale: lo Sparkle Trio del batterista Lorenzo Tucci

Sparkle Trio

Lorenzo Tucci: batteria
Luca Mannutza: pianoforte
Matteo Bortone: contrabbasso

Sparkle significa “scintillante”, e sinceramente non troverei un aggettivo migliore per definire la performance di Lorenzo Tucci che in Trio con i suoi due eccellenti musicisti ha presentato il suo nuovo disco, Sparkle , appunto, edito da Jando Music – Via Veneto Jazz.

Un’ora  (il tempo è tiranno, dice lo stesso Tucci mentre annuncia l’ultimo pezzo autodichiarandolo “bis”) di un Jazz entusiasmante, carico di energia, di momenti esaltanti, o poetici, o divertenti: ad un concerto così non si può che emozionarsi e divertirsi.
Ci sono artisti che hanno una particolare capacità di tenere il palco e di catturare l’attenzione del pubblico. E non lo fanno gigioneggiando, ammiccando, semplificando, scendendo a compromessi: riescono a farlo con la loro ferrea preparazione che permette loro  di dedicarsi alla musica comunicando con il pubblico “stando senza pensieri”. La tecnica li assiste, e possono esprimere tutto quello che vogliono.
Comunicano senza perdere nemmeno un millimetro, un grammo, in qualità.
Tucci con il suo Trio è uno di quegli artisti: dunque se avrete l’occasione di ascoltare Sparkle dal vivo assisterete ad un Jazz spettacolare e travolgente.
Si comincia con un brano melodico (tutti i brani sono stati composti dallo stesso Tucci) , “Past”, che passa da una dolcezza iniziale, ad una bella atmosfera “latin”, per poi gradualmente arrivare ad uno swing elegante e allo stesso tempo intenso, ritornando infine all’atmosfera iniziale: questo gusto raffinato di costruire la musica secondo un percorso dinamico ricco di sorprese ha caratterizzato tutti e cinque i pezzi in scaletta (brani rigorosamente originali dello stesso Tucci) di un concerto che non esagero a definire memorabile. Ho come testimone tutto il pubblico in piazza.
Hope (con il suo tema dolce reso in modo impeccabile dal contrabbasso di Bortone), So one (con il suo riff di pianoforte irresistibile che Mannutza cura e sviluppa con un’energia contagiosa) Keep Calm (che ti viene da cantare insieme ai musicisti, mentre guardi ed ascolti a bocca aperta i prodigi ritmico-melodici della batteria), sono tutti pezzi che hanno la vitalità di crescendo dinamici, cambi di ruolo, sonorità che si assottigliano e si rimpolpano di continuo: Tucci passa dai mallets alle spazzole alle bacchette mantenendo sempre una raffinatezza espressiva, anche nei momenti più energici, anche durante gli assoli più incredibilmente complessi.
Le continue, improvvise svolte verso vibrazioni inaspettate, i cambi di registro (che prevedono anche momenti di virtuosismo, certo, ma mai vetrificati in un narcisismo autoreferenziale, o nell’esibizione smaccata) sono sempre finalizzati alla musica.
Si ascolta autentico Jazz, ci si diverte senza che mai il livello si abbassi. Per ottenere questo bisogna essere musicisti bravissimi e preparatissimi: il risultato è a dir poco elettrizzante.
Tucci si conferma batterista fenomenale. E con lui Luca Mannutza si ribadisce pianista pieno di grinta, idee, e dalla versatilità non comune, e Matteo Bortone contrabbassista capace sia di cantare temi con un suono rotondo e pieno, sia  di reggere con creatività i momenti ritmici più adrenalinici.
Quando i tre artisti hanno lasciato il palco, il pubblico era pronto ad almeno altri tre bis! Il Jazz, quando è fatto a regola d’arte, è più vivo che mai. W il Jazz

Ore 22:30
Norma Winstone Trio

Norma Winstone, voce
Glauco Venier, pianoforte
Klaus Gesing, sax soprano e clarinetto basso


Ho sempre pensato che “sperimentare” sia fondamentale così come è fondamentale che la sperimentazione abbia un suo fine, una sua efficacia per “progredire”, in qualsiasi campo essa avvenga: artistico o scientifico che sia.
Ci sono artisti come Norma Winstone che sperimentano tutta la vita perché trovano di volta in volta soluzioni espressive e stilistiche e, fatto lo scatto in avanti, hanno bisogno di esplorare ancora altre vie, ricominciando un cammino nuovo ricco di ciò che hanno alle spalle , per andare alla ricerca ancora di qualcosa d’altro.
Tutt’altra cosa dai musicisti che confondono il mezzo con il fine, e che sperimentano tutta la vita senza trovare mai una “soluzione”. La sperimentazione diventa il traguardo in se stessa, formando una specie di spirale che non finisce mai, e che non porta alcuna novità: solo ostica noia.
Norma Winstone appartiene dicevo alla prima categoria. Da sempre trascina via lo stilema usuale della “cantante di Jazz” facendo fare passi (in avanti) da gigante alla categoria delle vocalist .
Ne ha data ennesima prova durante il secondo concerto in programma di questa splendida serata di musica, insieme a Glauco Venier al pianoforte e Klaus Gesing al sax soprano e clarinetto basso.
Una voce dal timbro cristallino, pieno di sfumature, potente e gentile, che Norma Winstone espande, minimizza, e soprattutto tende a fondere, il termine esatto è fondere, con gli strumenti a sua disposizione in questa compagine che già di per sé è originale. Gli strumenti a fiato sono voci l’una l’opposto dell’altra (soprano e basso) e la voce di Norma si inserisce e si intreccia alle evoluzioni di Klaus Gesing percorrendo questo ampio arco di suoni da un registro all’ altro con una malleabilità che lascia stupiti. L’apporto fondamentale e suggestivo del pianoforte di Glauco Venier costruisce soluzioni armoniche e atmosfere veramente originali.
Se tenete conto che per un concerto di questa raffinatezza, connotato da momenti quasi cameristici (compresi gli scambi in duo tra pianoforte e sax e clarinetto) un’intera piazza è ammutolita per una sorta di incantesimo musicale, potete intuire che carisma e che polso abbia avuto questa interprete, nonostante la sua estrema delicatezza.
Il repertorio ha spaziato molto, perché ogni brano per Norma Winstone e per i suoi musicisti è materia prima plasmabile e passibile di metamorfosi, sia che esso sia pop come “Live to tell” di Madonna, sia che esso sia uno standard tra il più amati come “Every time we say goodbye”, bis caldamente acclamato dal pubblico .

Il fenomenale Rosario Bonaccorso ha fatto centro ancora una volta, portando sul palco due concerti veramente strepitosi, e di classe.

Stasera altra musica, domani un altro report per voi!

 

A Louviers una bella vetrina per il jazz made in Italy

Gegé Telesforo

di Nico Morelli

Il 9, 10 ed 11 giugno 2016 si è tenuto presso il Festival Jazz di Louviers (Francia) una tre giorni dedicata interamente al Jazz Italiano. Il Festival è alla sua 9°edizione e quest’anno ho avuto l’onore di ricevere l’invito “carte blanche” per realizzare la programmazione oltre che l’invito ad aprire lo stesso Festival con il gruppo “Pizzica&Jazz Project” che dirigo dal 2006. Era il mese di settembre 2015 quando ho ricevuto una telefonata dagli organizzatori del Festival, Ana Arriaza ed il chitarrista Carles GR, che conosco ormai dal 2007, anno in cui ho tenuto il mio primo concerto nella loro città, concerto a cui sono seguiti altri negli ultimi 10 anni.
L’occasione per me era inusuale. Non mi era finora capitato di avere la “libertà” di scegliere interamente il cartellone di un Festival e devo dire che i responsabili della manifestazione mi hanno concesso massima libertà, pur dandomi delle indicazioni abbastanza precise sulle scelte. A parte la prima serata in cui con il mio gruppo abbiamo proposto un repertorio fra jazz e musica popolare del sud Italia, con tanto di danze e riti tipici della pizzica pugliese, la seconda serata, il 10 giugno, mi era stato espressamente chiesto di proporre un gruppo completamente italiano, con cantante leader, che potesse esprimere groove unitamente ad una capacità comunicativa e di coinvolgimento del pubblico. Swing sì, ma perché no anche ritmi più moderni, che potessero far sì che anche ascoltatori più giovani potessero identificarsi con la proposta musicale. La mia scelta è andata ad un artista italiano che ormai tutti conosciamo da tempo e che ha segnato gli anni e il jazz di questi ultimi 20 anni: Gegé Telesforo e la sua band (Giuseppe Bassi cb, Danilo Panza Dr, Alfonso Deidda Sax, Seby Burgio p).
La terza sera invece, quasi ad omaggiare gli italiani di qualità che risiedono in Francia, ho invitato diversi musicisti che gravitano nell’area Parigina, con qualche eccezione. Il gruppo così chiamato “Italian All Stars” era costituito dal contrabbassista Mauro Gargano, da Dino Rubino (tp), Luigi Grasso (sax alto), Enzo Zirilli dr, dal chitarrista Carles GR, dal tenorista Guillaume Marthouret, la voce della cantante Laura Littardi e da me al piano.
Tutte e tre le tre serate hanno registrato il tutto esaurito, nonostante la sera dopo ci fosse la partita tanto temuta della Francia, che dava il via agli europei di calcio.
Ma vediamo più da vicino cosa è accaduto nel corso delle serate. (altro…)